Il ricorso all’affidamento diretto, di cui all’art. 50 del D.Lgs. 36/2023, non comporta l’obbligo all’effettuazione di preventive indagini di mercato e l’acquisizione di una pluralità di preventivi.
ANAC con la pubblicazione del Vademecum del 30.07.2024, ha ribadito la discrezionalità dell’operato dell’Amministrazione qualora adotti una procedura informale, quale l’affidamento diretto: la mera procedimentalizzazione dell’affidamento diretto, mediante l’acquisizione di una pluralità di preventivi e l’indicazione dei criteri per la selezione degli operatori, non trasforma l’affidamento diretto in una procedura di gara, né abilita i soggetti che non sono stati selezionati a contestare le valutazioni effettuate dall’amministrazione circa la rispondenza dei prodotti offerti alle proprie esigenze (indicazioni presenti anche nella giurisprudenza cfr. Consiglio di Stato, sez. V, n. 503 del 15.01.2024; Consiglio di Stato, sez. IV, n. 3287/2021).
La determina a contrarre (o atto equivalente) nel procedimento di affidamento diretto riveste indubbia centralità in quanto la medesima individua: l’oggetto, l’importo e il contraente, unitamente alle ragioni della sua scelta, i requisiti di carattere generale e, se necessari, quelli inerenti alla capacità economico, finanziaria e tecnico-professionale.
L’affidamento avviene con un unico atto dopo l’individuazione dell’affidatario ed al medesimo, come ha evidenziato ANAC nel citato documento, si applicano i principi generali di cui agli artt. da 1 a 11 del D.Lgs. 36/2023 ed in particolare i principi del risultato, della fiducia e dell’accesso al mercato.
Il MIT – Servizio contratti pubblici al quesito del 03.06.2024, ha ribadito che nelle scelte delle stazioni appaltanti è presente, in ogni caso, anche il divieto di aggravamento del procedimento sancito dall’art. 1, comma 2, della L. 241/1990, richiamata dall’art. 12 del D.Lgs. 36/2023.
Alla Stazione Appaltante è richiesta tempestività nel raggiungimento delle finalità assegnate: l’affidamento del contratto e della sua esecuzione deve quindi avvenire, in termini di risultato, con la massima tempestività e secondo il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza.
Come dispone l’art. 1 del Dlgs. 36/2023 il principio del risultato “costituisce criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto”.
Il principio del risultato, quale finalità generale dell’Amministrazione,
costituisce così il criterio interpretativo a cui ricorrere per risolvere casi di contrasto tra il “dato formale” connesso all’applicazione del bando e il “dato sostanziale” della idoneità, ad esempio, delle partecipazioni dell’operatore economico. Il fine è di garantire, l’imparzialità della scelta, alla stregua dell’art. 97 Cost., ma anche il perseguimento, nel modo più adeguato ed efficace, dell’interesse primario, in attuazione del principio del buon andamento dell’amministrazione, di cui all’art. 97 Cost.
Il principio del risultato, tiene conto dell’obiettivo finale dell’azione amministrativa che si prefigge:
a) di giungere nel modo più rapido e corretto alla stipulazione del contratto (con riferimento alla fase di affidamento);
b) di perseguire il risultato economico di realizzare l’intervento pubblico nei tempi programmati e in modo tecnicamente perfetto (con riferimento alla fase di esecuzione).
La giurisprudenza, analizzando l’operato dell’Amministrazione rispetto al nuovo contesto, afferma la prevalenza per gli aspetti sostanziali, rispetto a quelli puramente formali, nell’ambito delle procedure, anche con riferimento all’affidamento diretto (ad es., Consiglio di Stato, sez. V, 20.07.2023, n. 7111; Consiglio Stato, sez. V 27.10.2022 n. 9249). Questo presuppone, secondo attuale giurisprudenza, che la presenza di meri errori formali non possa ostacolare la procedura, finalizzata alla selezione dei migliori candidati secondo il principio del buon andamento dell’attività della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.). Diversamente ragionando, sarebbe leso l’interesse pubblico (Consiglio di Stato, sez. V, 22.11.2019 n. 7975).
Lo scopo, in ogni procedura, è quindi la cura dell’interesse pubblico che deve essere comunque “il più virtuoso e viene raggiunto selezionando gli operatori che dimostrino, fin dalle prime fasi della gara, diligenze e professionalità, quali espressione di una affidabilità che su di essi dovrà essere riposta al momento in cui, una volta aggiudicatari, eseguiranno il servizio oggetto di affidamento” (Consiglio di Stato sez. V. 25.09.2024 n. 7798). Ne è un esempio di questo la necessità di un riscontro sostanziale di effettività della cura degli interessi ambientali in sede di disciplina di gara e della insufficienza, invece, di un dato disciplinare meramente formale consistente, ad esempio, in un generico richiamo ai criteri ambientali che non corrisponde ad una definizione in termini di certezza del rapporto negoziale. Quanto espresso porta alla luce una nuova valutazione del giudice amministrativo di cui le Amministrazioni non potranno non tenerne conto: il principio di risultato concorre ad “ampliare il perimetro del sindacato giurisdizionale piuttosto che diminuirlo”, facendo rientrare nell’area della legittimità, opzioni e scelte che sinora si pensava riguardassero il merito e perciò insindacabili (Consiglio di Stato, sez. V, n. 3985/2024).
Quanto evidenziato dovrà essere considerato nella fase istruttoria e decisoria da parte dei funzionari e dirigenti coinvolti nella procedura di scelta del contraente.
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