La vicenda riguarda la morte del paziente a causa di una sepsi retroperitoneale non diagnosticata. La Corte di appello ha accolto la domanda dei familiari della vittima e successivamente la Suprema Corte cassa la sentenza riguardo la clausola claims made (Cassazione Civile, sez. III, 08/05/2024, n.12497).
Il caso
Il paziente veniva sottoposto all’intervento di rimozione dei calcoli mediante “coangiopancreatografia retrogada endoscopica” presso l’ospedale di Latina. Dopo l’intervento, il paziente veniva trasferito presso altro nosocomio, il quadro clinico si era progressivamente aggravato e solo dopo undici giorni veniva trasferito presso il presidio di Latina, dove, dopo alcuni giorni, era deceduto per la non diagnosticata sepsi retroperitoneale da perforazione duodenale.
I familiari della vittima chiamano a giudizio l’ASL di Latina e il Medico onde vederne accertata la responsabilità e il Tribunale accoglieva la domanda avendo la CTU accertato la responsabilità della seconda struttura. Successivamente, la Corte di Roma (sent. 13/4/2021) rigettava il gravame.
In particolare la Corte di Appello ha evidenziato che la tempestiva diagnosi (alla luce della prevedibilità, anche come complicanza, della verificazione di una perforazione, del rialzo febbrile e degli altri rilievi clinici ingravescenti) sarebbe stata risolutiva rispetto all’aggravarsi delle condizioni e avrebbe molto probabilmente escluso l’evento morte.
Pacifica, pertanto, la responsabilità della seconda Struttura, la Corte di Appello analizza l’operatività della clausola claims made della polizza a secondo rischio del Medico e l’obbligo di esibizione da parte della Struttura della polizza assicurativa imposto dal CCNL.
La clausola claims made della polizza assicurativa
La suddetta polizza opera in eccedenza alle somme garantite dalle polizze di primo rischio (personali o dell’Azienda) e fino a concorrenza dei massimali indicati, in eccedenza al maggiore dei massimali previsti dalle polizze di primo rischio e dell’Azienda”). Ebbene tale pattuizione costituirebbe clausola di stile non riconducibile all’assicurato per diversi profili testuali, né vi era prova di una diversa polizza a copertura del medesimo rischio. La polizza eventualmente stipulata dall’azienda sanitaria “per conto proprio” a copertura della responsabilità civile (tanto per il fatto proprio che per quello altrui) non poteva operare in eccesso rispetto all’assicurazione personale del medico, perché i due contratti, riguardanti soggetti diversi, non coprivano il medesimo rischio, essendo presupposto di un’assicurazione a secondo rischio l’identità del rischio coperto.
L’obbligo in base al CCNL dell’azienda ospedaliera di sottoscrivere la polizza a copertura del rischio dei sanitari dipendenti non esonerava l’assicurazione dall’onere della prova dell’esistenza di tale polizza, poiché la stessa deve essere esaminata dal Giudice.
Il ricorso in Cassazione
Tutte le parti ricorrono per la cassazione della sentenza, ma la Suprema Corte accoglie unicamente la censura di Unipol Assicurazioni. Prima di analizzare la censura della Compagnia assicuratrice, si ritiene di evidenziare un interessante obiter (non innovativo) della Suprema Corte, meritevole di attenzione per la sua schematicità e chiarezza.
Gli Ermellini ricordano innanzitutto che l‘accertamento giudiziario della causalità materiale non coincide con il concetto di certezza naturalistica dell’accadimento del fatto e si fonda sull’applicazione del principio di cui all’art. 40 c.p. e sulla regola con-causale di cui all’art. 41 c.p.
La regolarità causale
I principi causali strutturali adottati dalla giurisprudenza civilistica sono quelli della regolarità causale, integrata, se del caso, in relazione alle singole fattispecie concrete, da quelli dell’aumento del rischio e dello scopo della norma violata. I principi causali funzionali di causalità materiale sono quelli della probabilità prevalente e del più probabile che non.
