Spin-off dell’Università dell’Arizona, la startup Solestial (che nel 2022 ha chiuso un giro di finanziamento per 10 milioni di dollari al quale hanno partecipato Aei, Airbus Ventures, Gpvc, HorizonX, Stellar Ventures, Industrious Venture e altri investitori), sta sviluppando delle celle solari spaziali al silicio, ultrasottili, in grado di “autoripararsi” dai danni provocati dalle radiazioni cosmiche. L’ottimismo del Ceo, Stan Herasimenka.
Energia solare raccolta direttamente dallo Spazio
Rispondere (colpo su colpo) al boom della Space Economy è sempre più rilevante. A livello nazionale, il rimando va – in particolare – alle celle solari spaziali prodotte da Cesi in collaborazione con ASI, l’Agenzia Spaziale Italiana, parte del programma Space Factory 4.0 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Sottili come un capello, vantano un’efficienza del 35% (contro l’odierno 30%).
Dall’Italia agli Stati Uniti, dove la startup Solestial – spin-off dell’Università dell’Arizona, nata come Regher Solar, nel 2022 ha chiuso un giro di finanziamento per 10 milioni di dollari al quale hanno partecipato Aei, Airbus Ventures, Gpvc, HorizonX, Stellar Ventures, Industrious Venture e altri investitori –, sta sviluppando delle celle solari spaziali al silicio, ultrasottili, in grado di “autoripararsi” dai danni provocati dalle radiazioni cosmiche. Criticità, questa, assai rilevante per i satelliti che operano nelle fasce di Van Allen, le regioni della magnetosfera terrestre ricche di particelle ad alta energia.
Produzione in serie su larga scala
Il futuro dell’energia passa (anche) dalle celle solari spaziali “autoriparanti”. Prima di entrare nel dettaglio, va ricordato che – come scrive Clean Technica – a novembre 2023 Solestial ha ottenuto un contratto di Fase II Small Business Innovation Research (“SBIR”) dalla NASA (la proposta vincitrice, è giunta sulla scia di un contratto di Fase I da 149.987 dollari nel gennaio dello scorso anno) e sta approntando, in accordo con l’azienda leader mondiale nella produzione di celle solari Meyer Burger Technology, la produzione in serie su larga scala di questa tecnologia.
Snocciolando alcuni numeri, il fine è decisamente ambizioso: acquisire una capacità produttiva di oltre 1 megawatt all’anno entro metà 2025 (parliamo di un volume rapportabile all’intera produzione globale attuale di celle solari spaziali “tradizionali”). E ancora, la tecnologia di Solestial per le nuove celle solari spaziali ultrasottili consentirebbe di ridurre del 90% i costi di produzione rispetto alle cosiddette celle III-V (ovvero, quelle celle che sono fondate su elementi – semiconduttori – presenti nella tavola periodica nel terzo o quinto gruppo), schiudendo nuove porte al solare spaziale.
Precisa Stan Herasimenka, Ceo e cofondatore dell’azienda con sede a Tempe: “In una cella solare sottile, gli elettroni generati dalla luce non devono percorrere lunghe distanze per essere estratti e, seppur le radiazioni dello Spazio creano un difetto, hanno assai meno probabilità di ricombinarsi attraverso questa criticità”.
Potenziale dell’energia solare dallo Spazio
Il concetto di energia solare spaziale prevede la sua raccolta e conseguente diffusione wireless sulla Terra. Considerato che il sole splende di continuo nello Spazio (dunque, indipendentemente dall’ora del giorno), c’è il potenziale per erogare una fonte di energia rinnovabile pulita praticamente senza limiti. Certo, come riporta la Reuters, l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) lo ribadisce da anni: il solare sarà l’Eldorado. E ancora, secondo le previsioni dell’organizzazione, prossimamente supererà l’eolico e l’idroelettrico per spodestare, entro il 2027, anche il carbone.
Va altresì detto che le opinioni in merito sono discordanti presso la comunità scientifica internazionale. Il fisico Casey Handmer ritiene che i costi rendano l’energia solare spaziale una modalità di approvvigionamento del tutto proibitiva. E anche Elon Musk, l’imprenditore visionario dietro aziende come SpaceX e Tesla, è della stessa opinione.
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