La startup finanziata da Jeff Bezos finita al centro delle polemiche. Il Ceo di Perplexity si è infatti offerto di aiutare la redazione del New York Times, paralizzata dallo sciopero dei tecnici, fornendo la propria Ia infaticabile. Ma il Web non l’ha presa bene e l’amministratore delegato nonché founder della startup ha dovuto battere in ritirata
Negli Usa ha fatto parecchio scalpore lo sciopero proclamato, per motivi prettamente salariali, dal personale tecnico del New York Times e andato in scena proprio negli ultimi, convulsi, giorni della campagna elettorale. Chiaro l’intento dei lavoratori di fare più danno possibile in un momento in cui la corsa alle informazioni è spasmodica. Da quell’evento ne è però germinato un altro, se possibile ancora più deflagrante: la startup Perplexity, una delle tante sull’Intelligenza artificiale che prova a mettersi in scia a OpenAi, si è infatti subito offerta di sostituire coi propri algoritmi smart chi ha incrociato le braccia .
PERPLEXITY LASCIA ANCORA PERPLESSI
Non è la prima volta che Perplexity prova ad avvicinarsi al mondo dell’editoria e del giornalismo. Nelle ultime settimane l’editore americano News Corp (Walt Street Journal e New York Post) ha accusato Perplexity di violazione del copyright: secondo la denuncia la startup avrebbe allenato i propri algoritmi saccheggiando i contenuti delle testate controllate dal gruppo.
Anche Condenast e Forbes avevano minacciato cause analoghe, salvo poi riuscire a strappare all’impresa tecnologica un accordo monetario. Lo stesso New York Times cui oggi Perplexity tende una mano è stato tra i primi a intentare negli Usa una causa del genere. Per la precisione contro OpenAi di Sam Altman, l’ex startup lautamente finanziata da Microsoft per il suo ChatGpt. La medesima testata aveva diffidato Perplexity a lasciare in pace i propri archivi.
E non è finita, perché Perplexity ha deciso di sfruttare l’eco delle presidenziali pubblicando un tracker per seguire lo spoglio online. Un vero e proprio sorpasso a destra ai danni delle principali testate, uniche fonti accreditate in questo genere di occasioni.
COS’È, COSA FA E CHI FINANZIA PERPLEXITY
A finanziare Perplexity.ai si trovano nomi noti: da Jeff Bezos, founder di Amazon (nonché proprietario del Washington Post), al Ceo di Shopify, Tobias Lütke fino a Nvidia. La startup di San Francisco lo scorso 4 gennaio aveva annunciato la chiusura di un round da 73,6 milioni di dollari finanziato da IVP, NEA, Databricks Ventures, dall’ex vicepresidente di Twitter Elad Gil, dall’ex Ad di GitHubm Nat Friedman e dal fondatore di Vercel, Guillermo Rauch.
L’intento della realtà innovativa guidata da Aravind Srinivas è porsi in concorrenza diretta con Google, più che con ChatGpt, Claude e soci. “Google sarà visto come qualcosa di vecchio e di superato – aveva promesso a Reuters il founder – Se si può rispondere direttamente alla domanda di qualcuno, nessuno ha bisogno di quei 10 link blu”.
LA MANO TESA AL NEW YORK TIMES È UNO SCHIAFFO AI DIRITTI
Tornando alle polemiche delle ultime ore, il Ceo di Perplexity Aravind Srinivas via X ha scritto direttamente all’editore del New York Times nonché giornalista Arthur Gregg Sulzberger per mettergli a disposizione la sua Intelligenza artificiale al fine di “garantire una copertura giornalistica essenziale durante le elezioni”. L’Intelligenza artificiale del resto è infaticabile, lavora giorno e notte, è veloce, si addestra in fretta e, soprattutto, non le passa per la mente il balzano pensiero di scioperare.
It would be bad for the country if https://t.co/3p1C20XIaI were down on Election Day. Everyone should pitch in to help. To be clear, the offer was *not* to “replace” journalists or engineers with AI but to provide technical infra support on a high-traffic day. https://t.co/P1yVBpq69Z
— Aravind Srinivas (@AravSrinivas) November 4, 2024
Un intervento a gamba tesa sui lavoratori in sciopero che non è piaciuto al popolo della Rete e che si è presto rivelato un boomerang pubblicitario per la startup la cui offerta d’aiuto a favore del New York Times probabilmente era solo motivata dall’intenzione di fare pace con un mondo, quello editoriale, che finora l’ha guardata in cagnesco.
IL CEO DI PERPLEXITY TRAVOLTO DALLE CRITICHE
Tanto che l’amministratore delegato di Perplexity è dovuto tornare su X con un altro post che motivasse la sua offerta di aiuto (“Sarebbe un male per il Paese se il New York Times non ci fosse il giorno delle elezioni. Tutti dovrebbero dare una mano. Per essere chiari, l’offerta *non* era quella di “sostituire” giornalisti o ingegneri con l’intelligenza artificiale, ma di fornire supporto tecnico infrastrutturale in una giornata di traffico intenso”), quindi, non riuscendo a silenziare gli oppositori ha allora provato a mandare il proprio intervento nelle retrovie pubblicando i risultati elettorali in tempo reale forniti dalla propria Intelligenza artificiale.
Il New York Times, intuendo il potenziale vespaio di polemiche, ben s’è guardato dal farsi toccare ulteriormente dalla vicenda, segno che l’intelligenza umana è ancora più scaltra di quella artificiale. Ma per quanto?
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