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Che l’acquisto di un immobile avvenga per fini abitativi personali o per investimento, occorre fare attenzione per evitare sgradevoli sorprese. Un immobile può infatti essere gravato da pignoramento, ipoteca, diritti di terzi, che possono ostacolare la trattativa di compravendita. Che fare in questi casi? Ne abbiamo parlato con il team di Hospitality Law Lab e in particolare con i partner Giada Beghini e Tamara Corazza, avvocati specializzati nella fase esecutiva, e con Donatella Marino, avvocato fondatore di Hospitality Law Lab con specifica expertise negli investimenti nel Real Estate e nella Hospitality.

Quali sono le formalità pregiudizievoli che possono colpire l’immobile oggetto di trattativa?

Un immobile può essere gravato da pregiudizievoli sia di natura civilistica che penalistica. Tra le più comuni pregiudizievoli di diritto civile troviamo il pignoramento immobiliare, il sequestro (conservativo o giudiziale) e l’ipoteca (legale o giudiziale) ma anche il diritto di abitazione a favore dei terzi. Ipotesi quest’ultima che ricorre ad esempio nel caso di assegnazione della casa familiare al coniuge collocatario dei figli in sede di separazione/divorzio e che determina l’indisponibilità del godimento dell’immobile sino al raggiungimento della maggiore età e/o comunque dell’autonomia dei figli della coppia. In ambito penalistico, invece, i più comuni sono il sequestro preventivo penale e l’ordinanza di sequestro conservativo, pregiudizievoli per la cui cancellazione è bene sapere che è quasi sempre necessario rivolgersi all’Autorità che li ha disposti.

Quali sono le differenze tra ipoteca e pignoramento?

Sono due istituiti che hanno caratteristiche e finalità diverse. Il pignoramento è il primo atto della procedura esecutiva che un soggetto “creditore” avvia allo scopo di soddisfare un credito che vanta nei confronti del proprietario dell’immobile “debitore” e che si svolge sotto il controllo dell’Autorità Giudiziaria e culmina con la vendita all’asta del bene e la distribuzione del ricavato tra tutti i creditori. L’ipoteca invece è una forma di garanzia che si costituisce mediante iscrizione nei pubblici registri e si estende sull’intero bene che ne è oggetto e tutela il creditore contro il pericolo di insolvenza del proprio debitore.

Dal lato pratico il pignoramento comporta che l’immobile venga tolto al proprietario ed il suo valore venga monetizzato per sanare tutti i debiti, mentre l’ipoteca non preclude il godimento del bene da parte del proprietario ma semplicemente lo segue fino a quando non sarà interamente soddisfatto il credito in ragione del quale è stata iscritta, garantendo al titolare una preferenza nella soddisfazione del proprio diritto.

Quali sono le verifiche obbligatorie quando l’oggetto della compravendita è un immobile pignorato?

I principali controlli da fare quando si decide di acquistare un immobile sottoposto ad esecuzione forzata si possono suddividere in tre macroaree:

Tecnica: impianti, opere murarie, prestazioni energetiche

Legale: trascrizioni, pesi, ipoteche, mutui esistenti, spese condominiali presenti e del biennio precedente, eventuali contratti di locazione o di gestione dell’immobile

Amministrativa: conformità urbanistica, catastale, agibilità, vincoli

Queste verifiche se effettuate da professionisti esperti consentono di raccogliere tutti dati relativi ad un immobile e consapevolmente valutare i pro e contro di un potenziale acquisto.

Come redigere correttamente la proposta di acquisto di un immobile pignorato?

E’ essenziale ricordare che se si decide di acquistare un immobile pignorato è possibile farlo ma prima che questo arrivi all’asta. In questi casi è indispensabile formalizzare un accordo sia con il creditore che ha avviato la procedura esecutiva sia con il proprietario dell’immobile pignorato e se ce ne fossero anche con gli eventuali soggetti titolari di ipoteche e/o di altri privilegi.

Da un lato si deve avere la certezza che il creditore rinunci all’esecuzione e si impegni alla cancellazione delle pregiudizievoli che ha iscritto sul bene e dall’altro che il debitore accetti la proposta di acquisto e tenga fede all’impegno sia di cedere l’immobile al prezzo pattuito (che andrà verosimilmente pagato a seconda del caso concreto, in tutto o in parte al creditore/i), sia di consegnarlo libero e sgombero da persone e cose.

Caparra confirmatoria e caparra penitenziale quali sono le differenze?

