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“A rischio la sicurezza del Paese. Meloni spieghi in parlamento” #finsubito finanziamenti e gestione bed & breakfast


Il capogruppo dem in commissione Antimafia: “La premier parli con chiarezza agli italiani. Il Pd darà il suo contributo per tutelare le reti informatiche. Che nel mondo di oggi sono diventate un enorme strumento di potere, da non lasciare alla mercé del crimine organizzato”

“La sicurezza informatica e cibernetica del Paese è a rischio. Le mafie hanno investito i proventi illeciti da un lato schermando le proprie attività informatiche e dall’altro penetrando le banche-dati che nelle loro mani diventano formidabili armi di ricatto ai singoli e agli Stati”. Walter Verini, senatore, capogruppo del Pd in Commissione Antimafia, è molto preoccupato per la centrale spionistica scovata a Milano: “Nelle audizioni di Raffaele Cantone e Giovanni Melillo è emerso un allarme reale: i dati riservati sul mercato sono il nuovo business della criminalità organizzata per effettuare ‘stragi informatiche’ anche a danno delle democrazie”.

Verini chiama Giorgia Meloni a riferire in Parlamento: “La premier si tolga l’elmetto, esca dalla sindrome del complotto e tuteliamo insieme le reti informatiche e le banche dati. Se deciderà di investire nella cybersicurezza e nella sicurezza del sistema Paese il Pd sarà disponibile in Parlamento a dare il suo contributo nell’interesse nazionale”.

La centrale milanese di spionaggio celata dietro lo schermo della società privata Equalize è solo l’ultima vicenda che miscela hacker spregiudicati, accessi abusivi, funzionari infedeli, controlli carenti. C’è un problema complessivo e qual è la posta in gioco?

“Parliamo di una serie di vicende di penetrazione di banche dati sensibili – dal caso Striano-Laudati a Perugia ad altre – che hanno caratteristiche diverse ma una conclusione comune: la sicurezza informatica e cibernetica del Paese, le banche dati sensibili, sono troppo vulnerabili”.

Giorgia Meloni durante un comizio

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Franco Gabrielli, ex capo dell’Aisi e fondatore dell’Agenzia per la cybersicurezza sotto il governo Draghi, ha riportato dati dell’ex ministro Vittorio Colao secondo cui il 90% delle banche dati pubbliche è insicuro. Possibile?

“Gabrielli sa di cosa parla. La sicurezza dell’Italia è a rischio. È un fatto che dovrebbe preoccupare tutta la classe dirigente, non solo chi ora governa e che comunque ha grandi responsabilità. C’è un altro elemento: non vedo, al momento, un Grande Vecchio, un mandante unico, ma piuttosto committenti diversi. Quella di Striano è una vicenda più piccola che tiene insieme ministri e frati di Santa Marinella, gestori di bed & breakfast e calciatori, in un sistema di ricattucci e millanterie”.

Gli “spioni” di Milano invece giocano in un altro campionato?

“È una situazione assai più pesante. A parte l’enorme mole di accessi, l’attività riguarda finanza, impresa, politica, ambienti che sono pezzi fondamentali del ‘sistema Paese’. Soprattutto preoccupa l’uso potenziale dei dati sottratti. E se venissero carpite informazioni su indagini? Le mafie hanno investito i proventi illeciti da un lato schermando le proprie attività informatiche rendendole inaccessibili e dall’altro penetrando le banche-dati che nelle loro mani diventano formidabili armi di ricatto ai singoli e agli Stati”.

Franco Gabrielli

Franco Gabrielli alle Celebrazioniper il 163esimo anniversario della fondazione della Polizia di Milano (2023)

È questo il rischio per la sicurezza dell’Italia?

“Certo, anche questo. Gli acquirenti di queste informazioni possono essere anche potenze straniere non democratiche o gruppi di interesse che vogliono influenzare il corso politico, finanziario ed economico di altri Paesi. Nelle audizioni in Antimafia di magistrati valorosi come Raffaele Cantone e Giovanni Melillo è emerso un allarme reale: i dati riservati sul mercato sono il nuovo business della criminalità organizzata per effettuare “stragi informatiche” anche a danno delle democrazie”.

