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La scorsa settimana FilmLA, l’ufficio che si occupa di assegnare i permessi necessari per girare all’interno della contea di Los Angeles, ha diffuso un rapporto che ha evidenziato una diminuzione delle grandi produzioni attualmente presenti a Hollywood, il distretto che da più di un secolo è anche il polo cinematografico più importante al mondo. Nel terzo trimestre del 2024, e quindi da luglio a settembre, il numero di produzioni a Hollywood è diminuito complessivamente del 5 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
È un dato significativo che è stato ampiamente commentato dalle principali riviste specializzate, anche perché dal luglio al settembre del 2023 Hollywood era nel pieno di un momento di forte crisi dovuto agli sviluppi del vasto sciopero che coinvolse diversi professionisti del settore, soprattutto attori e sceneggiatori. In quei mesi molte produzioni erano state interrotte o cancellate, mentre altre furono trasferite in altri stati americani o in Europa, per risparmiare sui costi e usufruire di importanti incentivi fiscali. Che quest’anno il dato sia ancora più basso, quindi, è particolarmente preoccupante.
Il calo è dovuto soprattutto al segmento dei reality show, le cui produzioni sono diminuite del 56,3 per cento rispetto al terzo trimestre dello scorso anno. Per esempio, dopo aver realizzato 14 stagioni a Los Angeles, dal prossimo anno il gruppo che produce l’edizione statunitense di Masterchef, il programma di cucina più conosciuto al mondo, si trasferirà in Australia: negli ultimi anni, grazie a un efficace programma di incentivi fiscali, l’Australia ha attratto diverse altre produzioni che prima venivano realizzate a Hollywood, come quella dell’edizione statunitense di The Mole (un format belga diffuso in diversi paesi, e che in Italia si chiama La Talpa) e quella di The Quiz with Balls, un gioco a premi.
Nello stesso periodo, la produzione dei programmi televisivi è diminuita del 18,3 per cento, mentre le voci delle altre categorie (pubblicità, serie televisive drammatiche, commedie e lungometraggi) sono aumentate, ma in percentuali risibili e al di sotto delle aspettative.
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Un aumento di queste voci era infatti atteso: mentre i reality e molti programmi televisivi fanno parte del segmento della cosiddetta unscripted production (ossia non necessariamente basata su una sceneggiatura), le altre voci sono inquadrate nella cosiddetta scripted production, e sono quindi produzioni in cui la sceneggiatura svolge un ruolo essenziale.
Dato che nel terzo trimestre dello scorso anno moltissimi sceneggiatori erano in sciopero, un incremento della scripted production era ritenuto fisiologico da tutti gli osservatori: semplicemente, gli sceneggiatori che l’anno scorso scioperavano sono tornati a lavorare. Peraltro, l’aumento che ha interessato queste voci risulta comunque inferiore alla media degli ultimi cinque anni.
Il calo delle produzioni presenti a Hollywood va inserito nel contesto di un generale momento di contrazione successivo alla cosiddetta “peak TV”, espressione che viene utilizzata per indicare quel periodo, iniziato negli anni Dieci del Duemila, in cui sia le tv via cavo sia le nascenti piattaforme di streaming animarono un periodo d’oro per la serialità televisiva, prima caratterizzato da un’alta qualità media delle produzioni e poi via via sempre più dalla quantità, necessaria per infoltire i cataloghi e ottenere il maggior numero possibile di abbonati.
Questa fase di contrazione era iniziata lo scorso anno, anche per via degli sviluppi dello sciopero di attori e sceneggiatori: nel 2023 le serie televisive prodotte negli Stati Uniti sono state 481, contro le 633 dei due anni precedenti e le 510 del 2020, un anno in cui il settore ebbe un periodo di stasi a causa della pandemia di COVID. Sempre nel 2023, sono state anche commissionate meno serie televisive: 418, contro le 661 del 2022.
Ivan Ehlers, regista e collaboratore di diverse testate di cinema statunitensi, ha scritto che, in realtà, «le produzioni hanno cominciato a «scivolare via da Hollywood già negli anni Cinquanta, ma gli effetti non sono mai stati evidenti come oggi».
Secondo Ehlers, ma è un parere condiviso dalla stragrande maggioranza degli addetti ai lavori, le produzioni si stanno spostando da Hollywood soprattutto per un motivo: il funzionamento del sistema di tax credit (un credito d’imposta che viene concesso alle produzioni che soddisfano determinati requisiti) stabilito dalla California Film Commission, l’ente che si occupa di promuovere la California in ambito cinematografico e televisivo.
Il tax credit è una forma di finanziamento diffusissima non soltanto negli Stati Uniti, ma un po’ in tutto il mondo: serve a convincere le grandi produzioni a investire in un determinato paese, nella speranza di generare indotto economico positivo. Solitamente la sua erogazione è vincolata a determinati parametri, come per esempio l’assunzione di una certa percentuale di personale locale. Come ha spiegato sinteticamente Matt Stevens, critico del New York Times, il concetto alla base del tax credit è piuttosto intuitivo: «l’idea di fondo è che, quando i produttori vengono a girare in uno stato e spendono soldi lì, il governo debba rendere loro il favore restituendo il 20, 30 per cento dei costi che hanno sostenuto. Una specie di segno di gratitudine per aver scelto quello stato», insomma.
