Il Sud cresce nel 2024 più del doppio del Nord (+1,2% rispetto a +0,5%), e di fatto ribadisce di essere la vera locomotiva del Paese la cui media Pil complessiva per l’anno in corso dovrebbe aggirarsi alla fine tra il +0,8% e il +0,9%. È la conferma di quella che si può ormai definire una linea di tendenza a tutti gli effetti, dopo il clamoroso dato 2023 (+1,3%) certificato dall’Istat e anticipato dalla Svimez. Stavolta ad evidenziare la spinta del Mezzogiorno è uno studio di Confcommercio, diffuso ieri e dedicato all’analisi dei consumi nelle economie regionali (che segnano, come vedremo, il passo un po’ dovunque). Il Sud che fa da traino al Paese è una lettura ormai inevitabile nonostante il fatto che debba fare i conti con due importanti elementi di criticità. Il più pericoloso è il perdurante livello di spopolamento dei suoi territori: Confcommercio calcola, infatti, che la popolazione del Sud ha subito una riduzione di 161mila unità tra il 2022 e il 2024, a fronte di un incremento di 125mila unità al Nord.
Non è un fenomeno nuovo, ovviamente e non va confuso con il calo demografico, prodotto dalla denatalità e anch’esso da tempo al centro di mille preoccupazioni: l’allarme sul rischio di una progressiva desertificazione soprattutto delle aree interne è acceso da anni, con previsioni a medio e lungo termine pesantissime (la Svimez un anno fa aveva quantificato in 8 milioni di residenti in meno la consistenza dello spopolamento nel Mezzogiorno al 2080). In questo caso, però, il dato colpisce perché sembra andare in controtendenza rispetto agli ormai evidenti miglioramenti del sistema economico del Sud, dove l’incremento dell’export e dell’occupazione, e persino una rinnovata dinamica dei cervelli di rientro, indicano che il cambio di paradigma non solo è possibile ma è persino iniziato.
È probabile che occorrerà ancora del tempo per capire se e quanto la crescita inciderà anche su questo fronte, a comporre il quale come evidenziato dal Rapporto di Deloitte sulla Campania – contribuirebbe un’offerta formativa del sistema universitario «meno attrattiva». Di sicuro è un tema centrale anche perché, come spiega Confcommercio, affinché si riducano i divari in termini monetari assoluti è necessario che il rapporto tra le variazioni del Pil pro capite tra area povera e area ricca sia superiore al rapporto tra i livelli medi della medesima grandezza (sempre il Pil pro capite). Cosa che, appunto, si è verificata sia per il 2023 sia per il 2024). D’altra parte, la riduzione del divario è piuttosto esigua (meno di 350 euro reali pro capite nel biennio) mentre il divario anche nel 2024 resta superiore, come detto, ai 18mila euro ai prezzi 2020.
L’altro elemento di criticità sul quale riflette Confcommercio è la distanza molto ampia tra il Pil pro capite del Sud e quello del Nord. Parliamo di 18mila euro di scarto (21.714 euro al Sud contro i 39.786 euro al Nord), che per la verità sembrano riflettere una realtà da tempo consolidata, quasi immutabile, nella quale l’esistenza di tanti Sud diversi all’interno della stessa macroarea ovviamente non emerge trattandosi di una media. Ma allora si può crescere nel Pil meglio di tutto il resto del Paese e non riuscire, come sembrerebbe quasi automatico, a ridurre questa distanza?
L’impatto
La domanda aleggia sul Rapporto della Confcommercio anche perché se è vero che sul piano dei consumi il Sud fa leggermente peggio della media Italia (nel 2024 l’aumento è dello 0,4% rispetto allo 0,5% del Paese) è anche vero che il Mezzogiorno ha comunque recuperato quest’anno la quota di consumi antecedenti il Covid. Ha, cioè, annullato definitivamente l’impatto della pandemia che è stato particolarmente duro per le famiglie, considerati appunto i più bassi livelli di reddito esistenti. Non a caso la Svimez, che il 27 novembre presenterà il Rapporto 2024 a Roma, ha focalizzato la risposta in termini di potere d’acquisto del Mezzogiorno per capire se l’allineamento alla crescita del Paese è destinato a durare ancora.
In Italia peraltro non è solo il Sud ad avere una crescita modesta dei consumi che pur superando complessivamente quest’anno di 17 miliardi il livello pre-Covid, non mostrano segnali di ripresa significativa sul 2023 (+0,5% contro +1%). Il rallentamento interessa tutte le Regioni ad eccezione di Liguria e Umbria, dove crescono rispettivamente di 7 e 4 decimi di punto, e del Molise dove sono stabili.
«Questo rallentamento testimonia un tessuto economico ancora fragile, nonostante il contributo positivo del turismo straniero, che ha sostenuto la domanda in alcune regioni di quest’area del Paese (come in Campania, ndr) dice il Rapporto -. L’aggiornamento delle stime regionali relative al prodotto lordo e ai consumi sul territorio (questi ultimi effettuati sia da italiani che da stranieri) e le evidenze statistiche dei primi due trimestri del 2024 confermano la sensazione che, in Italia, il circuito redditi-fiducia-consumi si sia in qualche modo inceppato: i maggiori redditi disponibili reali, dovuti alla crescita dell’occupazione, agli effetti dei rinnovi contrattuali e al calo drastico dell’inflazione, non si sono ancora tradotti in maggiori consumi». È questo dice Confcommercio, il punto debole dell’attuale congiuntura economica. «L’economia italiana è in una fase complessa spiega il presidente Carlo Sangalli -: il Sud cresce più del Nord, ma il divario resta ancora ampio. C’è un problema di fiducia nonostante l’aumento dei redditi reali. Occorre più coraggio nella revisione della spesa pubblica per poter alleggerire il peso fiscale che penalizza famiglie e imprese».
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