Il crack, la cocaina poco costosa dei disadattati, la sostanza di chi non può pagarsi la “neve”, è tornata sotto i riflettori della cronaca con il caso della mamma di Niscemi che ha coraggiosamente denunciato poco prima di una rapina il figlio, passato dagli spinelli alla ketamina al crack.
Ci si interroga su quale sia il quadro piacentino, partendo proprio dal crack.
Oggi ancora residuale, ne fa uso il 2% degli utenti dei servizi Ausl, ma fuori la dimensione del fenomeno è moltiplicata.
Elena Uber, direttore dell’Unità operativa Dipendenze patologiche dell’Ausl fornisce la fotografia aggiornata del primo semestre di quest’anno sulle dipendenze: 1.430 gli utenti del Servizio nel primo semestre, a fine anno si prevede di superare i 1.800. Spesso si ricorre al mix con l’alcol, ma in generale l’effetto che si insegue è quello dissociativo. “Ci deve preoccupare il fatto – dice – che ci sia bisogno di ricorrere a sostanze fortemente impattanti su identità deboli, fragili. Prendiamo le bevute del venerdì sera, secondo lo stile anglosassone. Non si beve in settimana, ma nel week end si uniscono bevande alcoliche a cocaina, c’è un bisogno come di ottundersi rispetto alla realtà, con sostanze che ti fanno sentire quello che non sei, c’è una generazione che non sta bene nella realtà e ad esempio la ketamina ha, in questo senso, effetti dissociativi”.
Un mondo intorno al quale ruota anche la piccola delinquenza, con reati in crescita.
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