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Cassazione civile, sez. III, 11 giugno 2024, n. 16199 #finsubito prestito immediato


Cassazione civile, sez. III, 11 giugno 2024, n. 16199

FATTI DI CAUSA

1. – Ma.An., con atto di citazione notificato in data 23 marzo 2006, convenne in giudizio l’Azienda Sanitaria Unica Regionale delle Marche (di seguito ASUR Marche) per sentirla condannare al risarcimento di tutti i danni patiti, iure proprio e iure hereditatis, a seguito del decesso del figlio neonato – con successiva diagnosi di “emorragia cerebrale massiva ed insufficienza cardiaca acuta destra in neonato con sindrome da Aspirazione di Meconio (MAS) complicata da Coagulazione Intravascolare Disseminata (CID)” – avvenuto in data 28 marzo 2003 e asseritamente ricondotto alla imperizia e negligenza dei sanitari al tempo della gestione e del monitoraggio del parto, derivante dal mancato accertamento dell’esatto periodo di gestazione in corso.
1.1. – L’ASUR Marche, nel costituirsi in giudizio, chiese il rigetto delle domande attoree; inoltre, chiese ed ottenne di chiamare in causa, a fini di manleva, la compagnia Assicurativa
CARIGE Assicurazioni Spa (oggi Amissima Assicurazioni Spa) che, costituitasi a sua volta in giudizio, eccepì preliminarmente la inoperatività della polizza inter partes in ragione della carenza di copertura assicurativa del fatto dedotto in giudizio e contestò, in ogni caso, la fondatezza delle pretese azionate dall’attrice.
1.2. – Il Tribunale, con sentenza dell’agosto 2015, rigettò integralmente la domanda avanzata da Ma.An., condividendo nel merito le risultanze della CTU espletata nel giudizio civile, che “aveva comunque ritenuto statisticamente non riconducibile alla condotta dei sanitari l’evento de quo, variabili essendo le cause che possono determinare una sofferenza ipossico-ischemica del feto e potendosi escludere un danno asfittico cronico o ipossico cronico in quanto il peso del neonato, le caratteristiche morfologiche ed antropometriche, il segnalato accrescimento fetale dell’ultima ecografia e la flussimetria risultavano nella norma”. E ciò anche in ragione del fatto che, da un lato, la Ma.An. non aveva fornito prova di una diversa e alternativa ricostruzione causale e che, dall’altro, anche la perizia espletata in sede penale -all’interno del giudizio conclusosi con provvedimento di archiviazione del 21 agosto 2004 – evidenziò che “pur non essendovi dubbio che il feto avesse subito presumibilmente nel periodo antecedente il parto un insulto intrauterino che provocò una lesione cerebrale, lo stesso non rilevava alcun segno di ipotetica sofferenza intrauterina cronica da senescenza placentare, talché risultava del tutto impossibile individuare la causa della grave ed acuta sofferenza ipossica del feto”.

