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Questo articolo è stato pubblicato originariamente in inglese

I Paesi devono trovare una nuova intesa sui finanziamenti per il clima in vista della conferenza delle Nazioni Unite sul clima che si terrà a novembre di quest’anno

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I colloqui sui finanziamenti per il clima alla Conferenza sul clima di Bonn di martedì scorso si sono conclusi con uno stallo. I Paesi coinvolti non sono riusciti a compiere alcun progresso concreto sulla questione.

Il tema è stato al centro delle discussioni in Germania. Le nazioni devono concordare il nuovo obiettivo collettivo quantificato (Ncgq) in vista della COP29 di Baku a novembre. Si tratta della somma di denaro che i Paesi sviluppati dovranno mobilitare ogni anno a partire dal 2025 per sostenere l’azione per il clima nei Paesi in via di sviluppo.

Ci sono stati forti disaccordi sull’entità della cifra, su chi dovrebbe essere prioritario per i finanziamenti e su chi includere tra i Paesi “sviluppati”. I negoziatori hanno espresso la loro delusione dopo la decisione di rinviare le discussioni ai prossimi mesi.

Quali Paesi dovrebbero contribuire?

Garantire i contributi per i fondi per il clima è da tempo un punto critico di negoziati come questo. C’è chi sostiene, come la Norvegia, che i Paesi con elevate emissioni e capacità economiche, come la Cina o i Paesi petroliferi, dovrebbero far parte del gruppo che contribuisce. Attualmente questi Paesi si definiscono in via di sviluppo ai sensi dell’Accordo di Parigi, il che significa che non sono tenuti a fornire denaro ai fondi.

Anche gli Stati Uniti ritengono che il pool di donatori dovrebbe essere ampliato per includere le economie emergenti. Un altro punto critico riguarda chi dovrebbe ricevere i fondi. Molti Paesi sviluppati, come gli Stati Uniti, ritengono che i fondi debbano andare a coloro che sono più vulnerabili agli impatti del cambiamento climatico, i Paesi meno sviluppati (Ldc) e i piccoli Stati insulari in via di sviluppo. Ma i Paesi in via di sviluppo sostengono che tutti dovrebbero essere ammessi ai finanziamenti.

I finanziamenti per il clima dovrebbero essere erogati sotto forma di fondi o di prestiti?

I Paesi in via di sviluppo hanno anche contestato ciò che costituisce effettivamente il finanziamento per il clima. Sostengono che i prestiti non dovrebbero essere conteggiati tra i contributi dei Paesi sviluppati.

Un recente rapporto dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) ha rilevato che nel 2022 i Paesi sviluppati hanno rispettato la loro promessa di mettere a disposizione 100 miliardi di dollari (93,2 miliardi di euro) all’anno, “il più grande aumento annuale osservato finora”. Tuttavia, il 69% di questi fondi è stato erogato sotto forma di prestiti.

Gruppi come l’Alleanza dei piccoli Stati insulari (AOSIS) e i Paesi meno sviluppati affermano che questo non fa che aumentare l’onere del debito delle nazioni più vulnerabili. “Dal nostro punto di vista, si tratta di giustizia, di riparazione, di responsabilità dei Paesi ricchi – ha dichiarato Harjeet Singh, attivista per il clima e osservatore alla conferenza di Bonn, durante una conferenza stampa – mentre loro la vedono come un’altra opportunità per fare soldi. Il rapporto dell’OCSE racconta proprio questo”.

I dati appena pubblicati dal Centro per lo sviluppo globale (CGD), condivisi con Carbon Brief, suggeriscono che l’obiettivo dei 100 miliardi di dollari potrebbe essere stato raggiunto anche rietichettando gli aiuti esistenti.

L’aspettativa è che le nazioni sviluppate avrebbero dovuto fornire fondi “nuovi e aggiuntivi” oltre a quelli che già forniscono. Ma la CGD sostiene che almeno 6,5 miliardi di dollari (6,4 miliardi di euro) dell’aumento record degli aiuti al clima nel 2022 sono stati dirottati da altri programmi di aiuto allo sviluppo.

Questo potrebbe aver permesso alle nazioni ricche di raggiungere i loro obiettivi climatici nonostante la riduzione del budget complessivo per gli aiuti esteri.

La Banca Mondiale accetta di ospitare un fondo per le perdite e i danni

Dopo anni di dibattiti alla COP27 del 2022 è stato concordato un fondo per le perdite e i danni, un meccanismo finanziario progettato per fornire un sostegno cruciale alle nazioni vulnerabili che affrontano il peso delle sfide legate al clima. L’anno scorso alcuni Paesi, tra cui l’Italia e i Paesi Bassi, hanno iniziato a impegnare delle somme di denaro per questo fondo.

Mentre i colloqui erano in corso a Bonn, martedì il consiglio di amministrazione della Banca Mondiale ha approvato un piano che prevede che la Banca agisca come sede provvisoria dei fondi per le perdite e i danni. La Banca Mondiale ha dichiarato che manterrà il fondo intermedio per quattro anni, con un consiglio di amministrazione indipendente dalla banca e dotato di una propria struttura di governance e di controllo sulle decisioni di finanziamento.

La Banca Mondiale ha dichiarato che si tratta di “un’importante pietra miliare nel percorso verso l’operatività del fondo, in collaborazione con il consiglio di amministrazione del fondo per la risposta alle perdite e ai danni”.

“Si tratta di un importante passo avanti nell’attuazione degli impegni presi alla COP28”, ha aggiunto la presidenza della COP28 in un post sui social media.

Ma questo è stato anche un punto di contestazione per i Paesi in via di sviluppo che temono che i Paesi sviluppati, compresi gli Stati Uniti che nominano il presidente della Banca Mondiale, possano avere un’influenza eccessiva.

Cosa significa questo per la COP29?

Con molte decisioni importanti in materia di denaro da prendere, la COP29 che si terrà in Azerbaigian a novembre è già stata soprannominata la “COP finanziaria”.

I Paesi continueranno a discutere per trovare una nuova intesa sui finanziamenti per il clima dopo aver finalmente raggiunto l’impegno di 100 miliardi di dollari. Si prevede che l’NCGQ vada oltre l’obiettivo originale di 100 miliardi di dollari come importo minimo e si basi sui bisogni reali dei Paesi colpiti dal cambiamento climatico.

 

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