Nel 2023 sono state un milione e 888mila le famiglie che secondo l’Istat hanno cambiato la propria abitazione per trasferirsi nello stesso comune o in un’altra regione. Lo riferisce l’Associazione della Proprietà Edilizia – Confedilizia.
Il dato più rilevante è che si tratta di un numero record: non era mai stato raggiunto in precedenza, nel 2022 erano state un milione e 617mila, mentre prima del Covid, nel 2019, un milione e 758mila, il numero più alto registrato fino al 2023.
Basti pensare che 10 anni fa a trasferirsi da una casa all’altra erano state un milione e 378mila famiglie (– 27%) e 20 anni prima meno della metà, solo 877mila. Si tratta di un dato forse inaspettato in una società che è sempre stata percepita come piuttosto tradizionale, per la quale il cambio di casa era un po’ un’anomalia.
Un cambiamento sociale, dove ci si trasferisce più spesso
Di fronte a questo significativo aumento, però, è evidente che non si tratta solo dell’effetto di una più ampia presenza di immigrati, che hanno una maggiore propensione allo spostamento territoriale, ma di una vera e propria trasformazione sociale. Più famiglie si spostano, cambiano casa, magari comprandone una nuova o prendendola in locazione. A livello percentuale nel 2023 si è trasferito il 7,2% dei nuclei familiari, contro il 6,4% del 2022, il 5,6% di 10 anni prima e solo il 3,9% del 2003.
Questa crescita ha caratterizzato quasi tutto il paese, anche se è nelle regioni centrali che è stata raggiunta la percentuale più alta di famiglie che hanno cambiato abitazione, l’8,1%, contro il 7,2% del Sud, il 6,9% del Nord Ovest e il 6,8% del Nord Est. Più rilevanti sono le differenze in base alla tipologia di comune di destinazione. Ad essersi trasferito, infatti è ben l’8,5% dei nuclei che vivono in quella che è definita come periferia dell’area metropolitana, cioè in comuni diversi dal capoluogo delle province di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Palermo, Catania e Cagliari. Nei capoluoghi, invece, si scende al 7,9%.
La quota di spostamenti si riduce parallelamente al diminuire della popolazione: se nel caso delle città con più di 50mila abitanti (non città metropolitane) ha cambiato abitazione il 7,4% delle famiglie, nei comuni con meno di 2mila abitanti lo ha fatto il 5,3%. Questi piccoli centri, infatti, sono gli unici in cui si è verificato un calo della percentuale e del numero di trasferimenti rispetto al periodo precedente al Covid, ma in ogni altra area del Paese sono aumentati, in particolare nelle aree metropolitane.
In valore assoluto gli spostamenti nelle grandi città sono più che raddoppiati in 20 anni, da 144mila a 337mila, mentre nei comuni limitrofi c’è stata addirittura una triplicazione, da 93mila a 310mila.
Tra l’altro l’Istat raccoglie anche i dati su quanti hanno pensato di cambiare casa, anche se non l’hanno ancora fatto. Ebbene, la differenza tra questa percentuale, l’8,6% a livello nazionale, e quella delle famiglie che si sono effettivamente trasferite, il 7,2%, è relativamente piccola, minore di quanto lo fosse, per esempio, 20 anni prima, nel 2003, quanto l’8,1% aveva intenzione di spostarsi, ma solo il 3,9% lo aveva fatto.
Un’occasione da cogliere per il mercato
Cosa significano questi numeri? Innanzitutto che gli italiani continuano ad essere affezionati all’investimento immobiliare, soprattutto nelle aree più densamente popolate, come i comuni intorno ai grandi centri. Questo avviene perché, come i dati ufficiali mostrano, tranne che in alcuni quartieri di poche grandi città, i prezzi reali delle case non sono cresciuti o lo hanno fatto meno che in altri Paesi europei e lo stesso vale per i canoni di locazione.
Questi numeri dicono anche che c’è voglia di spostarsi, di cercare nuove abitazioni in cui vivere, e ciò dovrebbe essere un’occasione da cogliere per ravvivare il settore immobiliare ed edilizio.
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