Il gip ha negato alcune misure cautelari chieste dai pm. Siamo di fronte a un sofisticato sistema di hackeraggio o agli accessi abusivi di elementi corrotti?

“Questo lo chiariranno le indagini, siamo nella normale dialettica tra magistratura inquirente e giudicante. Nel dibattimento emergerà la natura della fattispecie, che non mi pare il gip abbia ridimensionato rispetto all’impianto della Dda e della Procura di Milano.  Tra l’altro questo dimostra come la separazione delle funzioni che caratterizza l’ordinamento giudiziario sia efficace, e dimostra anche quanto strumentale e rischioso sia l’attacco sul totem della separazione delle carriere”.

Il Pd chiede a Giorgia Meloni di riferire in Parlamento. Cosa volete sapere?

“C’è un momento chiave su questo versante. Quando il ministro della difesa Guido Crosetto, non certo un passante qualunque, ha detto di avere contestato ai servizi ‘in più di un’occasione mancate informazioni al ministero della Difesa che avrebbero potuto anche creare problemi alla sicurezza nazionale’.  Con la responsabile giustizia Debora Serracchiani abbiamo subito chiesto alla premier di chiarire questa circostanza, dato che alla guida dei servizi per sua delega c’è il sottosegretario Alfredo Mantovano. Quella frase è scolpita, non è scritta con l’inchiostro simpatico. E la situazione attuale impone che il governo si assuma le sue responsabilità”.

Quali responsabilità, se tra le vittime dei dossier c’è mezzo centrodestra, a partire dal presidente del Senato Ignazio La Russa?

“Per evitare il ‘colabrodo’ della sicurezza informatica servono investimenti enormi. Su questo si misura la solidità della classe dirigente del Paese. Meloni deve togliersi l’elmetto e uscire dal bunker smettendo di evocare complotti. Che poi a Milano casomai sarebbe un auto-complotto perché c’erano persone del mondo del centrodestra che acquisivano dati su personalità del centrodestra. Se la premier deciderà di investire nella cybersicurezza e nella sicurezza del “sistema Paese” – anziché tarpare gli strumenti investigativi alla magistratura limitando le intercettazioni, come sta facendo – il Pd sarà certamente disponibile a dare su questo il suo contributo nell’interesse nazionale.

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Ignazio La Russa con Guido Crosetto e Giorgia Meloni

Ignazio La Russa con Guido Crosetto e Giorgia Meloni

È un appello in cui crede?

“Sì. Sebbene ormai, anche da Milano, emerge tutto un mondo di destra che dimostra scarsa cultura istituzionale e scarso senso dello Stato. Che usa sistemi di ricatto per regolare i conti: nel loro piccolo anche le vicende e le vendette intorno al ministero della cultura dicono questo”.

La Lega vuole inasprire le pene. Serve?

“Le pene per chi compie accessi abusivi sono già state aumentate di recente. Casomai, come ha detto bene l’ex procuratore di Milano Francesco Greco, bisogna inasprirle per i fruitori delle informazioni illecite a scopo di riciclaggio o ricatto. Ma in generale, questo governo ha istituito 70 nuovi reati, soprattutto sulla base dei palinsesti tv o delle notizie sui giornali: una forma di populismo penale che non risolve i problemi”.

Mettere in sicurezza il 90% delle banche dati pubbliche italiane più che un problema da risolvere è un’impresa titanica da compiere…

“Ripeto: Meloni esca dalla sindrome del complotto, parli con chiarezza agli italiani e tuteliamo insieme le reti informatiche e le banche dati che nel mondo di oggi sono diventate un enorme strumento di potere da non lasciare alla mercé della criminalità organizzata”.

 

Federica FantozziGiornalista



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