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La possibilità di usufruire di una normativa sul tax credit particolarmente vantaggiosa influisce spesso su molte scelte, e in particolare sulle ambientazioni. Per esempio, la seconda stagione della serie tv White Lotus è ambientata in Sicilia anche perché la casa di produzione HBO ha ritenuto vantaggiosa la normativa italiana, che le ha permesso di ottenere un credito d’imposta del 40 per cento.
Il sistema di tax credit californiano si basa su un budget annuale di 330 milioni di dollari, e prevede forme di decontribuzione che variano in base al tipo di prodotto che si intende realizzare e al rispetto di certi parametri. Per esempio, integrando alcuni requisiti, le produzioni di serie tv inizialmente girate altrove negli Stati Uniti e che decidono di spostarsi in California per realizzare una nuova stagione possono ricevere un credito d’imposta del 25 per cento, così come i film cosiddetti “indipendenti” (ossia non realizzati dalle grandi case di produzione).
La forma più diffusa riguarda i film di grande distribuzione e le nuove serie tv (quelle che iniziano a essere girate in California sin dalla prima puntata), per cui è previsto un credito d’imposta del 20 per cento. Il sistema californiano è considerato più rigido e sconveniente rispetto ad altri sistemi. Tutte le normative prevedono infatti che i crediti d’imposta possano essere applicati soltanto alle cosiddette spese qualificate, ossia quelle ritenute ammissibili.
La California Film Commission esclude dalle spese qualificate voci piuttosto importanti, come per esempio quelle relative al pagamento degli stipendi di registi, attori e compositori. Inoltre, il sistema californiano prevede che i crediti d’imposta non siano rimborsabili e neppure trasferibili, ossia cedibili ad altre persone o aziende in cambio di liquidità. È insomma un sistema poco vantaggioso se comparato a quello predisposto da altri stati americani, che per competere con Hollywood hanno iniziato a proporre normative più lasche e convenienti.
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Gretchen Kinder, produttrice di diversi reality show statunitensi, ha detto a questo proposito che «Los Angeles non offre alcun incentivo per convincere le produzioni a rimanere, ed è un grosso problema: le produzioni si stanno rendendo conto che è più vantaggioso girare ovunque tranne che qui».
Per esempio, negli ultimi dieci anni la Georgia è diventata un polo cinematografico piuttosto importante: buona parte dei film e delle serie della Marvel vengono girati nei Trilith Studios di Fayetteville, una piccola città a sud di Atlanta, la capitale dello stato. La Georgia è diventata una destinazione molto appetibile per i produttori proprio grazie al suo sistema di tax credit, che prevede un credito d’imposta del 30 per cento sui costi di produzione di film e serie televisive, aumentato di un ulteriore 10 per cento per i progetti che prevedano l’inserimento di un logo dello stato. In Georgia, inoltre, i crediti d’imposta sono cedibili, e possono essere applicati a tutti gli stipendi. Da una ventina d’anni è cresciuta moltissimo anche l’industria cinematografica della Louisiana, dove il credito d’imposta può raggiungere anche il 40 per cento (il recente Kinds of Kindness di Yorgos Lanthimos, per fare un esempio, è stato girato a New Orleans).
Altre produzioni hanno invece deciso di trasferirsi fuori dagli Stati Uniti. I casi più citati sono quelli del Canada, dell’Australia e soprattutto del Regno Unito, che dal 2007, grazie al tax credit, è riuscito ad attrarre produzioni di alto profilo che hanno determinato una crescita importante dell’industria cinematografica locale.
Il sistema di tax credit britannico può coprire fino al 25 per cento delle spese qualificate sostenute per le produzioni di alto livello (ossia film con budget superiori ai 20 milioni di sterline), che tra le altre cose includono il costo del personale, delle location, dei servizi di postproduzione e delle attrezzature tecniche. Per poter accedere al credito d’imposta, le produzioni estere devono spendere almeno il 10 per cento del loro budget complessivo nel Regno Unito. Questa impostazione ha consentito all’industria cinematografica britannica di diventare una delle più importanti al mondo, attirando produzioni di grande rilievo: un esempio tra i tanti è quello di Star Wars: Il risveglio della Forza (2015), che fu girato ai Pinewood Studios, a ovest di Londra.
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Altri addetti ai lavori sostengono che Hollywood sia diventata un posto difficile non soltanto per la difficoltà di ottenere incentivi, ma anche per un certo appesantimento della burocrazia.
Lo scorso anno FilmLA ha aumentato una serie di tariffe per girare nel territorio di Los Angeles e ne ha introdotte di nuove relative alle cosiddette “riprese complesse”, ossia quelle che prevedono l’uso di droni, elicotteri ed effetti speciali, oppure per le quali risulti necessario chiudere corsie o intere strade. In quell’occasione, un produttore rimasto anonimo disse all’Hollywood Reporter: «Sono cifre enormi? No. Ma contribuiscono a far pensare alla gente: “perché non andiamo a girare in Canada?”».
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