2. – Avverso tale decisione proponevano appello Ma.An., in via principale, e ASUR Marche, in via incidentale: la prima, censurando motivi la sentenza impugnata nella parte in cui il primo giudice aveva ritenuto insussistente la responsabilità dei sanitari della struttura convenuta e rigettato l’istanza di rinnovazione della CTU; la seconda, insistendo, ai fini del rimborso delle spese processuali, sulla domanda di manleva a carico di Amissima Assicurazioni Spa adducendo l’infondatezza dell’eccezione di inoperatività della polizza sollevata in primo grado.
2.1. – L’adita Corte d’appello di Ancona, con sentenza resa pubblica in data 25 gennaio 2021, accoglieva l’appello principale proposto da Ma.An., condannando l’ASUR Marche al pagamento, in favore dell’attrice, della somma di Euro 250.000,00, a titolo di risarcimento del danno da sofferenza soggettiva patito iure proprio, e della somma di Euro 75.000,00, a titolo di risarcimento del danno da perdita di chances di sopravvivenza per il decesso del neonato patito iure hereditatis.
A fondamento della decisione la Corte territoriale osservava che: a) al momento del ricovero in data (Omissis), all’attenzione dei sanitari – come confermato dal deposito delle tre ecografie cui la Ma.An. si era sottoposta nel periodo antecedente al ricovero (10 gennaio 2003; 28 febbraio 2003; 11 marzo 2003) – si presentava una gravidanza che la stessa CTU espletata in primo grado ha definito protratta e che avrebbe reso necessaria la immediata provocazione del parto; b) contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, la Ma.An. avrebbe correttamente approfondito sia i profili di negligenza addebitabili ai sanitari, sia le tipologie di esame che, se tempestivamente effettuate, avrebbero consentito la rilevazione di una gestazione alla 38° e alla 39° settimana di gravidanza; c) applicando il criterio del “più probabile che non”, in luogo del “desueto” criterio dell’alto grado di credibilità razionale o di probabilità logica utilizzato all’interno della CTU, poteva “con tranquillità affermarsi che, considerati lo stato della paziente e la sua storia clinica, se i sanitari non avessero compiuto l’omissione di scrupolosità e della comune diligenza nel monitoraggio della gravidanza, il decorso clinico del neonato sarebbe stato favorevole e comunque non certamente letifero”.
2.2. – con la stessa sentenza, il giudice di appello rigettava,
poi, la domanda di garanzia proposta da ASUR Marche nei confronti di Amissima Spa, in quanto, nonostante il fatto dedotto in giudizio rientrasse nel periodo di retroattività della polizza ai sensi dell’art. 1A delle Condizioni di assicurazione, alla data di sottoscrizione della stessa (29.06.2004) ASUR Marche era a conoscenza del decesso del neonato e dell’interesse dei familiari all’accertamento in sede giudiziale della responsabilità dei sanitari (essendo nei confronti di questi già stato avviato procedimento penale conclusosi con provvedimento di archiviazione del GIP in data 21 agosto 2004); fatto che avrebbe dovuto essere dichiarato al momento della sottoscrizione della polizza assicurativa e che, se conosciuto da Amissima Spa, non ne avrebbe consentito la stipula.
3. – Per la Cassazione di tale sentenza ricorre l’Azienda Sanitaria Unica Regionale delle Marche, affidando le sorti dell’impugnazione a tre motivi.
Resistono con controricorso Ma.An. e Amissima Assicurazioni Spa, la quale ha anche proposto ricorso incidentale condizionato sulla base di tre motivi.
La Ma.An. e la compagnia di assicurazioni hanno depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione degli artt. 1218 e 2697, c.c., per avere la Corte territoriale errato nell’affermare la sussistenza della responsabilità in capo ai sanitari ripudiando l’attendibilità delle conclusioni peritali in quanto asseritamente fondate sul “desueto” criterio della probabilità logica e non anche su quello del ‘più probabile che non’.
Il giudice di appello non soltanto sarebbe incorso in un errore di valutazione in ordine al fatto della sussistenza di una gravidanza protratta (fatto non emerso in nessuna delle due relazioni peritali, civile e penale e, dunque, non provato), ma sarebbe caduto altresì in errore nella parte in cui avrebbe travisato il contenuto della CTU civile in punto di nesso di causalità: quest’ultima, applicando il vigente criterio della probabilità logica, infatti, avrebbe correttamente escluso la sussistenza del nesso di causalità tra le (accertate) inadempienze dei sanitari e il decesso del neonato in ragione della multifattorialità dell’evento lesivo specificamente realizzatosi e della contraddittorietà ed incertezza del riscontro probatorio in tema di effettiva utilità diagnostica del tempestivo ricorso a ripetute amnioscopie o amniocentesi.
1.1. – Il motivo è infondato, sebbene occorra correggere, solo in parte, la motivazione ai sensi dell’art. 384, quarto comma, c.p.c.
1.2. – Giova, anzitutto, rammentare (tra le molte: Cass. n. 25119/2017; Cass. n. 2472 / 2021; Cass. n. 19372/2021; Cass. 21530/2021) che, in materia di responsabilità per attività medicochirurgica, l’accertamento del nesso causale in caso di diagnosi tardiva – da compiersi secondo la regola del “più probabile che non” ovvero della “evidenza del probabile”- si sostanzia nella verifica dell’eziologia dell’omissione, per cui occorre stabilire se il comportamento doveroso che l’agente avrebbe dovuto tenere sarebbe stato in grado di impedire, o meno, l’evento lesivo, tenuto conto di tutte le risultanze del caso concreto nella loro irripetibile singolarità, giudizio da ancorarsi non esclusivamente alla determinazione quantitativo-statistica delle frequenze di classe di eventi (cd. probabilità statistica o pascaliana), ma anche all’ambito degli elementi di conferma e, nel contempo, nell’esclusione di quelli alternativi, disponibili nel caso concreto (cd. probabilità logica o baconiana).
1.2.1. – Nella specie, sebbene la Corte territoriale abbia originato il proprio ragionamento da una premessa erronea, non ha tuttavia in concreto fatto mal governo dei principi sopra enunciati.
1.2.2. – In particolare, l’affermazione del giudice di merito secondo cui “la conclusione cui è pervenuta la CTU attraverso la ormai desueta teoria dell’alto grado di credibilità razionale o probabilità logica non può essere condivisa, stante la riconosciuta applicabilità nel campo della responsabilità civile del diverso criterio del “più probabile che non”(…)”, postula a monte un’erronea sovrapposizione tra il criterio della probabilità logica, da un lato, e i criteri probatori di accertamento della causalità materiale, dall’altro.
Quello della probabilità logica non è un criterio probatorio di ricostruzione del nesso di causalità materiale diverso e potenzialmente alternativo rispetto a quello utilizzato all’interno del giudizio civile del “più probabile che non”, quanto piuttosto espressione di un accertamento di natura eminentemente sostanziale del nesso di causalità materiale.
