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Una società appaltatrice di lavori per opere stradali cede il credito vantato verso la P.A.-committente ad una subappaltatrice, che provvede a notificare la cessione all’ente. Successivamente, il cedente fallisce e la pubblica amministrazione ritiene non opponibile la cessione, mancando il proprio atto di adesione. Infatti, secondo i giudici di merito, l’efficacia della cessione è subordinata alla manifestazione di assenso della P.A., operando la disciplina che deroga al principio di libera cedibilità del credito (art. 70 del R.D. 2440/1923). La società subappaltatrice, invece, invoca l’applicazione della normativa secondo cui la cessione del credito da corrispettivo di appalto è efficace ed opponibile alla pubblica amministrazione qualora questa non la rifiuti con comunicazione da notificarsi al cedente ed al cessionario entro quindici giorni dalla notifica (art. 26 c. 5 legge 109/1994 e art. 115 c. 6 DPR 554/1999, ora abrogati ma applicabili ratione temporis). Tuttavia, la suddetta disciplina dispone altresì che gli appaltatori possano cedere i crediti vantati verso la P.A. a titolo di corrispettivo del contratto di appalto a banche o intermediari finanziari il cui oggetto sociale preveda l’acquisto di crediti di impresa.

La cedibilità del credito in assenza di rifiuto da parte della pubblica amministrazione è applicabile anche al subappaltatore che non sia una banca o un intermediario finanziario?

Secondo Corte di Cassazione, Sezione II, ordinanza 25 agosto 2023, n. 25284 (testo in calce), la cessione del credito è efficace ed opponibile alla P.A. committente (debitrice ceduta) ove questa non la rifiuti entro 15 giorni dalla notifica della cessione, in quanto «si tratta di una regola che esprime un adeguato punto di equilibrio tra quella esigenza di agevolazione, il potere di controllo affidato alla pubblica amministrazione e – da ultimo, ma non per ultimo d’ importanza – il minore sacrificio possibile del principio generale della cedibilità del credito senza necessità del consenso del debitore».

La riforma del codice degli appalti, di Buonanno Antiniska, Cosmai Paola, Wolters Kluwer Italia. Guida teorico-pratica al D.Lgs. n. 36/2023 per professionisti, operatori e stazioni appaltanti.
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La vicenda

La società subappaltatrice evoca in giudizio la Provincia committente di un contratto di appalto di opere stradali per ottenere la condanna al pagamento di circa 289 mila euro a titolo di corrispettivo per il contratto concluso con l’appaltatrice e, in via subordinata, il risarcimento del danno per l’inosservanza della normativa sui pagamenti degli appalti pubblici.

Nel contratto di subappalto concluso tra la società appaltatrice – che ha concluso l’accordo con la Provincia – e la subappaltatrice era stabilito che il pagamento del corrispettivo avvenisse tramite la cessione dei crediti che la prima vantava nei confronti della committente. La subappaltatrice notifica la cessione del credito alla Provincia senza alcun esito ed evoca in giudizio la appaltatrice, ottenendo un’ordinanza-ingiunzione ex art. 186 ter c.p.c. In forza del titolo esecutivo, la subappaltatrice procede al pignoramento dei crediti, assumendo la Provincia la veste di debitor debitoris. Frattanto, la società appaltatrice viene dichiarata fallita: la subappaltatrice insinua il proprio credito al passivo e conviene in giudizio la committente. In primo e secondo grado, le domande attoree vengono rigettate, in quanto i giudici di merito accolgono l’eccezione formulata dalla Provincia secondo cui la cessione del credito non produce effetti nei suoi confronti.

Si giunge così in Cassazione.

Premessa: la cessione del credito nel diritto comune

Prima di analizzare il decisum è d’uopo ricordare brevemente l’istituto della cessione del credito.

Dal punto di vista dogmatico, la cessione del credito (art. 1260 c.c.) rientra tra le modificazioni delle obbligazioni dal lato attivo, in quanto ad un creditore (cedente) se ne sostituisce un altro (cessionario), mentre il debitore (ceduto) rimane lo stesso. Nel nostro ordinamento vige il principio di libera cedibilità dei crediti, salvo il caso in cui il credito abbia natura strettamente personale (come i crediti alimentari), sia vietato dalla legge o la cessione sia esclusa dalle parti.

Il contratto di cessione è un accordo tra il cedente (creditore originario) e il cessionario (il terzo). Per il perfezionamento del negozio non è necessaria l’accettazione del debitore, il quale rimane estraneo all’accordo. Infatti, per il debitore, è indifferente a quale soggetto versare il corrispettivo, essendo comunque tenuto al pagamento. Invece, è necessario che sia edotto della cessione perché, in caso contrario, rimane obbligato verso il creditore originario ed è liberato se esegue il pagamento a suo favore. Per tale ragione, la cessione produce effetti verso il debitore ceduto solo allorché questi l’abbia accettata o gli venga notificata (art. 1264 c.c.).

