C’è da dire che il vecchio Donald ha rubato la scena un po’ a tutti.
E non mi riferisco alla persona più ovvia, la sua contendente Kamala Harris. Ha proprio rubato la scena a mezzo mondo. Ha fatto una specie di photobombing politico virtuale.
Dalle elezioni americane, si sa, dipendono molte cose, tra cui forse anche l’esito dei due conflitti a noi più prossimi, quelli in Ucraina e in Palestina. E da questa elezione dipenderà anche, in larga parte, il futuro della politica europea.
Ecco che quindi la legge di Murphy ha voluto che queste elezioni arrivassero esattamente mentre a Bruxelles cominciavano le audizioni parlamentari di quelli che sono chiamati a diventare i Commissari Europei per i prossimi anni.
In Italia non c’è grossa abitudine a questa cosa, ma qui a Bruxelles i “ministri” europei vengono abbastanza torchiati prima di insediarsi ufficialmente: il Parlamento, che rappresenta direttamente i cittadini europei, ne fa assai di domande. E ne fa anche di molto scomode.
È per quello che le audizioni dei futuri Commissari Europei spesso sono interessanti: alcuni parlamentari fanno domande sulla fedina penale, sul loro conto in banca, sulla loro competenza, sul fatto che abbiano una laurea o meno. Niente peli sulla lingua, e niente sconti a nessuno.
Certo… è raro che vengano bocciati, eh: in media ne bocciano uno su ventisette. C’è chi dice che quell’uno bocciato lo boccino solo per dimostrare che alla fine anche il Parlamento comanda. Per mostrare i muscoli insomma.
Giusto se ti chiami Rocco Buttiglione e non parli inglese, ecco forse allora ti bocciano… (forse qualcuno se la ricorda quella figura barbina che fece l’allora governo Berlusconi).
Ecco allora che, nel piccolo grande mondo di Bruxelles, tutti si erano preparati all’evento, in ottobre. C’è chi si era preso i popcorn, chi si era dato appuntamento al bar per guardare la diretta con gli amici (oh yes, tutto in diretta streaming) chi pregustava di andare al parlamento direttamente a vederlo nel maxischermo. Ma poi la scelta dei candidati da parte di Ursula Von Der Leyen è andata per le lunge e le audizioni sono state rimandate. E mannaggia, le uniche settimane utili erano proprio le prime di novembre: esattamente coincidenti con le elezioni americane. Sfaiga.
Nessuna sorpresa quindi, che si parlasse solo di Trump in città.
Certo le audizioni sono continuate e qualche domanda scomoda ha fatto capolino. Ma nessun giornalista si è messo a sfrucugliare, a gossippare, ad approfondire. Eravamo tutti col fiato sospeso, e poi tutti depressi, per quello che succedeva oltre oceano.
Vi potrei raccontare che il commissario all’energia, il danese Dan Jørgensen, ha fatto una dignitosa figura (lui, per la prima volta nella storia della UE, ha anche la delega alle politiche della casa) ma che ha dovuto sottostare ai compromessi politici promettendo sostegno alla ricerca nucleare sui piccoli reattori. Ma ha tenuto duro dicendo che non vuole dare fondi pubblici per le grandi centrali nucleari. E ha rilanciato su rinnovabili e obiettivi climatici, annunciando una strategia per i consumatori e per le comunità energetiche.
E anche che la Commissaria all’ambiente, la svedese Jessika Roswall, ha fatto invece una mezza figuraccia, dimostrando di non avere troppa dimestichezza con i temi di cui si dovrebbe occupare, e ponendo l’accento sul tema della semplificazione (che di solito si traduce in taglio dei vincoli ambientali).
E che dire dell’olandese Wopke Hoekstra, il commissario al Clima? Potrebbe fare il commissario allo sci, tanto è stato bravo a dire e non dire, dribblando le domande con delle non risposte. Di certo c’è che ha lodato gli investimenti nei sequestri di CO2 sottoterra (come a Ravenna), una tecnologia dai risultati quantomeno discutibili, e ha evitato di promettere un target sull’efficienza energetica (“consumare meno? E perché mai, di grazia?”).
E vedremo che succederà questa settimana con il buon Raffaele Fitto, il candidato italiano (con una storia personale sul tema della gestione dei fondi europei che ha fatto storcere il naso a più di un parlamentare europeo) e con Teresa Ribera, la supercommissaria spagnola, che dovrebbe coordinare sia i commissari “ambientali” che quelli “economici” per tenere la barra sulla rotta del Green Deal Europeo.
Ma a che pro? il punto è che, a meno di sorprese, la maggioranza approverà tutti questi commissari, perché ha i numeri per farlo in Parlamento (anche se Teresa Ribera rischia perché il centro destra la detesta molto e teme il suo potere) e che alla fine della storia, per clima e ambiente tutto questo conta solo fino ad un certo punto: l’elezione di Trump segna, infatti, la fine delle residue speranze per gli obiettivi dell’accordo di Parigi; probabilmente significa anche che molti dei soldi per rinnovabili, efficienza e infrastrutture andranno spesi in armi che gli americani non manderanno più in Ucraina e ancora che molti impegni globali su benessere animale, inquinamento ambientale e chimico e diritti dei lavoratori verranno messi in discussione.
Consapevole di tutto questo, c’è già chi in Parlamento prende la palla al balzo e chiede di rivedere al ribasso gli obiettivi europei. Come si dice: mai sprecare una buona crisi.
Il buon Donald non ha ancora messo piede in Europa, e già le cose si sono messe in moto. To be continued.
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