Sotto tale specifico profilo, varrà evidenziare che – alla luce dei principi già affermati dalla sentenza delle Sezioni Unite penali n. 30328/2002 (sentenza “Franzese”) in materia di causalità materiale nei reati commissivi impropri consumati nell’esercizio della professione medico-sanitaria (principi che, inerendo al giudizio sostanziale di ricostruzione del nesso eziologico, possiedono portata extra-penale e, come tali, sono stati ritenuti estensibili anche al giudizio civile) – il giudizio controfattuale (innanzi posto in rilievo) è spiegazione causale che non può tuttavia essere ancorata a valutazioni soggettive e discrezionali del giudice in relazione alla specificità del caso concreto, ma deve piuttosto essere ancorata ad un giudizio di tipo oggettivo e generalizzante, cioè quello della sussunzione del singolo evento all’interno di leggi scientifiche cd. di copertura.
In altri termini, quella condotta può dirsi causa di quel determinato evento non se è reputata discrezionalmente tale dal giudice sulla base di una conoscenza esperienziale soggettiva (e per ciò dunque mutevole in base alla diversità dei giudizi), ma nel solo caso in cui sia possibile affermare ciò sulla base o di una regola di esperienza generalizzata (l’id quod plerumque accidit) ovvero sulla base di una legge dotata di validità scientifica che inserisca quell’evento in misura certa (legge universale) o in misura probabile (leggi statistiche) nella serie causale in cui è altresì inserita la condotta umana.
L’esigenza di oggettivizzare il giudizio di ricostruzione del nesso di causalità materiale (ancorandolo all’individuazione di leggi di copertura), senza frustrare la specificità dello sviluppo causale oggetto del giudizio, ha, poi, portato la giurisprudenza a far leva sul criterio della probabilità logica (o baconiana).
Emerge, dunque, come il criterio della “probabilità logica” è un criterio – sostanziale – di accertamento del nesso di causalità materiale, che non va confuso con i diversi di criteri – probatori -di accertamento della responsabilità e che fondano poi la distinzione tra il giudizio civile e quello penale.
Sulla base di questo sostrato comune costituito dalla adesione alla probabilità logica, infatti, si dipanano le differenze in ragione del più severo o più flessibile rigore con cui – in sede processuale – è condotto l’accertamento del nesso di causalità materiale: il criterio del “più probabile del non”, in sede civile, e quello del Poltre ogni ragionevole dubbio” (art. 533 c.p.p.), in sede penale.
E ciò significa che mentre in sede civile è possibile pervenire ad un giudizio di responsabilità argomentando – sulla base del procedimento sopra esplicato – nel senso che essa è un’ipotesi ‘più plausibilè o ‘più attendibilè di quelle alternative emerse all’interno del giudizio, all’interno del processo penale per pervenire ad una statuizione di condanna è necessario che la ricostruzione su cui si fonda il giudizio di condanna sia fermamente confermato, attraverso la motivata esclusione della plausibilità della tesi contraria (Cass. pen. n. 10093/2018); standard probatorio molto più rigoroso, in ragione dell’esigenza di preservare in materia penale il principio di non colpevolezza dell’accusato, ai sensi dell’art. 27 Cost.
1.2.3. – La Corte territoriale, dunque, ha in concreto sviluppato l’iter argomentativo che l’ha condotta all’accertamento della sussistenza della responsabilità dei sanitari dell’ASUR Marche in conformità ai principi sin qui enunciati; in particolare, conformemente sia al criterio della probabilità logica (interno alla ricostruzione del nesso di causalità materiale), sia al diverso standard probatorio richiesto all’interno del giudizio civile, cioè quello fondato sul “più probabile che non”.
Con specifico riferimento al primo profilo, la Corte territoriale ha correttamente svolto il giudizio controfattuale che ha portato all’accertamento della responsabilità civile attraverso un tipo di standard probatorio non di tipo quantitativo-statistico (probabilità statistica), ma di tipo qualitativo-logico (probabilità logica), ancorando cioè lo stesso alla luce delle specifiche risultanze probatorie emerse nel caso concreto.
Il secondo giudice ha, infatti, concluso nel senso che se i sanitari non avessero compiuto quelle condotte omissive nel monitoraggio della gravidanza “il decorso clinico del neonato sarebbe stato favorevole e comunque non certamente letifero” (pag. 9 sentenza della Corte d’Appello) sulla base: a) dello stato di salute della paziente; b) della sua storia clinica, concernente le tre ecografie cui era stata sottoposta durante i tre ricoveri ospedalieri prima del parto presso il Presidio Ospedaliero Unificato di Civitanova Marche e documentati dalla parte attrice sin dal giudizio di primo grado (in data 10 gennaio 2003, in cui l’epoca dell’ultima mestruazione veniva indicata per il 12.06.2002 e veniva altresì ipotizzata sulla base dei parametri biometrici rilevati, una gravidanza di 30 settimane; in data 28 febbraio 2003, l’epoca
presunta della gestazione veniva indicata in settimana 34° + 1, visto che la crescita del feto era corrispondente a 34 e non a 37 settimane; in data 11 marzo 2003, ben oltre la 39° settimana, l’epoca presunta della gestazione veniva indicata nella 35° settimana + 5, ove non risultava alcuna crescita fetale (la circonferenza addominale di cm. 29,1, era addirittura inferiore a quella di 29,3 rilevata nella seconda ecografia)); c) sull’assolvimento dell’onere della prova, da parte di Ma.An., della riconducibilità causale dell’evento lesivo all’inadempimento omissivo dei medici mediante l’indicazione delle tipologie di esame che, se tempestivamente effettuato, avrebbero consentito di rilevare il fatale protrarsi della gestazione.
Gli elementi che hanno consentito alla Corte territoriale di confermare il giudizio controfattuale attraverso cui è possibile affermare che, in un illecito omissivo, quella condotta è causa di quello specifico evento così come realizzatosi hic et nunc, sono stati correttamente ricavati non ab externo, cioè attraverso lo sterile riferimento alla probabilità quantitativo/statistica della sua verificazione in relazione a quel determinato antecedente causale, ma ab interno, attraverso la conferma di quel giudizio controfattuale attraverso il materiale probatorio acquisito agli atti e su cui si è innestata la valutazione del secondo giudice; valutazione che, in disparte i censurati – e non sussistenti – profili di violazione del criterio di ricostruzione del nesso di causalità utilizzato o del suo standard probatorio, si rivela insindacabile al giudizio di questa Corte.
1.2.4. – Del resto, le stesse censure di parte ricorrente, che denunciano un c.d. vizio di sussunzione, non sono dedotte in conformità al paradigma del n. 3 dell’art. 360 c.p.c., giacché -come precisato in più di un’occasione da questa Corte (tra le altre: Cass. n. 18715/206; Cass. n. 6035/2018; Cass. n. 3115/2021) – la deduzione del vizio di violazione di legge consistente nella erronea
riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina (cd. vizio di sussunzione) postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicché è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito.
Né, in ogni caso, la doglianza che investe i contenuti della consulenza tecnica è scrutinabile, nella sostanza, come volta a denunciare il c.d. “travisamento della prova”, poiché un tale vizio ricorre unicamente in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio (Cass., S.U., n. 5792/2024), così potersi prospettare soltanto là dove si venga ad escludere qualsiasi profilo di valutazione della prova da parte del giudice, mentre nella specie – come detto – la Corte territoriale ha operato un complessivo apprezzamento delle informazioni probatorie a sua disposizione.

