La Corte di Cassazione penale, nella sentenza n. 40015 del 30 ottobre 2024, ha respinto un ricorso avverso l’ordinanza del Gip che aveva applicato nei confronti dei ricorrenti la misura cautelare degli arresti domiciliari con divieto di comunicazione, in quanto gravemente indiziati del delitto di concorso in truffa aggravata ai danni dello Stato, in relazione all’ottenimento di importi a titolo di bonus facciate per lavori mai eseguiti.
Bonus e truffa aggravata ai danni dello Stato: il caso
Il ricorso era motivato dalla presunta erroneità dell’imputazione, dovendosi applicare nel caso trattato il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter cod. pen.), invece di quello di truffa aggravata finalizzata al conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640 bis cod. pen.). La sentenza chiarisce che il primo differisce dal secondo per la mancanza dell’elemento dell’induzione in errore, la quale può anche desumersi dal falso documentale allorché lo stesso, per le modalità di presentazione o per altre caratteristiche, sia di per sé idoneo a trarre in errore l’autorità .
È artificiosa, e pertanto idonea ad integrare il reato di truffa in danno di ente pubblico, la falsa attestazione, sottoscritta con firma apocrifa, di essere nelle condizioni per poter percepire bonus da parte di soggetti non aventi diritto e cioè quando, alla richiesta di riconoscimento di un credito fiscale o altro beneficio economico previsto ex lege, non corrisponda l’esecuzione effettiva delle opere dichiarate.
Il reato di truffa finalizzata al conseguimento di erogazioni pubbliche è contestabile quando risulti che l’importo dei bonus era stato liquidato dalla pubblica amministrazione a seguito della trasmissione di false fatture che attestavano operazioni di vendita o di altri servizi, mai in realtà effettuate. Una tale condotta costituisce un’attività diretta a trarre in inganno la pubblica amministrazione con la trasmissione di dati falsi e la comunicazione di prestazioni mai avvenute.
La truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche per la giurisprudenza
La sentenza cita altre pronunce intervenute in tema di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, con particolare riferimento ai bonus edilizi, delitto che si integra con l’attività organizzata di natura fraudolenta posta in essere per conseguire erogazioni pubbliche, nel caso in cui la falsa dichiarazione all’ente si ponga come uno dei segmenti dell’azione delittuosa, presupponendo essa il mancato possesso di una serie di requisiti dichiarati falsamente esistenti per indurre in errore l’ente erogatore.
Ove il diritto alla prestazione sia stato ottenuto mediante l’invio di falsa documentazione idonea a trarre in inganno l’amministrazione pubblica, irrilevante appare stabilire se, nel caso di specie, il momento consumativo del reato sia antecedente ovvero successivo l’entrata in vigore del decreto-legge n. 34/2020, posto che, secondo la ricostruzione dei fatti, la liquidazione del credito di imposta avveniva a seguito della emissione delle false fatture attestanti l’esecuzione di lavori mai in realtà eseguiti, tale da integrare un vero e proprio artificio e raggiro ai danni della pubblica amministrazione.
Bonus e truffa aggravata ai danni dello Stato: che cosa dice la Cassazione
La Corte di Cassazione ribadisce che il riconoscimento del credito di imposta previsto dalla legislazione in materia di bonus edilizi a seguito della trasmissione di false fatture attestanti l’esecuzione di opere in realtà mai effettuate integra una condotta riconducibile al parametro di cui all’art. 640 bis cod.pen., posto che il riconoscimento del credito da parte dell’ente pubblico è avvenuto a seguito dell’induzione in errore dello stesso.
Nell’ipotesi di crediti fiscali da bonus (bonus facciate o bonus 110%) la condotta illecita può essere integrata dalla predisposizione artificiosa a seguito della trasmissione della falsa documentazione di crediti fiscali nei confronti dell’amministrazione pubblica cui segue la cessione di tale posta attiva a terzi. In tali casi, il soggetto passivo dell’induzione in errore è sempre la pubblica amministrazione, mentre, il danneggiato dal reato, può sia coincidere nella Agenzia delle Entrate, e quindi nell’amministrazione finanziaria, ove il credito sia stato posto in compensazione o comunque liquidato, ovvero, anche nel terzo cessionario del credito che lo abbia poi a sua volta inserito nel proprio cassetto fiscale.
Ad avviso della Corte, il reato è perfezionato a seguito della prima cessione poiché appaiono realizzati tutti gli elementi costitutivi la truffa ex art. 640 bis cod. pen. costituiti dalla induzione in errore della PA, effettuata tramite l’utilizzazione di fatture per lavori mai eseguiti o di differente importo, dal danno conseguente per la pubblica amministrazione risultata debitrice di somme non dovute, ed anche dall’ingiusto profitto, già percepito a seguito della prima cessione del credito.
Il caso di specie: profitto ingiusto e danno altrui
Nel caso trattato, il cessionario dei crediti per bonus facciate per lavori di ristrutturazione inesistenti è stato individuato in Poste Italiane s.p.a., che ha corrisposto le somme accreditandole su diversi conti correnti postali dai quali venivano poi subito movimentati in favore di società o cittadini cinesi, ovvero di altre società straniere. Attraverso, quindi, l’induzione in errore dell’amministrazione finanziaria, i ricorrenti ottenevano il riconoscimento di un credito di imposta la cui liquidazione avveniva da parte dell’ente cessionario dello stesso credito, in questo caso individuato in Poste Italiane s.p.a., con la conseguenza che, in tali casi, sussiste sia il profitto ingiusto, costituito dal credito e dall’importo della successiva cessione, che il danno altrui, integrato sia dal debito dell’amministrazione finanziaria che dall’importo versato dal cessionario all’agente del reato.
Ne consegue, quindi, che essendosi in presenza di crediti per lavori inesistenti, ai fini del perfezionamento del reato e della sua consumazione non occorre necessariamente individuare che l’ultimo cessionario porti in compensazione le somme con l’Agenzia delle Entrate e ne ottenga la liquidazione, essendo sufficiente che anche la sola prima cessione abbia comportato il pagamento di somme non dovute dal cessionario, nel caso in esame costituito da Poste Italiane.
La natura trilaterale della cessione del credito
Un prevalente orientamento giurisprudenziale attribuisce la qualifica di ente pubblico a Poste Italiane s.p.a. osservando tra l’altro che, essendo il suo capitale sociale partecipato in via maggioritaria dallo Stato, il danno ridonda sul patrimonio pubblico. Ai fini dell’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 640, comma secondo, n. 1, cod. pen., devono ritenersi rientranti nella categoria degli enti pubblici tutti gli enti, anche a formale struttura privatistica, aventi personalità giuridica, che svolgano funzioni strumentali al perseguimento di bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale, posti in situazioni di stretta dipendenza nei confronti dello Stato, degli enti pubblici territoriali o di altri organismi di diritto pubblico.
La natura essenzialmente trilaterale della cessione del credito (debitore ceduto-creditore cedente- acquirente cessionario) impone di valutare ai fini del riconoscimento della truffa che il soggetto tratto in inganno (debitore ceduto) può non coincidere con il danneggiato dal reato (cessionario acquirente del credito), ma ciò non esclude comunque l’avvenuto perfezionamento del reato a titolo consumato e non semplicemente tentato.
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