Le motivazioni della sentenza: si trattò di un «impiccamento suicidiario». E la condotta dell’imputato» non può essere nemmeno qualificata come «persecutoria». In primo grado l’accusa aveva chiesto 30 anni
Non c’è «spazio» per «considerare» quel «suicidio» come «una conseguenza non voluta ma comunque concausata dalla condotta dell’imputato», che non può essere nemmeno qualificata come «persecutoria». E non ci sono elementi neppure per sostenere che «abbia previsto le intenzioni autolesive della vittima». Lo scrive la Cassazione nelle motivazioni della sentenza di assoluzione con cui l’8 maggio scorso ha chiuso definitivamente, dopo quasi 8 anni, il caso della morte di Carlotta Benusiglio, la stilista 37enne trovata impiccata con una sciarpa ad un albero nei giardini di piazza Napoli, a Milano, il 31 maggio del 2016.
La Suprema Corte ha assolto da tutte le accuse l’ex fidanzato Marco Venturi, che era stato l’ultima persona a vederla viva quella notte e con il quale la donna aveva avuto l’ennesimo litigio. Dalle 27 pagine di motivazioni della prima sezione penale (presidente Giuseppe Santalucia) emerge che la Cassazione conferma, sulla base degli atti e di una perizia effettuate nelle indagini, che si trattò di un «impiccamento suicidiario», non di un omicidio. E che a carico di Venturi, difeso dall’avvocato Andrea Belotti, non è «configurabile» nemmeno il «reato di morte come conseguenza del delitto di atti persecutori».
Su questo fronte nella sentenza di primo grado, spiega la Corte, c’erano solo «letture psicologiche e illazioni», non prove. Il verdetto della Suprema Corte, che ha rigettato tutti i ricorsi, ha confermato quello della Corte d’assise d’appello milanese che nell’ottobre 2023 ha assolto l’ex compagno da ogni accusa «perché il fatto non sussiste». Nel processo di primo grado per omicidio volontario, contestato dalla Procura che chiese 30 anni, Venturi era stato condannato dal gup a 6 anni di reclusione per «morte come conseguenza di altro reato», ossia un ipotizzato stalking che l’uomo avrebbe portato avanti negli anni nei confronti della stilista. Il rapporto tra Venturi e Benusiglio, scrive la Cassazione riportando «l’argomento di chiusura tranciante» della Corte milanese, «non ha mai assunto i caratteri tipici della relazione che si instaura tra lo stalker e la vittima».
Le «immagini riprese dalle telecamere» quella notte, si legge nella sentenza, «non hanno mai ripreso Venturi mentre teneva comportamenti da “instancabile ed ossessivo inseguitore” ma, al contrario, mentre, con un atteggiamento remissivo, rimaneva del tutto inerte senza reagire alle ripetute condotte violente della Benusiglio, cessate solo con l’arrivo di una camionetta con a bordo alcuni militari». La sentenza di primo grado, tra l’altro, scrive la Cassazione, era affetta da «una contraddizione insuperabile»: riusciva a sostenere allo stesso tempo che Venturi l’aveva pedinata «ossessivamente fino ai minuti immediatamente precedenti al gesto suicidiario», determinando la sua morte, e poi a «rimproverare» al compagno «a titolo di colpa di non essersi attivato, una volta accortosi delle precarie condizioni psicologiche in cui» lei «versava, per evitare» il suicidio.
Per i giudici, come si legge ancora nelle motivazioni, Benusiglio «ben prima dell’inizio della relazione con Venturi viveva già un forte disagio psicologico seriamente afflittivo». In secondo grado, la Corte d’appello di Milano aveva ritenuto «inesistente» lo stalking, mettendo nero su bianco anche che su questa vicenda non ci sarebbe stato bisogno nemmeno di un processo, ma bastavano gli esiti «dell’incidente probatorio», ossia della perizia che stabilì che si era trattato di suicidio. Verdetto confermato in Cassazione, alla quale la Procura generale milanese si era appellata sostenendo stavolta direttamente il reato di morte come conseguenza dello stalking (era prescritto tra l’altro) e non più l’omicidio, per cui i pm avevano chiesto 30 anni di carcere per Venturi in primo grado.
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