Il disegno di Legge di Bilancio per il 2025 contiene misure che discriminano le persone straniere. Lo denuncia l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) che chiede al Parlamento di intervenire. Lo scorso 15 ottobre il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di Legge di Bilancio che prevede una serie di misure economiche dal valore complessivo di circa 30 miliardi di euro. Al momento la legge è sottoposta al vaglio della Camera e del Senato che hanno la possibilità di cambiarne alcune parti e poi approvare la versione definitiva entro il 31 dicembre.
Il primo punto su cui l’Asgi richiama l’attenzione è l’articolo 106 della proposta di Legge, che regola il contributo dovuto all’erario per intraprendere una causa sull’accertamento dei requisiti per ottenere la cittadinanza italiana relativo allo ius sanguinis, che riguarda coloro che hanno un genitore oppure un antenato già cittadini. Al momento la norma prevede un contributo unico di 518 euro per i discendenti tra loro collegati che iniziano un procedimento giudiziario per verificare la possibilità di ottenere la cittadinanza.
La nuova versione invece prevede che “il contributo è dovuto per ciascuna parte ricorrente anche se la domanda è proposta congiuntamente nel medesimo giudizio”, ovvero che ogni persona, anche se fa parte dello stesso nucleo famigliare, deve pagare un’imposta di 600 euro a testa per vedersi riconosciuta la cittadinanza. L’Asgi sottolinea la discrepanza di questa norma: nei contenziosi giudiziari che coinvolgono un insieme di persone il contributo da pagare per accedere alla causa di norma rimane unico per tutti i componenti. Inoltre, l’Asgi ribadisce che il governo dovrebbe cambiare la legge che regola l’accesso alla cittadinanza iure sanguinis, senza rendere più complicato l’accesso alla giustizia per le persone meno abbienti.
La Legge di Bilancio nella sua versione attuale cambierà anche alcune norme legate al diritto di famiglia. L’articolo 2 comma 10 modifica le misure relative alle detrazioni fiscali per le famiglie con figli a carico, limitandole ai nuclei con figli tra i 21 e i 30 anni. Tuttavia questo comma introduce delle ulteriori restrizioni per i lavoratori extra europei, per i quali sarà possibile ottenere le agevolazioni solo per i figli a carico residenti in Italia e non per quelli che vivono nel Paese d’origine. L’Asgi sostiene che questa norma sia in aperto contrasto con il diritto comunitario, poiché la Direttiva 109/2003 e la Direttiva 198/2011 dell’Unione europea richiedono la parità di trattamento tra tutti i cittadini per quanto riguarda le agevolazioni fiscali.
Invece l’articolo 31 istituisce il “bonus nuove nascite”, un contributo governativo una tantum di 1.000 euro per ogni nuovo nato a partire dal prossimo primo gennaio. L’Asgi però evidenzia che non tutte le persone straniere con un titolo di soggiorno possono accedere al bonus, poiché vengono esclusi gli individui con un permesso di soggiorno per protezione internazionale, ovvero rifugiati politici o possessori dello status di protezione sussidiaria. Questa norma in particolare non rispetta la direttiva europea 2011/95 che prevede di evitare, per ragioni di equità, discriminazioni tra i cittadini italiani e le persone straniere richiedenti asilo nell’accesso alle prestazioni di welfare.
Infine, il disegno di legge conferma una norma della manovra di Bilancio del 2024 che ha introdotto una riduzione della quota di contributi da versare per le madri lavoratrici con almeno due figli a carico. Asgi sottolinea che, come nella scorsa legge, anche in questa versione restano escluse dalla riduzione contributiva le lavoratrici con un contratto a termine e quelle con un rapporto di lavoro domestico, tendenzialmente donne con un basso reddito e spesso straniere.
Su questo tema il Tribunale di Milano ha emesso il 23 ottobre un’ordinanza in cui evidenzia la possibile incostituzionalità di questa esclusione, che potrebbe rappresentare un caso di discriminazione indiretta verso le donne straniere che lavorano in questi settori. Asgi chiede perciò al Parlamento di rivedere questa misura sia per i dubbi sulla sua costituzionalità sia per le gravi esclusioni che comporta, dato che le lavoratici con contratti a termine e nel settore del lavoro domestico hanno tendenzialmente retribuzioni più basse della media e avrebbero la necessità di accedere alle detrazioni fiscali.
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