ANCONA – Ha portato all’applicazione di 33 misure cautelari l’operazione ‘No Name’, svolta dalla Guardia di Finanza della provincia di Ancona su ordine del Gip di Macerata e coordinata dall’Eppo (la procura europea) di Bologna e Milano, visto che i rami dell’organizzazione cinese oggi smantellata si erano da tempo estesi anche in Europa. L’accusa è di frode fiscale internazionale e riciclaggio. Ancor più nello specifico 2 persone, ritenute le promotrici di tutto il sistema, sono finite in carcere, altre 5 ai domiciliari con l’applicazione del braccialetto elettronico, mentre 2 soggetti hanno l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. In totale sono stati sequestrati 116milioni di euro e posti i sigilli su 9 unità immobiliari, 5 attività di ristorazione, conti correnti e auto di lusso intestate agli indagati. Sequestrata anche una cittadella commerciale a Civitanova Marche, all’interno della quale sono presenti punti vendita al dettaglio e all’ingrosso gestiti da cittadini di nazionalità cinese.
L’operazione, in corso da questa mattina, si è svolta principalmente a Civitanova e Corridonia, ma in via parallela ha visto coinvolte altre 21 provincie italiane sparse (oltre che nelle Marche) tra, Emilia Romagna, Puglia, Veneto, Toscana, Lombardia, Abruzzo, Campania, Piemonte e Lazio. Tutte regioni in cui le attività illecite si erano successivamente sviluppate. Non a caso all’operazione, eseguita più specificatamente dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Ancona, è stata svolta con la collaborazione dei reparti della Gdf presenti sui vari territori. In tutto sono stati impiegati 250 finanzieri, 80 autovetture, 1 elicottero, 4 unità cinofile cash-dog e sofisticate apparecchiature scanner per la ricerca di intercapedini. Inoltre il sequestro dei beni, intestati a soggetti prestanome e a società apparentemente terze, ma di fatto nella disponibilità degli indagati, giunge al termine di una scrupolosa analisi su numerosi conti correnti nazionali ed esteri, realizzata anche grazie alla tempestiva acquisizione documentale garantita dall’egida della Procura europea, mediante gli omologhi Uffici competenti in Grecia, Germania e Bulgaria. Una procedura che ha permesso di evitare la richiesta di rogatorie internazionali che, si sa, richiedono un’infinità di tempo.
Le indagini si sono rivelate complicate sin dall’inizio, non fosse altro per l’analisi dei social e delle chat degli indagati, scritte in cinese-sinico, spesso di tipo dialettale. La frode fiscale internazionale seguiva un articolato schema: Le merci cinesi, principalmente capi di abbigliamento e accessori, arrivavano in Italia attraverso il porto del Pireo in Grecia, dichiarando anzitutto un quantitativo minore a quello effettivo. Poi, attraverso una serie di triangolazioni, delle società greche e bulgare vendevano la merce a delle società inesistenti, denominate missing trader, italiane. Il meccanismo permetteva così di bypassare l’Iva. Così, senza Imposta sul valore aggiunto da corrispondere e con minori dazi doganali corrisposti, le merci potevano essere commercializzate a prezzi sensibilmente inferiori a quelli di mercato. Il valore del giro stimato in questo caso ammonta a 500milioni di euro.
Particolarmente interessante è come questi soldi venivano poi riciclati o, come si usa dire nel gergo, ‘lavati’. Ebbene l’associazione aveva messo in piedi una vera e propria ‘banca occulta’, meglio nota per gli inquirenti come Chinese Underground Bank. Insomma, a Civitanova e Corridonia vi erano autentici sportelli bancari abusivi dove si poteva versare e prelevare, celati all’interno di una villa, di un’agenzia di viaggi e di un Cash&Carry in cui i ‘clienti’ della banca si recavano per depositare i propri contanti e ripulirli. Spettava poi all’organizzazione cinese riciclare e stoccare il denaro versato per consegnarlo poi ai ‘clienti’ quando questi preventivamente avvisavano di voler effettuare un prelievo. Addirittura, per garantire la massima velocità e riservatezza, l’organizzazione aveva fornito all’agenzia viaggi una macchina conta soldi e un caveau per custodire le banconote. Da qui il contante veniva poi ritirato direttamente agli sportelli, come già detto, o inviato in diverse regioni d’Italia mediante ‘corrieri’, o trasferito all’estero tramite ‘conti virtuali’ all’apparenza europei, ma in realtà cinesi. I ‘clienti’ invece, a fronte del prelievo del denaro contante, procedevano a effettuare bonifici su conti correnti nazionali ed esteri riconducibili ai componenti dell’associazione criminale che, per tale servizio, trattenevano una percentuale sulle somme movimentate.
Le indagini svolte hanno inoltre permesso di individuare un sistema di trasferimento verso l’estero dei fondi illeciti che, attraverso società fittizie, fatture per operazioni inesistenti e triangolazioni europee, ha cercato di aggirare i presìdi antiriciclaggio, facendo transitare il denaro in molti stati. Oltre alle già dette Grecia e Bulgaria, figurano infatti Francia, Spagna, Germania, Estonia, Danimarca, Irlanda e Gran Bretagna. Tutto questo prima di inviarlo poi in Cina e, in parte, farlo tornare anche in Italia. Il denaro completamente ripulito era poi re-investito in Italia.
La Guardia di Finanza tiene infine a sottolineare come, oltre al proprio impegno nel contrasto all’evasione fiscale, operazioni come quella di oggi permettono di non distorcere i mercati e la concorrenza evitando così che il mercato legale venga inquinato da chi fa il furbetto. A spiegare tutti i dettagli della maxi operazione ‘No Name’ sono stati questa mattina nell’ordine in cui hanno preso parola il comandante regionale, Generale B. Nicola Altiero, il comandante provinciale, Generale B. Carlo Vita, il comandante del nucleo Pef di Ancona, Colonello t.Spef Ciro Castelli e il comandante del Gico del nucleo Pef di Ancona, tenente colonnello Peppino Abruzzese.
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