Il primo (che può essere più correttamente definito come quello della prevalenza relativa) implica che, rispetto ad ogni enunciato, venga considerata l’eventualità che esso possa essere vero o falso, e che l’ipotesi positiva venga scelta come alternativa razionale quando è logicamente più probabile di altre ipotesi positive, in particolare di quella/e contraria/e (senza che la relativa valutazione risulti in alcun modo legata ad una concezione meramente statistico/quantitativa della probabilità), per essere viceversa scartata quando le prove disponibili le attribuiscano un grado di conferma “debole” (tale, cioè, da farla ritenere scarsamente credibile rispetto alle altre).
Il secondo criterio (il più probabile che non) comporta che il Giudice, in assenza di altri fatti positivi, scelga l’ipotesi fattuale che riceve un grado di conferma maggiormente probabile rispetto all’ipotesi negativa. In entrambi i casi, il termine “probabilità” non viene riferito al concetto di frequenza statistica, bensì al grado di conferma logica che la relazione tra fatti ha ricevuto sulla base dei fatti storici acquisiti al processo.
Passando ora al ricorso incidentale proposto da Unipolsai Assicurazioni, viene lamentato che la richiesta risarcitoria era pervenuta dopo lo spirare del periodo di efficacia dell’assicurazione.
Il modello di assicurazione della responsabilità civile con clausole on claims made basis
La censura è fondata. La giurisprudenza è giunta alla conclusione che il modello di assicurazione della responsabilità civile con clausole on claims made basis è soggetto alla verifica, ai sensi dell’art. 1322, comma 1, c.c., della rispondenza della conformazione del tipo, operata attraverso l’adozione delle suddette clausole, ai limiti imposti dalla Legge, da intendersi come l’ordinamento giuridico nella sua complessità, comprensivo delle norme di rango costituzionale e sovranazionale.
In altri termini, deve essere indagato se la causa concreta del contratto, sotto il profilo della liceità e dell’adeguatezza, sia confacente rispetto agli specifici interessi perseguiti dalle parti. Nell’ottica dell’indagine sulla causa concreta, le SS.UU. hanno chiarito quanto segue: “l’analisi dell’assetto sinallagmatico del contratto assicurativo rappresenta un veicolo utile per apprezzare se, effettivamente, ne sia realizzata la funzione pratica, quale assicurazione adeguata allo scopo, là dove l’emersione di un disequilibrio palese di detto assetto si presta ad essere interpretato come sintomo di carenza della causa in concreto dell’operazione economica. Ciò in quanto, la determinazione del premio di polizza assume valore determinante ai fini dell’individuazione del tipo e del limite del rischio assicurato, onde possa reputarsi in concreto rispettato l’equilibrio sinallagmatico tra le reciproche prestazioni.
Non è questione di garantire e sindacare l’equilibrio economico delle prestazioni, che è profilo rimesso esclusivamente all’autonomia contrattuale, ma occorre indagare se lo scopo pratico del regolamento negoziale on claims made basis presenti un arbitrario squilibrio giuridico tra rischio assicurato e premio, giacché, nel contratto di assicurazioni contro i danni, la corrispettività si fonda in base ad una relazione oggettiva e coerente con il rischio assicurato, attraverso criteri di calcolo attuariale.
La clausola claims made non può essere affetta da nullità
In questo quadro, non può essere affetta da nullità, ex art. 2965 c.c., la clausola claims made “perché fa dipendere la decadenza dalla scelta di un terzo”, giacché l’atteggiarsi della richiesta del terzo, quale evento futuro, imprevisto ed imprevedibile, è del tutto coerente con la struttura propria del contratto di assicurazione contro i danni (nel cui ambito, come detto, è da ricondursi la polizza con clausola claims made), in cui l’operatività della copertura deve dipendere da fatto non dell’assicurato.
Spetta, pertanto, al Giudice del merito, facendo applicazione dei suddetti principi di diritto, giudicare dell’assenza o presenza di squilibrio sinallagmatico dal punto di vista del giudizio di fatto; sul punto la sentenza viene cassata.
Avv. Emanuela Foligno
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