2. – Con il secondo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione degli artt. 1362,1882,1892,1893 e 1917, c.c., per avere la Corte territoriale violato i principi che regolano l’ermeneutica contrattuale nella parte in cui, in violazione del criterio letterale, avrebbe interpretato l’art. 1A delle Condizioni di Assicurazione allegate alla polizza nel senso che essa ricomprenderebbe anche le potenziali richieste risarcitorie non ancora pervenute all’assicurato, non anche nel senso che – ai fini della operatività della polizza – esse devono pervenire all’assicurato durante il periodo di validità della polizza; come emerge nel caso di specie, in cui la prima richiesta di risarcimento è pervenuta all’ASUR Marche il 3 novembre 2004, in data cioè posteriore alla stipula della polizza conclusa in data 29 giugno 2004.
La Corte d’Appello di Ancona avrebbe altresì errato nel momento in cui non avrebbe valutato, ai fini della operatività della polizza, il comportamento tenuto dall’impresa di assicurazione successivamente alla conclusione del contratto, in relazione sia al fatto che l’assicurazione “ha volontariamente omesso di prendere in carico il sinistro”, sia al fatto che essa si sarebbe limitata ad eccepire la inoperatività della polizza a tre anni di distanza non esercitando il diritto alla impugnazione del contratto.
La ricorrente, pertanto, chiede la cassazione della sentenza in relazione alla statuizione impugnata e, per l’effetto, la condanna alla refusione delle spese ai sensi dell’art. 1917 c.c. di entrambi i gradi di giudizio; domanda, implicitamente rigettata a seguito dell’accoglimento dell’eccezione di inoperatività della polizza.