Ciò premesso, nel caso del contratto di appalto per lavori pubblici di cui alla sentenza in commento,

  • la società appaltatrice è il creditore-cedente
  • la società subappaltatrice è il cessionario,
  • la Provincia è il debitore ceduto.

Secondo la disciplina generale, non è necessario il consenso del debitore ceduto (la Provincia), ma tale regola non trova applicazione nell’ipotesi di crediti vantati verso una pubblica amministrazione.

Analizziamo la normativa di riferimento.

Riferimenti normativi: cessione del credito vantato verso la P.A.

Nel caso in esame vengono in rilievo le seguenti disposizioni.

La sentenza gravata ha ritenuto applicabile il Regio Decreto 2440/1923 recante “Nuove disposizioni sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato”. In particolare:

  • l’art. 69, per quanto qui di interesse, dispone che le cessioni relative a somme dovute dallo Stato, nei casi in cui sono ammesse dalle leggi, devono essere notificate all’amministrazione centrale ovvero all’ente, ufficio o funzionario cui spetta ordinare il pagamento.
  • l’art. 70 prevede che per le somme dovute dallo Stato per somministrazioni, forniture ed appalti, devono essere osservate le disposizioni dell’art. 9, allegato E, della legge 2248/1865 e degli articoli 351 e 355, allegato F, della legge medesima.

La legge 2248/1865 “Per l’unificazione amministrativa del Regno d’Italia” negli articoli suindicati dispone quanto segue:

  • l’art. 9 dell’allegato E prevede che sul prezzo dei contratti in corso non potrà aver effetto alcun sequestro, né convenirsi cessione se non vi aderisca l’amministrazione interessata.
  • L’art. 351 dell’allegato F dispone che ai creditori degli appaltatori di opere pubbliche non è concesso il sequestro sul prezzo di appalto durante l’esecuzione delle opere, salvo che l’Autorità amministrativa, da cui l’impresa dipende, riconosca che il sequestro non passa nuocere all’andamento ed alla perfezione dell’opera. Nondimeno, possono essere sequestrate le somme che sono dovute ai suddetti appaltatori dopo il definitivo collaudo dell’opera.

Il ricorrente invoca l’operatività della legge quadro in materia di lavori pubblici anche nota come “legge Merloni” (legge 109/1994) ora abrogata, ma applicabile ratione temporis al caso in esame. In particolare, la subappaltatrice fa riferimento all’art. 26 c. 5 che:

Inoltre, il DPR 554/1999 recante il regolamento di attuazione della succitata legge 109/1994 – anch’esso abrogato ma applicabile ratione temporis al caso in esame – all’art. 115 prevede che:

  • gli appaltatori possano cedere i crediti vantati verso la P.A. a titolo di corrispettivo del contratto di appalto a banche o intermediari finanziari il cui oggetto sociale preveda l’acquisto di crediti di impresa. La cessione del credito da corrispettivo di appalto deve essere notificata all’amministrazione debitrice ed è efficace ed opponibile ad essa qualora questa non la rifiuti con comunicazione da notificarsi al cedente ed al cessionario entro quindici giorni dalla notifica.

Riassumendo:

  • secondo la sentenza gravata, la cessione del credito si perfeziona solo con l’adesione della pubblica amministrazione (art. 70 R.D. 2248/1923);
  • secondo il ricorrente, la cessione del credito è opponibile alla P.A. in assenza di un rifiuto da comunicare entro 15 gg dalla notifica della cessione (art. 26 c. 5 legge 109/1994 e art. 115 c. 6 DPR 554/1999).

Tutto ciò premesso, veniamo al caso oggetto di scrutinio.

I Contratti, Direzione scientifica: Breccia Umberto, Carnevali Ugo, D’Amico Giovanni, Macario Francesco, Granelli Carlo, Ed. IPSOA, Periodico. Rivista di dottrina, giurisprudenza e pratiche contrattuali nazionali e internazionali, arbitrato e mediazione.
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Deroga alla libera cedibilità dei crediti

La sentenza gravata ritiene operante la disciplina di cui al R.D. 2440/1923, a mente della quale la cessione non produce effetto se non è accettata dall’amministrazione. I giudici di merito non hanno applicato la disciplina sull’assenso tacito da parte della pubblica amministrazione – prevista nel regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici – in quanto il cessionario non è un istituto di credito o un intermediario finanziario.

La società subappaltatrice censura la decisione impugnata proprio sotto tale profilo e la Suprema Corte considera fondata la doglianza.

