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Avvocati sul piede di guerra per i disservizi nelle nuove procedure di pignoramento disposte dalla riforma Cartabia che invece di semplificare, come negli intenti della norma, avrebbero creato una situazione di stallo. L’allarme l’ha lanciato qualche giorno fa l’ Organismo congressuale forense denunciando i ritardi dell’amministrazione nella predisposizione degli strumenti informatici in materia di pignoramenti. In particolare, l’assenza dei collegamenti necessari per consentire agli Ufficiali giudiziari di accedere alle banche dati fiscali, previdenziali ecc. per l’acquisizione di “tutte le informazioni rilevanti per l’individuazione di cose e crediti da sottoporre ad esecuzione, comprese quelle relative ai rapporti intrattenuti dal debitore con istituti di credito e datori di lavoro o committenti”.

L’Ocf aveva così chiesto al Ministero di intervenire, da una parte, velocizzando l’informatizzazione; dall’altra, per permettere agli avvocati di rivolgersi direttamente ai gestori delle banche dati senza ulteriori istanze. Nulla però è stato fatto con il risultato che i tribunali si stanno muovendo in ordine sparso, addirittura chiedendo – come la Corte di appello di Bari – il pagamento di un diritto per attestare il mancato collegamento alle banche dati. Un versamento che certamente la legge non prevede e che suona come una beffa in quanto si limita a certificare un disservizio dell’amministrazione. Eppure, l’attestato risulta necessario per fare richiesta di accesso diretto alle banche dati.

La riforma Cartabia del processo civile (Dlgs 10 ottobre 2022, n. 149, la cui entrata in vigore è stata anticipata al 28/2023), all’articolo 3, comma 36, lettera b), ha modificato l’articolo 492 bis del codice di procedura civile stabilendo che su istanza del creditore procedente deve essere “l’ufficiale giudiziario ad accedere mediante collegamento telematico diretto ai dati contenuti nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni e, in particolare, nell’anagrafe tributaria, compreso l’archivio dei rapporti finanziari, e in quelle degli enti previdenziali”. Non è più possibile, dunque, per il creditore proporre istanza al Presidente del Tribunale per ottenere l’autorizzazione ad effettuare direttamente presso le banche dati delle Pubbliche Amministrazioni e dell’Anagrafe Tributaria le ricerche dei beni del debitore da pignorare, come invece era consentito prima della riforma. Attualmente, quindi, tale ricerca potrà essere fatta soltanto da parte dell’Ufficiale Giudiziario.

“Anche la norma di salvaguardia, contenuta nell’art. 155-quinquies disp. att. c.p.c. – afferma l’Avvocatura -, non soccorre adeguatamente allo scopo, in quanto di incerta applicazione e comunque impositiva di una inutile richiesta di indagine all’Ufficiale Giudiziario e della necessità di una attestazione che alcuni Uffici concedono solo previo pagamento di un diritto che la legge non prevede e comunque non ha ragione di essere dovendosi attestare un disservizio e la mancata applicazione di una norma”.

In questa situazione, la Corte di appello di Bari – Ufficio notificazioni, comunica, con una nota a firma del dirigente Unep, di aver predisposto un modello di istanza da presentare allo sportello “Esecuzioni” insieme al titolo esecutivo e al precetto in originale. “ln attesa di disposizioni ministeriali chiarificatrici – si legge -, verrà percepito il diritto di euro 6,71.” E subito dopo si aggiunge che “come noto, l’Amministrazione non ha ancora dotato gli Unep degli strumenti necessari per l’accesso diretto alle banche dati di cui all’articolo 155-quater disp att cpc.”. Pertanto, l’ufficio rilascerà, al momento, soltanto una comunicazione attestante la non attuabilità della ricerca telematica (così anche il Tribunale di Enna).

Una decisione che ha scatenato la reazione del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Bari che, in una delibera, sottolinea che esso non ha ragione di essere “dovendo solo attestare un disservizio e la mancata applicazione di una norma”. Il Coa ha così deliberato di avviare una interlocuzione “costruttiva” con l’Agenzia delle entrate e con il presidente del Tribunale e della Corte di appello per dare “piena attuazione” alla riforma e “ove possibile siglare dei protocolli di intesa o convenzioni per consentire ai legali un accesso indiritte alle banche dati, senza l’aggravio di costi ingiustificati per una mancata consultazione dei registri da parte dell’ufficiale giudiziario”.

Mentre L’Unepp presso la Corte di appello di Milano avvisa che “in considerazione della mancata attivazione da parte del Ministero delle strutture tecnologiche necessarie a consentire l’accesso diretto alle banche dati di cui all’art. 492-bis c.p.c.”, si seguirà la procedura prevista dall’articolo 155-quinquies disp. att. c.p.c.. Oltre alle istanze debitamente compilate, dovranno essere esibiti titolo e precetto in originale e depositate
copie degli stessi, mentre il “deposito” sarà pari a € 50,00″. L’avvocato riceverà PEC di disponibilità dell’atto, che andrà ritirato all’Ufficio Resa, previa prenotazione dell’appuntamento.

A questo punto però, come auspicato dall’Avvocatura, sarebbe opportuno che il Governo garantisse “sull’intero territorio nazionale l’applicazione di una prassi uniforme e priva di imposizioni di diritti non previsti dalla legge, chiarendo che fino a quando non sarà attivato il collegamento con le banche dati e reso effettivo il servizio con l’adeguata formazione del personale Unep è consentito ai legali del creditore di rivolgersi direttamente ai gestori delle banche dati senza ulteriori istanze e con il rispetto della normativa sul gratuito patrocinio, al fine di dare effettività alla tutela del creditore e non appesantire inutilmente le procedure”.

 

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