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Energia eolica: vantaggi, svantaggi e alternative #finsubito prestito immediato


L’energia eolica è una delle tante forme di energia rinnovabile. Quell’energia che dovrà diventare preponderante, nel futuro prossimo, per evitare l’impatto sulla salute umana e ambientale provocato dallo sfruttamento delle fonti fossili.

Tuttavia, come tanti ambiti, anche l’energia eolica ha i suoi pro e i suoi contro, le sue luci e le sue ombre. Specialmente se utilizzata senza le dovute accortezze e con intenti più speculativi che ecologici. Scopriamo quindi vantaggi e svantaggi di questo tipo di energia. E anche alternative e soluzioni per risolvere i suoi maggiori problemi.

Cos’è l’energia eolica

L’energia eolica è un tipo di energia rinnovabile prodotta grazie alla forza del vento. Gli aerogeneratori, tipicamente dotati di pale rotanti, trasformano l’energia cinetica dell’aria in energia meccanica. Questa, a sua volta, mette in moto un rotore, che converte l’energia meccanica in energia elettrica.

Ad oggi la maggioranza degli impianti eolici è composta da qualche decina di aerogeneratori, che vanno dai 60 metri ai 200 metri di altezza e con rotori dai 20 metri agli 80 metri di diametro, installati uno accanto all’altro a formare i cosiddetti parchi eolici

Questi parchi si dicono “onshore” se realizzati su terraferma, “nearshore” se costruiti a mare, ma vicini alla costa, e “offshore” se ancorati o galleggianti in mare aperto.

Eolico nel mondo, in Europa e in Italia

Al 2024, nel mondo sono stati installati circa 1 TW (1000 GW) di potenza di energia eolica. In Europa si è raggiunta quota 204 GW nel 2022, mente in Italia, nel 2024, si è arrivati a 12 GW.

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Tutti numeri che prevedono di aumentare, se si vuole raggiungere l’obiettivo di abbandonare totalmente le fonti fossili per produrre energia. Da qui al 2030, infatti, l’obbiettivo europeo è quello di arrivare a circa 500 GW e quello italiano è di circa 30 GW. 

quali sono i vantaggi e gli svantaggi dell’eolico

Vantaggi dell’eolico

Primo fra tutti, l’energia eolica è rinnovabile, cioè si ricava da una fonte (il vento) che è inesauribile. E non emette sostanze inquinanti per produrre la sua energia. Il costo dell’energia prodotta è inferiore rispetto a quello derivante da fonti fossili, il che si traduce anche in un risparmio in bolletta. Bassi sono anche i costi operativi di mantenimento e gestione una volta che gli impianti sono a regime. Tutto il settore ha anche un grande potenziale per creare posti di lavoro.

Gli impianti eolici sono molto flessibili, nel senso che possono essere adattati a vari contesti sia su terraferma che su acqua. Nel caso di quelli su acqua, le turbine possono essere anche più grandi, il che significa maggior energia prodotta.

Nel caso dei parchi offshore, a volte le strutture sottomarine si trasformano in scogliere artificiali che ospitano molte specie. Oltretutto più protette dal fatto che nei dintorni del parco è ovviamente interdetta la pesca e la navigazione in generale. 

Sempre parlando degli impianti in mare aperto, l’impatto sul paesaggio è minimo, se vengono realizzati sufficientemente lontani dalla costa. Un parco da 15 MW a 12 km dalla linea di costa avrebbe le dimensioni di 1.5 cm nel campo visivo. E comunque, in generale, i potenziali impatti del cambiamento climatico sarebbero di gran lunga superiori a quelli delle turbine eoliche. 

I parchi a mare non compromettono le attività di pesca e trasporto, perché sono appositamente collocati lontani da queste rotte. Secondo i sondaggi, non compromettono nemmeno il turismo. E le basse frequenze impresse nel terreno, grazie a degli smorzatori a massa risonante, possono convivere con sensibili strumentazioni nelle vicinanze, come nel caso del parco di Gello (PI) che non infastidisce le misurazioni dell’EGO (European Gravitational Observatory). 

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Seguendo la norma di legge, le turbine vengono installate lontane da rotte migratorie o zone di foraggiamento. Ma, per ogni evenienza, possono essere dotate di sensori capaci di fermarle se rilevano stormi in avvicinamento, e possono anche essere colorate con pigmenti più facilmente riconoscibili dai volatili.

Infine, le turbine hanno una durata attuale di 20-25 anni. Manutenzione, smontaggio o potenziamento non sono difficoltosi. E l’80-90% dei loro componenti è interamente riciclabile

Svantaggi dell’eolico

Un primo svantaggio è l’intermittenza, cioè il fatto di dipendere dalla presenza o assenza di vento. E i costi iniziali elevati, anche si diminuiti molto negli ultimi 10 anni. 

