CREMONA – La Cremona immobiliare è ancora lontano dalla svolta verde, con una quota di edifici a basso impatto energetico che nella provincia arriva a stento alla doppia cifra. Il problema riguarda tutta Italia: secondo i dati diffusi da Immobiliare.it, più della metà degli edifici messi in vendita sarebbe di classe G (la più bassa e inquinante). Ma le provincie virtuose ci sono. Anche in Lombardia: a Monza, il 40% degli edifici messi in vendita sarebbe coerente con la svolta green. A Cremona, invece, domina ancora il grigio.
Lo scenario lombardo appare, come spesso accade, diversificato. In tutta la regione, si può contare su un 14% di immobili pronti per essere acquistati che vantano classi energetiche altamente ecologiche. Il capoluogo, però, scivola nel fondo della classifica, arrivando a quota 9%. In fondo, Cremona e Mantova, dove secondo le stime di Immobiliare.it, gli immobili di classe A e superiori si attestano attorno al 6% sul totale. Confrontando il dato con quello reso disponibile da Cened (Certificazione Energetica degli Edifici), la stima migliora, ma non di molto: Cremona salirebbe a un 10,7% di edifici di classe A o superiore (per un totale di 7.141 edifici).
Il dato procede, in parte, dalla presenza importante di edifici storici, che difficilmente vanno incontro a un efficientamento energetico. «Cremona è una città storica – ha spiegato Remo Castelli (Anama) – che ha avuto un incremento basso di rinnovo edilizio. È rimasta stabile nel tempo, e ha una storia immobiliare piuttosto datata. Efficientare energeticamente gli edifici storici è parecchio complesso: fare un cappotto a un edificio storico impone anche passaggi burocratici che coinvolgono la Sovrintendenza».
Tuttavia, al netto di ciò che non si può cambiare, il dato cremonese non rende conto di una certa attenzione all’aspetto dei consumi, che invece esiste: «Gli edifici di nuova costruzione sono, in genere, di buona efficienza – ha proseguito Castelli – e c’è stato un incremento al di là degli incentivi e delle detrazioni. Si percepisce il desiderio di raggiungere una determinata soglia energetica. Il cremonese è sensibile al tema dell’ecosostenibilità della propria casa, e la classe negli ultimi anni viene richiesta, aggiornata, e se appena è possibile si tenta di migliorarla con interventi accettabili economicamente».
Claudio Villa
Rimane comunque improbabile che Cremona possa allinearsi agli obiettivi del 2030 (se rimangono tali), che prevedono di ridurre l’impatto energetico degli edifici del 16%: «Ci vuole troppo lavoro per arrivare ad una classe C o D nel 2030 – ha ammesso Castelli – perché le difficoltà sul lato commerciale sono diverse. Parliamo di cifre importanti per l’acquirente, e la spesa per l’aggiornamento sarebbe per molti insostenibile».
Secondo Luca Arcari (Fima), la scarsità di immobili di classe A o superiore sul mercato cremonese dipende anche da un problema di carenza della richiesta. «Se stiamo al quadro lombardo – ha sottolineato Arcari – a Cremona gli immobili costano meno, il che significa che si investe meno e si ristruttura meno. Non è dall’altro ieri che si propende per classi energetiche alte. È da un decennio che si costruiscono edifici con la classe A. Se la domanda è poco sostenuta, chiaramente si costruisce meno e naturalmente il patrimonio si rigenera molto meno. A Cremona, il volume della città in termini di numero di immobili è cresciuto di quasi il doppio negli anni Sessanta e Settanta, e ora non siamo più in quella fase. Al momento la domanda edilizia è diminuita, perché nella città è diminuito anche il lavoro».
Remo Castelli
Se la gente fugge altrove, c’è anche meno richiesta di immobili: «A Cremona le attività chiudono e il terziario avanzato è carente. Un laureato che ambisce a professionalizzarsi in ciò che ha studiato punta all’estero o tutt’al più a Milano. Le case nuove, che a Cremona costerebbero dai 300mila in su, sono accessibili solo a partire dalla media borghesia». Poco o nulla, in tutto questo, c’entrerebbe la politica: «Le amministrazioni non possono essere colpevolizzate – ha concluso Arcari – si può fare ben poco sulle grandi infrastrutture».
L’epoca d’oro dell’edilizia cremonese sembrerebbe passata. Inizia una stagione in cui il mercato immobiliare potrebbe essere vicino alla stagnazione. «Cremona è una città obsoleta dal punto di vista immobiliare – ha ammesso Claudio Villa (Fiaip) – e la maggior parte dei suoi immobili risale agli anni ‘70-‘80, quando il tema della classe energetica era praticamente inesistente. Ecco perché abbiamo così tante classi G. Ma il problema riguarda l’Italia in generale: a differenza dei paesi nordici, che hanno più di una ragione per essere avvantaggiati, in Italia l’efficientamento energetico si rivela in generale molto difficile da mettere in pratica. Abbiamo zona Po, zona Giuseppina e altre dove la maggior parte degli appartamenti sono stati costruiti negli anni Sessanta e Settanta. La stragrande maggioranza dei condomini, oggi come oggi, avrebbe bisogno di una ristrutturazione».
Luca Arcari
Ciò avviene anche perché il mercato è poco dinamico, complice il problema dei mutui. E nell’era delle incognite, la gente rinuncia a comprare. «Non c’è più la giusta tranquillità per pianificare un acquisto dell’immobile – ha proseguito Villa – e c’è una tendenza delle nuove generazioni a siglare contratti di affitto. Oggi le giovani coppie non progettano di comprare casa. Questo perché i mutui richiedono garanzie incredibili per essere ottenuti». E c’entra molto anche la classe energetica: «Stiamo osservando che, quando una banca prende in affidamento un immobile, inizia a badare alla certificazione energetica con una certa sistematicità. Si concorda per il mutuo, ma se c’è una ristrutturazione in programma il tasso si abbassa notevolmente, perché si va ad alzare il valore economico. Nel 2030, quando l’esigenza dell’impatto zero diventerà cogente, ci saranno importanti modifiche per gli edifici a bassa classificazione, che varranno sempre meno».
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