Il testo della legge di bilancio conferma che il “sacrificio” delle banche per far quadrare i conti dello Stato si tradurrà per la gran parte in un prestito, a costo zero. Il tutto grazie a un artificio contabile, già usato dai governi Conte e Draghi. Il reale esborso del sistema bancario sarà molto inferiore, rispetto alle cifre sbandierate dal governo.
Che il contributo delle banche alla legge di bilancio alla fine si sarebbe ridotto più o meno a una partita di giro a costo quasi nullo, lo si è era capito già nelle scorse settimane, nonostante i roboanti annunci del governo, dopo il varo della manovra. Ora che il testo è arrivato in parlamento, sono le stesse tabelle stilate dai tecnici del ministero dell’Economia a dare corpo e numeri alla reale entità del “sacrificio” del sistema bancario, che sembra essere davvero molto limitato. Ma non solo, leggendo la norma, si scopre come non si tratti affatto di un unicum senza precedenti. Al contrario, misure simili sono state adottate da tutti gli ultimi governi, senza clamore e ben prima del recente periodo, in cui gli istituti hanno fatto registrare il record di profitti.
Il cuore dell’amichevole “assalto” del governo alle risorse del sistema bancario si trova all’articolo 3 della legge di bilancio. Come già noto, il meccanismo prescelto è quello del congelamento della quota di deduzioni, che annualmente gli istituti usano per ridurre le tasse dovute allo Stato. Secondo la legge, ogni anno le banche possono sottrarre dal reddito sottoposto a Irpes e Irap una cifra pari a una certa percentuale delle loro perdite e svalutazioni maturate sui crediti, nonché dei costi di avviamento. Nel 2025 e nel 2026, invece, secondo quanto stabilito dalla manovra, non potranno farlo. Questi benefici però non andranno persi, ma semplicemente saranno spalmati negli esercizi successivi a quelli del blocco, fino al 2029.
Nell’immediato dunque è vero che ci saranno più tasse per le banche, ma quello che lo Stato incassa di più oggi dovrà ridarlo domani. A testimoniarlo sono proprio le tabelle allegate alla manovra, che stimano un aumento del gettito di Ires e Irap di tre miliardi e 372 milioni fino al 2026, derivante dal blocco delle deduzioni. Ma poi calcolano una perdita esattamente equivalente di introiti, distribuita dal 2027 (quando gli istituti incominceranno a riscattare le deduzioni sospese), fino al 2030. Un gioco a somma zero, che scarica le perdite sui conti (e i governi) del futuro, per avere un po’ più di spazio fiscale nell’immediato.
Un trucco già visto
Il punto è anche un altro: quello che da Meloni e dalla sua maggioranza (Forza Italia esclusa) viene presentato come una mezza impresa – cioè aver convinto il sistema bancario a rinunciare a una quota di sconto fiscale per un paio d’anni – è in realtà un escamotage usato da quasi tutti i governi, nella scorsa legislatura. Lo ha fatto il governo Conte uno nella manovra del 2018, differendo la quota di deduzioni sulle perdite e svalutazioni dei crediti delle banche prevista per quell’anno, al 31 dicembre 2026. Lo ha fatto di nuovo il governo giallorosso con la legge di bilancio del 2019, spostando il benefit al 2022 e spalmandolo anche sui successivi tre anni. E ancora, a marzo 2022, Draghi per trovare le coperture al decreto contro il caro bollette ha congelato i benefici fiscali, distribuendoli poi sui successivi quattro anni. Tutte operazioni passate sotto i radar, non certo spacciate per chissà quale “donazione di sangue” degli istituti. E peraltro avvenute prima del boom dei tassi d’interesse, che negli ultimi due anni avesse fatto gonfiare i bilanci del sistema, mettendo al centro del dibattito il tema di un possibile prelievo (mai arrivato) sui profitti.
Lo stesso governo Meloni nella manovra dello scorso anno aveva messo in atto una rinvio delle deduzioni, ma solo per una parte minima della porzione prevista. Ora invece il centrodestra propone un intervento più simile a quelli del passato nella forma (sospensione completa delle agevolazioni), ma decisamente più ampio per dimensioni, anche se comunque con un impatto nullo a lungo termine sui conti dello Stato. Si tratta insomma sempre di un prestito, gravoso nell’immediato per carità, ma che certo il sistema bancario si può permettere, dopo due anni di guadagni alle stelle. Un atto di minima riconoscenza all’esecutivo, che l’anno scorso ha consentito alle banche di non pagare la tassa si cosiddetti extraprofitti, permettendo invece di accantonare quanto dovuto nei propri bilanci.
Cosa rimane, allora? L’unico vero incasso netto per lo Stato viene da una clausola, contenuta al comma 5 dell’articolo 3 della manovra. Per il 2025, è stabilito un vincolo relativo a un altra possibilità offerta alle banche, per abbattere il loro reddito tassabile: quella di sottrarre dall’imponibile, perdite ed eccedenze fiscali, maturate nei precedenti esercizi. Il prossimo anno, lo potranno fare solo per un limite massimo del 65 percento del reddito totale. Il tetto permetterà allo Stato di incassare 695 milioni di euro aggiuntivi dall Ires. Questa cifra – al netto di possibili prossimi recuperi futuri – è l’unico vero contributo delle banche alla legge di bilancio. Altro che i quattro miliardi sventolati dall’esecutivo. Ancora una volta, le stesse tabelle del ministero dell’Economia parlano chiaro
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