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Ricorsi al Tar, denunce, l’ombra della mafia. E le storie di imprenditori che hanno perso tutto. Al centro dell’intrigo la sezione esecuzioni immobiliari

Tribunale di Catania, sezione esecuzioni immobiliari. Tra queste aule è passato un pezzo della storia economica della città. Una storia che travolge i beni di imprenditori caduti in disgrazia, passa per gli studi di stimati professionisti e poi varca i confini dell’isola, rimbalzando fino a Roma al Consiglio superiore della magistratura. E più si tirano i fili, più la trama si fa complessa, riproponendo gli scontri e i veleni che stanno attraversando la magistratura del nostro Paese.

Fascicoli che passano di giudice in giudice, ricorsi al Tar, denunce che fioccano, sanzioni disciplinari. Non viene risparmiato nemmeno l’ex ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, denunciato a Catania il 19 aprile del 2019, mentre era ancora in carica, da un magistrato che su richiesta dello stesso Bonafede era stato interdetto dai pubblici uffici.

 

Tra le maglie di questo intreccio, delle storie drammatiche. Due imprenditori che hanno perso tutto, una famiglia che non ha più la sua casa. Ville e appartamenti finiti all’asta al tribunale di Catania mentre i magistrati si contendono i fascicoli. Vendite di cui non tornano le carte, provvedimenti emessi da un giudice e annullati da un altro. «Io ho fiducia nella giustizia, in quella vera però. Ho fatto tanti sacrifici nella mia vita e mi sentivo onorato di dare lavoro ai miei operai, ho reinvestito nella mia azienda tutto quello che avevo». A parlare è Salvatore Guerino, settant’anni, imprenditore catanese nel settore della componentistica d’acciaio.

Una vita spesa nei cantieri della Sicilia, si ritrova con un’istanza di fallimento. Pieno di debiti, perde tutto, anche la casa. Nel 2007 viene acquistata all’asta giudiziaria da un privato e poi rivenduta nel 2011 a un notaio di Catania, che incredibilmente paga con gli stessi assegni con cui l’appartamento è stato comprato quattro anni prima. Guerino denuncia, «perché il tribunale è il luogo che più di ogni altro deve tutelare i diritti dei cittadini», dice. La Guardia di Finanza svolge le indagini per la procura di Catania e a giugno del 2018 mette nero su bianco che il pagamento dell’immobile «è avvenuto in maniera simulata», che tra l’acquirente all’asta e il notaio «esistono ulteriori atti di comodato e compravendita» e che «appare verosimile» che colui che ha comprato l’appartamento all’asta «sia stato prestanome o socio del notaio» che ne è poi diventato proprietario. Tutto archiviato, ma l’imprenditore non molla: «Ci sono organizzazioni che si muovono all’interno del mondo delle aste giudiziarie, approfittando dei prezzi più bassi e delle difficoltà economiche di chi fa impresa». Insieme all’avvocato Rosa Castiglione, Salvatore Guerino scandaglia il web, chiede visure, raccoglie atti pubblici.

Scopre che il notaio che ha comprato la sua casa ha partecipato a innumerevoli aste giudiziarie e rivenduto immobili a prezzi più alti. Torna all’attacco con una nuova querela, allega decine di atti, documenti catastali e ispezioni ipotecarie: nel 2020, il notaio risulta essere proprietario di ben venticinque immobili, senza contare quelli intestati alle figlie, anche minorenni, e alla moglie. E qui, tra una visura e un certificato di stato di famiglia, spunta la sorpresa. Fino al 2015, la moglie del notaio è giudice al tribunale di Catania e non in una sezione qualunque, ma alle esecuzioni immobiliari. E inizialmente le era stato assegnato il fascicolo numero 170 del 2007, ovvero la prima istanza di vendita dell’appartamento di Salvatore Guerino. La procedura non è stata portata a compimento e l’immobile è poi passato ad altro magistrato, che ha proceduto alla vendita su richiesta di nuovi creditori. Oggi il tribunale di Catania sta indagando sul notaio. L’ultima relazione della Guardia di Finanza è datata 10 agosto 2021: ricostruisce innumerevoli operazioni sospette che lo coinvolgono, tra cui la compravendita di un immobile con la società Tropical Agricola Srl, «ritenuta nella titolarità effettiva di Benedetto Santapaola, Aldo Ercolano e Giuseppe Cesarotti» e i cui beni sono stati confiscati a novembre scorso, poiché ritenuti parte del patrimonio occulto direttamente riconducibile ai vertici della famiglia mafiosa Santapaola-Ercolano. Nonostante le ripetute richieste di archiviazione da parte del pm, il 19 gennaio di quest’anno il gip Nunzio Sarpietro ha accolto le istanze dell’avvocato di Guerino e chiesto indagini supplementari per i reati di riciclaggio e impegno di beni di provenienza illecita.