La norma secondo cui la cessione di crediti non produce effetto a meno che la P.A. interessata non vi aderisca (art. 9 allegato E legge 2248/1865) introduce una deroga alla libera cedibilità dei crediti prevista dal diritto comune. La ratio si rinviene nella lettura dell’art. 351 allegato F legge cit. secondo cui la suddetta deroga serve a consentire alla pubblica amministrazione di riconoscere la cessione solo qualora la stessa non pregiudichi l’andamento e la perfezione dell’opera. Infatti, i crediti sono liberamente cedibili dopo il collaudo dell’opera stessa. Pertanto, anche nel caso in cui il cessionario sia un subappaltatore, il credito è liberamente cedibile purché non pregiudichi l’andamento e la perfezione dell’opera.

Evoluzione interpretativa: adesione della P.A. necessaria solo per contratti in corso d’esecuzione

Secondo i giudici di legittimità, l’attenta lettura della disciplina che impone l’adesione della P.A. alla cessione dei crediti (art. 70 R.D. 2240/1923) mostra come il placet della pubblica amministrazione risulti necessario e dovuto solo nel periodo in cui i contratti siano in corso di esecuzione. Infatti, la deroga alla libera cedibilità del credito non costituisce espressione del privilegio dell’interesse pubblico rispetto a quello privato, ma trova fondamento nell’esigenza di consentire alla pubblica amministrazione interessata di verificare, «durante l’esecuzione di contratti di durata, che il fornitore non si privi delle risorse finanziarie per adempiere attraverso una inopportuna cessione del credito» (Cass. 9789/1994). La giurisprudenza si è espressa in tal senso, affermando che la deroga alla libera cessione del credito si applica ai rapporti di durata, come appalto e somministrazione, ciò al fine di garantire la regolare esecuzione del contratto (Cass. 981/2002).

Tuttavia:

  • mentre l’art. 9 allegato E legge 2240/1865 riguarda genericamente tutti i contratti,
  • l’art. 70 del R.D. 2240/1923 menziona specificamente il contratto di appalto, somministrazione e fornitura.

Pertanto, delle due l’una: o la genericità del succitato art. 9 allegato E è stata confermata dal successivo art. 70 R.D. cit., oppure l’art. 70 R.D. cit. ha ristretto l’ambito applicativo dell’art. 9 allegato E legge 2240/1865 ai contratti di appalto e somministrazione

I giudici di legittimità ritengono che sia preferibile quest’ultima tesi e, richiamando un precedente, affermano quanto segue:

  • «ove lo Stato agisca secondo il diritto dei privati, le disposizioni che riconoscono alla p.a. privilegi che restringono l’autonomia negoziale sono da interpretare in senso restrittivo, in linea con la Cost., art. 41 comma 1, per cui è da ritenersi che la disciplina di cui all’art. 9 cit. sia stata abrogata per incompatibilità, per tutti i casi nei quali non è espressamente richiamata dalla R.D. 2440 del 1923, art. 70» (Cass. 981/2002)1

Conclusioni: cessione al subappaltatore opponibile alla P.A. in caso di mancato rifiuto

Come abbiamo visto, la disciplina normativa mira ad agevolare l’esecuzione del contratto di appalto di opere pubbliche attraverso la messa a disposizione della provvista direttamente all’esecutore. Pertanto, la regola secondo cui la cessione del credito è efficace ed opponibile alla P.A. committente (debitrice ceduta) ove questa non la rifiuti entro 15 giorni dalla notifica della cessione (art. 115 c. 3 DPR 554/1999) deve estendersi anche nel caso in cui il cessionario sia un subappaltatore.

Secondo i giudici di legittimità:

  • «si tratta di una regola che esprime un adeguato punto di equilibrio tra quella esigenza di agevolazione, il potere di controllo affidato alla pubblica amministrazione e – da ultimo, ma non per ultimo d’ importanza – il minore sacrificio possibile del principio generale della cedibilità del credito senza necessità del consenso del debitore».

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NOTE

[1] Come ricordato, l’art. 9 dell’allegato E della legge 2240/1865 opera nei casi in cui è richiamato dall’art. 70 del R.D. 2440/1923. Al di fuori di tale ipotesi, la disciplina in esso contenuta deve considerarsi abrogata. In linea con tale soluzione interpretativa si pongono le seguenti norme.

  • l’art. 18 comma 3 bis della legge 55/1990 dispone che la pubblica amministrazione aggiudicatrice di opere di appalto con facoltà di subappalto indichi nel bando di gara se provvederà al pagamento del corrispettivo direttamente al subappaltatore ovvero tramite l’appaltatore (Cass. 9386/2020),
  • l’art. 26 c. 5 legge 109/1994 estende la disciplina della cessione dei crediti di impresa ai crediti verso le PP.AA. derivanti da contratti di appalto di lavori pubblici.


 

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