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In legge di Bilancio “incentivi” all’acquisto di auto aziendali elettriche: ecco come cambia la fiscalità (con qualche effetto collaterale) #finsubito prestito immediato


Per ridurre i sussidi ambientalmente dannosi, nella manovra il governo Meloni parte dalla fiscalità delle auto aziendali e dallo smaltimento dei rifiuti. Nel testo del disegno di legge bilancio vistato dalla ragioneria generale dello Stato, infatti, sono dedicati a questi settori i due commi di cui è composto l’articolo 7 che si occupa proprio della riduzione dei Sad. Un tema caldo dato che, secondo un recente studio pubblicato da Transport&Environment, ad oggi l’Italia è un paradiso fiscale per le auto aziendali inquinanti, sovvenzionandole con agevolazioni pari a 16 miliardi di euro l’anno, più di quanto non facciano Germania e Francia. Con la riforma della fiscalità prevista nel testo per le auto aziendali e il fringe benefit si passerebbe dal sistema attuale, in cui la tassazione viene stabilita in base alle emissioni di anidride carbonica con una divisione in quattro fasce di emissione, a un altro basato solo sul tipo di alimentazione e che prevede tre scaglioni. Sarebbe centrato l’obiettivo di incentivare l’acquisto di auto aziendali elettriche, anche se di poco, stando alle stesse previsioni del governo, ma con qualche effetto collaterale.

Qualche dato sui Sad – Nel 2021, secondo un rapporto di Legambiente, l’Italia ha speso 34,6 miliardi di euro in sussidi ambientalmente dannosi, a cui vanno aggiunte misure più recenti introdotte per far fronte all’emergenza energetica che, solo nel 2022, avrebbero portato la somma a quasi 95 miliardi di euro. Al 2021, il settore energetico è quello che conta sul maggior numero di sad (24), ma con i suoi 15 sussidi, è il settore dei trasporti a costare di più (16,6 miliardi di euro). “Era un passo necessario quello di rivedere la tassazione su queste auto, perché è un sad che vale 1,3 miliardi di euro, ma certamente si poteva fare di più”, spiega a ilfattoquotidiano.it Massimiliano Bienati, responsabile del Programma Trasporti del think tank Ecco.

Auto aziendali, cosa cambia – Il primo comma dell’articolo 7 del testo modifica l’articolo 51 del Testo unico delle imposte sul reddito (Tuir) che stabilisce in che misura incide sul reddito del dipendente sottoposto a tassazione Irpef l’assegnazione di un’auto di proprietà dell’azienda concessa a un dipendente sia per lavoro, sia per utilizzo personale. Attualmente si utilizza un criterio di determinazione forfetario. Si moltiplica la percorrenza chilometrica convenzionalmente fissata in 15mila chilometri (quindi valida per tutti) per il costo chilometrico di esercizio (euro per chilometro) definito dall’Automobile Club d’Italia per ciascun modello di veicolo e, a questo prodotto, si applica una percentuale. In base alla legislazione vigente, dunque, tale percentuale varia in relazione ai valori di emissione di anidride carbonica del veicolo. Ci sono quattro fasce: 0-60 g/km (25%), 61-160 g/km (30%), 161-190 g/km (50%) e oltre 190 g/km (60%). Le nuove disposizioni, che si applicherebbero ai contratti stipulati dall’1 gennaio 2025, applicano una percentuale unica del 50% per tutti i mezzi, ridotta del 20% per i veicoli elettrici ibridi plug-in e del 10% per i veicoli elettrici a batteria. Evidente il vantaggio per le auto elettriche e per le ibride, ma anche per quelle che finora si trovavano nella fascia dei 190 g/km a cui veniva applicata una percentuale del 60%, che ora scenderebbe al 50%.

Il problema degli ibridi plug-in – Per gli ibridi plug-in si pone un problema, come confermato da Bienati, alla luce del rapporto pubblicato la scorsa primavera dalla direzione generale per l’azione per il clima (DG Clima) della Commissione europea. Raccogliendo dati su un campione di 600mila automobili, è emerso che le emissioni di anidride carbonica dei veicoli ibridi plug-in in realtà sono in media 3,5 volte superiori ai valori di laboratorio e a quelli dichiarati. “Questo perché queste auto hanno batterie piccole che danno un’autonomia di 40-50 chilometri. Quindi – spiega Bienati – non vengono caricate e guidate in modalità esclusivamente elettrica con la frequenza necessaria per sfruttare il loro potenziale, ma continuano ad andare a combustione”. Queste vetture arrivano ad avere impatti anche superiori rispetto a quelle diesel o benzina, in quanto pesano anche si più avendo la doppia propulsione, sia elettrica che termica.

Le previsioni del governo – Il governo Meloni prevede che si verifichi una ridistribuzione della composizione parco auto, con uno spostamento su auto elettriche ed ibride, in sostituzione di auto con maggiori emissioni, del 5% il primo anno e del 10% annuo negli anni successivi. Sulla base dei dati così ottenuti, considerando l’entrata in vigore della norma da gennaio 2025, si conta di incassare 25 milioni nel 2025, 77 nel 2026, 119 nel 2027 e 123 nel 2028. “A fronte di un sad che vale 1,3 miliardi è un po’ poco – commenta Bienati – si poteva abbassare a zero la percentuale per le elettriche e si doveva essere più prudenti su quel 20% per i veicoli elettrici plug-in ibridi, proprio per il discorso delle emissioni”.

Aumenta l’Iva per discariche – Al comma 2 dello stesso articolo, si prevede di escludere le operazioni di conferimento in discarica e di incenerimento senza recupero efficiente di energia dalle prestazioni di gestione di rifiuti urbani e speciali assoggettate ad aliquota IVA del 10%. Secondo le nuove regole, dunque, per queste operazioni sarebbe prevista un’aliquota pari al 22%. Il governo prevede di ricavare dalla misura 148,1 milioni di euro su base annua a partire dal 2025. Secondo un rapporto di Utilitalia e Ispra nel 2022, 188 impianti tra inceneritori e digestione anaerobica della frazione organica e dei fanghi di depurazione hanno prodotto in Italia circa 7 milioni di MWh di energia. Tutto questo non deve far dimenticare che la direttiva quadro sui rifiuti stabilisce normative e politiche per il trattamento dei rifiuti nell’Unione Europea e indica una precisa gerarchia, che rappresenta le priorità nella gestione dei rifiuti. Ai primi posti ci sono prevenzione e riutilizzo, seguiti da riciclaggio, recupero di altro tipo (per esempio il recupero di energia) e, solo come ultima spiaggia, lo smaltimento.

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