Fra basamenti delle turbine, elettrodotti, stazioni elettriche, impianti di accumulo e strade per il trasporto dei materiali in fase di costruzione, il consumo di suolo richiesto è notevole. A maggior ragione in quei luoghi strategici per la presenza di vento ma molto remoti. E ancora di più se la realizzazione di molti di questi progetti viene concentrata in uno stesso territorio: come già accaduto in Italia, dove Puglia, Basilicata, Sicilia, Sardegna, Campania e Calabria ospitano il 90% della potenza installata nel Paese. 

Per evitare che un impianto offshore possa danneggiare visivamente un paesaggio, sparendo totalmente dal campo visivo di chi si trovasse sulla costa, il parco dovrebbe essere realizzato oltre i 60 km da essa, non a circa 20-25 km come viene fatto di solito. 

Normative

Normative europee come il Regolamento 2021/241, la Carta dei Diritti Fondamentali e la VAS (Valutazione Ambientale Strategica), e normative italiane come il DM 219/2010 e l’articolo 9 della Costituzione, prevederebbero valutazioni preventive, partecipazione pubblica ai progetti, tutela del paesaggio, divieto di arrecare danno significativo all’ambiente. Eppure, lo stesso Green Deal europeo e, in Italia, il Decreto Semplificazioni e il Regolamento Tassonomia, sembrano non considerare tutto questo, aprendo di fatto la strada alla speculazione

Anche se Green Deal, Direttiva RED e Strategia Europea sulla Biodiversità al 2030 prevedono un’attenzione all’impatto di questi impianti su specie e habitat, nei fatti in Italia c’è soltanto il divieto di non realizzare queste strutture nelle Zone di Protezione Speciale (ZPS). Per il resto, manca una pianificazione adeguata, come una mappa e una banca dati delle aree e delle specie volatili più sensibili.

Pale eoliche difficili da riciclare

Se da un lato è vero che una turbina eolica è composta in gran parte da materiali riciclabili, dall’altro non si può dire lo stesso per le pale, tipicamente costituite da fibra di vetro, fibra di carbonio, polimeri termoindurenti, colla, vernici, schiuma di polistirene, schiuma poliuretanica, legno di balsa, terre rare. Non esiste ancora una tecnologia capace di separare questi materiali e nemmeno un impianto di riciclo apposito. Escludendo l’inceneritore, nei fatti molte pale eoliche dismesse fino ad oggi sono finite in discarica. Da qui ai prossimi 10 anni, uno studio di Anev, Eletticità Futura e Assocompositi stima 30-40.000 tonnellate di pale da smaltire in Italia; nel mondo, secondo uno studio dell’Università di Cambridge, si parla di 43 milioni di tonnellate entro il 2050.

Mappatura impianti

In Italia non esiste una mappatura completa e aggiornata di tutti gli impianti costruiti, approvati o in corso di approvazione. Il risultato è che, a volte, si vengono a sovrapporre più progetti per una stessa area. Oppure, che le richieste superano di gran lunga la domanda: al 30 giugno 2024 risultano 2000 richieste di concessioni nel Paese, per un totale di 191 GW di potenza, un valore 7 volte più alto di quello di 28.1 GW fissato al 2030 dal PNIEC (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima). 

Il Decreto Aree Idonee Rinnovabili di giugno 2024 prevede che le Regioni individuino entro la fine dell’anno le aree idonee alla costruzione di nuovi parchi ma, nei fatti, poche o nessuna Regione si è ancora impegnata in questo senso. Oltretutto, secondo quanto denunciato dalla Coalizione Articolo 9, grazie a semplificazioni burocratiche, decreti emanati in tempi record e veti del Consiglio dei Ministri che sorpassano eventuali pareri negativi della Soprintendenza Speciale per il PNRR, i progetti ottengono spesso il via libera, e Comuni e Regioni accettano passivamente quello che viene deciso dalle imprese costruttrici, che possono anche procedere con espropri di terreni.

Sempre secondo quanto denunciato dalla Coalizione Articolo 9, spesso le imprese non rischiano i propri capitali in questi progetti, ma incassano finanziamenti statali o sovrastatali, e incentivi a carico degli utenti in bolletta per ogni kWh prodotto. 

Il caso dell’eolico in Sardegna

Quello che sta accadendo in Sardegna negli ultimi due anni è un caso davvero esemplare per avere il quadro della questione. 

Ad oggi, la Regione ricava il 33% della sua energia elettrica da fonti rinnovabili e il 67% da fonti fossili; e in tutto questo ha una produzione di energia che supera la domanda di circa il 40%, percentuale che viene esportata e fornita al fabbisogno di altre Regioni. 