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3. – Con il terzo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti per avere la Corte territoriale omesso di considerare – ai fini della operatività della polizza – il fatto concernente la prima richiesta di risarcimento dei danni pervenuta all’ASUR Marche in data 3 novembre 2004 (fatto rappresentato in seno al documento n. 7, così come allegato alla comparsa di costituzione dell’ASUR Marche in I grado).
3.1. – Il secondo e il terzo motivo, da scrutinare congiuntamente perché presentano evidenti profili di connessione, sono inammissibili.
3.2. – La ricorrente non ha, infatti, colto – e, quindi, investito di idonea impugnazione – l’effettiva portata della ratio decidendi in forza della quale la Corte territoriale ha fondato il rigetto della domanda di manleva avanzata da ASUR Marche nei confronti di Amissima Assicurazioni Spa
In particolare, il secondo giudice ha dapprima ricondotto -attraverso un’interpretazione dell’art. 1A delle Condizioni di assicurazione, nel senso che “la garanzia opererà anche per le richieste di risarcimento del danno (non precedentemente pervenute all’assicurato) relative a fatti avvenuti nel periodo 30.06.2001 – 30.06.2004 purché in tal caso la polizza sia ancora in vigore al momento in cui tali denunzie pervengono all’assicurato” -il fatto dedotto in giudizio (decesso del neonato, avvenuto in data 28 marzo 2003) nell’astratto alveo di operatività della polizza, per poi escludere in concreto la validità della stessa.
E ciò in forza di un ragionamento – che si palesa coerente con il tipo di assicurazione stipulata, ossia in base a clausola claims made con retrodatazione della garanzia alle condotte poste in essere anteriormente – che ha preso in considerazione il diverso fatto concernente la condotta dell’assicurato (ASUR Marche) che, seppur consapevole dell’interesse dei familiari del neonato di procedere per le vie legali ai fini dell’accertamento della responsabilità dei sanitari per l’evento lesivo – così come ulteriormente evincibile dallo svolgimento e dall’esito del giudizio penale, tanto da rendere presumibile il sopraggiungere di una richiesta risarcitoria -, ne ha taciuto la esistenza nei confronti dell’assicuratore al momento della sottoscrizione della polizza in data 21.08.2004.

4. – Il rigetto del ricorso principale comporta l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato proposto da Amissima Assicurazioni Spa sulla base di tre motivi (uno sulla qualificazione di inoperatività della polizza come eccezione in senso lato e due sulla liquidazione del danno in favore dell’attrice).
5. – La parte ricorrente va condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo in favore di ciascuna parte controricorrente.

P.Q.M.

rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato;
condanna la ASUR Marche al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore di ciascuna parte controricorrente, in Euro 6.700,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell‘art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall‘art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Dispone che, in caso di utilizzazione del presente provvedimento in qualsiasi forma, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi di Ma.An. ivi riportati.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 aprile 2024.
Depositato in Cancelleria l’11giugno 2024



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