 

Poi c’è Antonio Sangalli, classe 1941. Titolare di una società di progettazione di impianti industriali che operava in tutta Italia: «Cinquant’anni di fatiche in cui non sono mai sceso a compromessi, ho sempre rispettato la legge e lavorato con correttezza ed onestà, ma non è bastato. Mi sono ritrovato con un debito di 590mila euro perché non riuscivo più a pagare il mutuo che avevo acceso con l’azienda e lì è finito tutto». Nel 2011, la banca pignora la sua villa a Catania: il consulente tecnico del tribunale la valuta 2 milioni e centomila euro. Solo che a quel punto le cose si complicano. Il fascicolo della villa viene sottratto al giudice che aveva fatto eseguire la consulenza e assegnato ad un altro: con cinque tentativi di vendita andati deserti e quattro ribassi, nel 2018 la casa viene aggiudicata per 498mila euro, un milione e 600mila euro in meno della sua valutazione iniziale: «Sono ancora pieno di debiti – si dispera Sangalli – la mia casa è stata svenduta ed io non riesco a uscire da quest’incubo».

Eppure non molla. Come Guerino, anche Sangalli è convinto di essere finito in una storia più grande di lui, una storia che a marzo del 2020 racconta per filo e per segno in una lunga denuncia depositata alla procura di Messina e indirizzata, per conoscenza, al Csm e al ministero della Giustizia. Contiene i nomi di diversi magistrati che hanno avuto, o hanno tutt’ora, un ruolo nella sezione esecuzioni immobiliari del tribunale di Catania. Che cosa è successo? Il giudice a cui sono stati sottratti non solo il fascicolo in questione, ma intere annate di procedure esecutive immobiliari per assegnarle ad un collega, si è rivolto prima al Csm, che non ha riconosciuto la legittimità delle sue rimostranze e poi al Tar, che gli ha dato ragione. Quando il fascicolo è tornato tra le sue mani, ha annullato l’aggiudicazione della casa di Sangalli e disposto che venisse nuovamente messa all’asta. A quel punto, la banca creditrice ha fatto ricorso e altri giudici hanno confermato l’aggiudicazione. La denuncia di Sangalli riporta dettagli precisi: il coniuge di uno dei giudici della sezione esecuzioni immobiliari partecipa alle aste del tribunale. Come nella storia di Salvatore Guerino, solo che non si tratta dello stesso magistrato. L’avvocato di Sangalli, Vincenzo Drago, è durissimo: «Si tratta di un sistema». La denuncia si conclude così: «Al fine si scongiurare che altri utenti possano subire ingiustizie di tal guisa (…), il sottoscritto chiede che venga disposta un’indagine a cura del ministero in ordine all’andamento della giustizia attualmente amministrata presso il tribunale di Catania, sezione esecuzioni immobiliari». Sebbene abbia espressamente chiesto di essere informato di un’eventuale archiviazione, Antonio Sangalli sta ancora aspettando di sapere che fine abbia fatto la sua denuncia.

 

E arriviamo alla famiglia Ossino. «Mi spezza il cuore – dice il figlio Alessio – vedere la mia famiglia distrutta per un debito di 30mila euro che è lievitato fino a 850mila. Ho disturbi di personalità gravissimi e ho tentato più volte il suicidio. Questa vicenda mi ha causato una terribile depressione, quando abbiamo perso la casa sono finito per tre anni in mezzo a una strada». Stesso tribunale, stessa sezione: la casa degli Ossino, intestata alla madre Carmela, viene venduta all’asta giudiziaria dopo un pignoramento, ma il presidente della sezione sospende il decreto di trasferimento emesso dalla giudice Maria Fascetto Sivillo. Si tratta di uno dei giudici a cui erano state sottratte intere annate di fascicoli: tra questi, c’era anche quello di Antonio Sangalli. È lei che aveva fatto e vinto il ricorso al Tar affinché tornassero di sua competenza. Le storie si intrecciano e negli anni si complicano: processi penali, sentenze annullate, provvedimenti disciplinari, trasferimenti d’ufficio revocati o mai attuati. Ad aprile del 2019, con un lungo elenco di motivazioni il ministro della Giustizia Bonafede promuove un’azione disciplinare nei confronti della giudice Fascetto Sivillo, chiedendo l’applicazione della misura cautelare e la sospensione delle sue funzioni, nonché il collocamento fuori dal ruolo organico della magistratura. La giudice risponde denunciando a sua volta il ministro per aver promosso l’azione disciplinare, denuncia archiviata. La Cassazione invece accetta il ricorso della giudice contro la sospensione e il procedimento torna al Consiglio superiore della magistratura, la prossima udienza si terrà a marzo prossimo.

 

Ma non è finita qua. Maria Fascetto Sivillo è sotto processo anche per la vicenda della famiglia Ossino, per i reati di diffamazione, calunnia e abuso d’ufficio. Secondo la procura di Messina, il magistrato avrebbe deciso di vendere la casa degli Ossino nonostante la loro istanza di ricusazione che le imponeva di astenersi e di sospendere il processo. La giudice Fascetto Sivillo nega tutto e rilancia. Dichiara di essere stata minacciata, di essere vittima di un complotto per avere «denunciato parentele e favori all’interno del tribunale», «di essersi messa contro un sistema», “il sistema”, come lo ha definito Luca Palamara. Lo stesso Luca Palamara che da membro del Csm aveva esaminato e preso i provvedimenti nei confronti della Fascetto Sivillo e di cui il 22 marzo scorso l’avvocato della giudice, Carlo Taormina, ha raccolto in un verbale le dichiarazioni su quanto avvenuto a Catania in questi anni. I veleni nel mondo della giustizia italiana continuano a diffondersi. 

PRECISOCHE – La replica del presidente della Sesta Sezione Roberto Cordio

 

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