Sono due istituti giuridici considerati entrambi patti accessori al contratto principale cui sono strettamente connessi. La caparra confirmatoria è un patto accessorio che rafforza il vincolo contrattuale e consiste nel consegnare all’altra parte una somma di denaro o una quantità di altre cose fungibili, a conferma del vincolo assunto. Assolve la duplice funzione di garanzia e risarcitoria in favore della parte adempiente, consentendole ai sensi dell’art. 1385 c.c. – in caso di inadempimento dell’altra parte – di recedere dal contratto trattenendo la somma ricevuta a tale titolo o pretendendo la restituzione del doppio di quella corrisposta; in caso, invece, di adempimento, la somma deve essere restituita o imputata alla prestazione. La previsione della caparra confirmatoria, non esclude infine il diritto in capo al soggetto adempiente di avvalersi della possibilità di chiedere, in alternativa al recesso, l’esecuzione del contratto e il risarcimento per l’eventuale maggior danno subito.

Diverso è invece lo scopo della caparra penitenziale, che si utilizza quando le parti vogliono riconoscersi il diritto di poter recedere dal contratto anche in assenza di un inadempimento. La caparra penitenziale, disciplinata dall’art. 1386 c.c., rappresenta, in sostanza, il corrispettivo del recesso esercitato per volontà unilaterale.

Lato pratico, si è in presenza di un contratto in cui entrambe le parti si riconoscono il diritto di recedere, ma la parte recedente dovrà riconoscere all’altra il corrispettivo pattuito a titolo di caparra penitenziale e la parte adempiente non potrà pretendere nè l’esatto adempimento del contratto nè il maggior danno.

Tuttavia, poiché spesso le parti utilizzano il termine generico “caparra” senza nessuna ulteriore declinazione, è importante affidarsi a dei legali del settore che sappiano ricavare dall’interpretazione generale del contratto la reale volontà e lo scopo desiderato dalle parti.

Il mediatore è legittimato a trattenere la caparra quando la proposta è condizionata?

Nell’ambito dei contratti di compravendita immobiliare non è raro che il perfezionamento dell’atto definitivo di vendita sia subordinato all’avveramento di una determinata condizione. Si pensi al preliminare di compravendita condizionato all’erogazione del mutuo. E’ lecito dunque chiedersi quali siano le sorti della caparra confirmatoria, nel caso in cui il mutuo non venga erogato e le parti non perfezionino la compravendita.

In questi casi assume estrema importanza la formulazione della condizione che deve essere sospensiva, ovvero le parti devono subordinare la validità ed efficacia del contratto all’avveramento della condizione. Di conseguenza, se la condizione non si avvera le pattuizioni contrattuali non avranno alcuna efficacia e il mediatore dovrà restituire la caparra corrisposta.

Anche in questo caso è importante prestare particolare attenzione alle modalità con cui viene formulata la clausola rivolgendosi a professionisti esperti del settore, per evitare insidie che comportano perdite economiche rilevanti.

Qual è la differenza tra termine essenziale e termine non essenziale per la stipula dell’atto notarile?

Ai sensi dell’art. 1457 c.c. se il termine fissato per la prestazione di una delle parti deve considerarsi essenziale nell’interesse dell’altra, questa, salvo patto o uso contrario, se vuole esigerne l’esecuzione nonostante la scadenza del termine, deve darne notizia all’altra parte entro tre giorni. In mancanza il contratto s’intende risoluto di diritto anche se non è stata espressamente pattuita la risoluzione.

In altre parole, l’apposizione di un termine è da considerarsi come essenziale quando la parte in favore del quale è stato apposto, superato tale termine, non ha più interesse ad avere la prestazione. In questo caso, l’ordinamento giuridico le riconosce la facoltà di scegliere se avvalersi della risoluzione del contratto o al contrario, mantenerne la validità ed efficacia gravandola dell’onere di darne comunicazione alla controparte entro il termine di decadenza di tre giorni.

E’ opinione comune della giurisprudenza che il carattere di essenzialità del termine non può essere desunto dalla mera formula di stile “entro e non oltre” solitamente inserita nei contratti preliminari dovendo invece ricavarsi dalla volontà espressa o implicita delle parti, dalla natura del termine o dalla modalità della prestazione.

Essendo quindi di natura interpretativa la qualificazione di un termine come essenziale o meno, al fine di evitare situazioni di criticità ed evitare possibili contenziosi, assume importanza chiedere il supporto di professionisti esperti nella contrattualistica immobiliare per la formulazione di una clausola che faccia emergere in modo chiaro e inequivocabile la volontà delle parti.

 

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