La legge di Bilancio 2025 allarga il perimetro della digital service tax all’intero mondo imprenditoriale. Il rischio boomerang è però elevato: anziché colpire le Big Tech, impallina le PMI
Tutte le realtà che realizzano ricavi derivanti da servizi digitali «sono soggetti passivi dell’imposta sui servizi digitali». Così recita l’articolo 4 della manovra 2025 che rischia di penalizzare le attività che operano anche online.
Web tax, la manovra colpirà Big Tech, PMI e startup
Come ha documentato Today, finora la web tax in Italia interessava grandi realtà con un fatturato globale superiore a 750 milioni di euro e ricavi derivanti da servizi digitali in Italia da oltre 5,5 milioni di euro. Il testo appena arrivato in Parlamento per la votazione finisce invece per colpire tutte le società che lavorano e generano ricavi grazie a internet, indipendentemente dal loro fatturato.
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Al momento la premier Giorgia Meloni non ha commentato, anche se è possibile che nelle prossime ore la protesta spinga a emendare un articolo che, se applicato, finirebbe per spingere moltissime startup fuori mercato. Sorprende che la proposta arrivi da un governo che si è esposto sostenendo uno degli imprenditori più noti a livello globale, Elon Musk, da sempre contrario agli ostacoli normativi per la libera impresa.
La novella arriva poi a stretto giro dall’incidente del Piracy Shield, che lo scorso week end ha oscurato Google Drive e YouTube. Per questo sui social in molti si chiedono se l’esecutivo sia nemico dell’innovazione. Peraltro sulla questione si registrano gli attacchi del Commissario Agcom Massimiliano Capitanio nei confronti di Big G.
L’allarme degli investitori sulla web tax
A StartupItalia ha rilasciato questa dichiarazione Francesco Cerruti, Direttore Generale di Italian Tech Alliance: «Auspichiamo che l’eliminazione della soglia per quanto riguarda la web tax sia frutto di una svista. Le conseguenze per le tante piccole e medie imprese innovative sarebbero infatti molto gravi. Stupisce inoltre che il calcolo prenderebbe in considerazione il fatturato e non il reddito, non tenendo quindi conto di elementi altrimenti imprescindibili nel calcolo della contribuzione. Siamo al lavoro affinchè la versione finale della finanziaria non preveda questa misura».
Gianluca Dettori, General Partner di Primo Ventures, ha commentato su LinkedIn: «Care startup, preparatevi a dover pagare una ‘tassa web’ sul 3% del vostro fatturato indipendentemente che siate profittevoli (raro) o in perdita in quanto state investendo come pazzi per conquistare quote di mercato. Preparatevi ad essere 3% meno competitive di tutti i vostri concorrenti internazionali per sovvenzionare una classe politica che se ne frega altamente del vostro lavoro».
A Wired Umberto Bottesini, imprenditore e founder di BlackSheep, ha dichiarato: «Queste modifiche non solo non miglioreranno una tassa di per sè già mal concepita, ma andranno a colpire le piccole e medie imprese che operano nel settore digitale, startup e scaleup comprese, invece dei grandi colossi tech».
Il governo fa cassa sulle cripto?
Sempre all’articolo 4 della manovra c’è un altro elemento che ha generato polemica ed è quello riguardante l’aumento dal 26 al 42% dell’imposta sostitutiva sulle plusvalenze da Bitcoin e criptovalute. Sempre su Wired è stata pubblicata una lettera aperta a firma di numerosi esperti e rappresentanti di quel segmento: «L’aumento della tassazione metterebbe in grave svantaggio l’industria italiana dei servizi cripto, minando l’innovazione e l’attrattività del Paese per investitori, startup e talenti tecnologici. Rallenterebbe lo sviluppo in Italia di progetti innovativi sostenuti o basati su cripto-attività, rendendo più difficile per le aziende attrarre capitali».
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