Per soddisfare la domanda interna della Sardegna, magari coprendola interamente con fonti rinnovabili, sarebbe sufficiente arrivare a una potenza installata di 4 GW. Tenendo anche ben presenti i 38 invasi artificiali che ben si prestano all’idroelettrico. In altre parole, se la Sardegna portasse la sua produzione di energia al suo reale fabbisogno, e togliesse quel 40% di surplus alle sole fonti fossili, raggiungerebbe già oggi gli obiettivi di decarbonizzazione fissati al 2030 dall’Unione Europea. 

Nonostante tutto ciò, il governo italiano ha fissato a 6.2 GW (minimi) l’obiettivo di potenza rinnovabile per la Regione. Già adesso ci sono richieste di concessioni per l’impressionante cifra di 58 GW e non è stato fissato alcun tetto massimo né alla potenza installabile, né alla percentuale di territorio occupabile. 

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Mancano studi sulle aree idonee e sugli impatti ambientali, ma non mancano casi di impianti costruiti vicini o in corrispondenza di siti archeologici, rotte migratorie, ZPS o SIC (Siti di Interesse Comunitario). Dei casi che hanno anche comportato espropri di terreni, tagli di alberi e distruzione di muretti a secco.

Dietro a questi progetti ci sono spesso società di recente costruzione, con capitali sociali limitati, e legate a società multinazionali extra-europee. Società che chiedono concessioni trenta o quarantennali, e che possono ricevere opposizioni ai loro progetti entro un massimo di 30 giorni dalla presentazione. 

L’impressione complessiva di molti cittadini e associazioni, quindi, è che, con la scusa della transizione energetica, in Sardegna molte aziende non stiano facendo altro che speculazione

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eolico in Sardegna. Foto da gruppo Facebook “No eolico in Sardegna”

Soluzioni e alternative

Sicuramente esistono soluzioni per continuare a utilizzare i parchi eolici così come sono ma in modo giusto ed equo sia per le persone che per l’ambiente. 

Sfruttare una combinazione fra fonti rinnovabili e impianti di accumulo per risolvere l’intermittenza. Individuare le aree idonee per i nuovi impianti e creare una mappa di quelli esistenti. Condurre studi approfonditi preventivi su impatti ambientali, sociali ed economici. 

Stabilire dei limiti per la potenza installabile e per il territorio occupabile. Abrogare diritti di esproprio e di incentivo delle ditte costruttrici e porre un vincolo di un’adeguata copertura finanziaria per presentare i progetti. E investire nella ricerca di soluzioni per lo smaltimento dei materiali meno riciclabili.

Per quel che riguarda l’Italia in particolare, poi, non dimentichiamo che, secondo uno studio di ISPRA, sarebbe possibile raggiungere gli obiettivi rinnovabili del PNIEC al 2030 installando solo fotovoltaico su coperture, senza ulteriore consumo di suolo né di solare né di eolico. 

Se però vogliamo dirla tutta, allora bisogna anche tener presente che le pale eoliche non sono l’unica tecnologia esistente per sfruttare l’energia del vento. 

Le pale eoliche fanno parte degli aerogeneratori ad asse orizzontale (HAWT), ma esistono anche quelli ad asse verticale (VAWT), costruiti già a partire dagli anni ’20, e di cui già oggi esistono ottimi esempi in Paesi come Giappone e Taiwan. 

Pale verticali VAWTPale verticali VAWT

Pale verticali VAWT. Frame dal video di Caltech

I VAWT necessitano di aree più ventose, hanno costi più alti e, a parità di dimensioni con un HAWT, producono meno energia e la convertono in modo meno efficiente. Però hanno altezze medie di 10 m, quindi hanno un impatto ridottissimo su paesaggio, ambiente e animali. E fanno rima con “autoproduzione”, perché si possono realizzare degli impianti anche a livello domestico

Non dipendono dalla direzione del vento come gli HAWT, sono più silenziosi, adatti all’offshore come gli HAWT ma adattabili anche a terreni impervi su terra. Se ben realizzato, un parco di turbine VAWT può produrre una potenza per metro quadrato 10 volte superiore a quella di un HAWT delle stesse dimensioni. Infine, sarà pure vero che, al momento, il costo economico di un VAWT è maggiore, ma il costo in termini di impatto ambientale, sociale ed economico è sicuramente più basso.

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Enrico Becchi

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Fonti
Studio IPSRA su eolico
Eolico, i danni sull’avifauna
Rapporto consumo di suolo ISPRA
Eolico in Sardegna, le alternative

Guarda il video
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