Opinioni – E’ il caso del dibattito politico che si sta generando intorno all’opportunità o meno di aggiornamento degli estimi catastali per le case e le unità immobiliari che hanno usufruito del cosiddetto “ 110”, introdotto con il decreto bilancio dal governo Conte
di Riccardo Pignatelli
Nella nostra bella Italia le cose vanno veramente un po’ al “contrario” di quello che il senso comune indurrebbe ragionevolmente a pensare. E’ il caso del dibattito politico che si sta generando intorno all’opportunità o meno di aggiornamento degli estimi catastali per le case e le unità immobiliari che hanno usufruito del super bonus cosiddetto “ 110”, introdotto con il decreto bilancio (d.l. n. 34 del 2020) dal governo Conte.
In un mondo normale la questione non avrebbe avuto alcuna attenzione da parte dei partiti, né tanto meno dal Governo, atteso che le rendite catastali degli immobili debbono necessariamente corrispondere alla giusta classificazione degli stessi.
In effetti, se un privato oggi, con i propri risparmi, costruisce una villetta dotata di tutti gli adeguamenti normativi circa la sicurezza, le strutture ed il risparmio energetico, alla fine dei lavori dovrà obbligatoriamente accatastare l’immobile con la classe di appartenenza dovuta, e quindi non potrà sfuggire al fisco pensando di potersi attribuire una rendita inferiore per evitare la tassazione maggiore.
Se provasse a farlo l’Ufficio del Catasto bloccherebbe la pratica e farebbe scattare anche le dovute sanzioni.
Sin qui tutto ragionevole e normale, ma quando però si parla del 4% degli immobili italiani che riguardano ristrutturazioni di unità immobiliari condominiali, ville, palazzi, di prime e seconde case appartenenti a proprietari, più o meno benestanti, che hanno potuto beneficiare del “110” perché avevano la capacità finanziaria per iniziare la pratica, allora ecco che ci si domanda se è opportuno o meno (visto il privilegio di cui hanno già goduto! ) di obbligarli ad adeguare la rendita catastale.
E per fare un po’ di ammuina politica si difende il diritto all’esenzione delle tasse sulla prima casa e si grida contro il Governo che intende introdurre così una sorta di patrimoniale nascosta.
Ragionando di logica, quindi, non solo questi proprietari hanno potuto beneficiare di un bonus il cui costo dovrà essere pagato dalla fiscalità generale ( che alla fine è la massa dei contribuenti del ceto medio: lavoratori dipendenti, pensionati e precari), ma occorre dar loro un ulteriore ristoro esentandoli dalle tasse.
Con la cinica e sottile ironia del grande scrittore E.Petrolini, potremmo dire che è giusto che le tasse le paghino soprattutto i poveri, ancorchè siano poveri sono però tanti!
Ricordo che tantissime di quelle ristrutturazioni hanno riguardato condomini in zone residenziali di pregio, ville e palazzi di valore in zone bellissime sia montane che marine, appartenenti a proprietari benestanti, sia italiani che stranieri.
Tutto questo si cerca di farlo passare inosservato agli occhi dell’opinione pubblica e, come nel famoso conto di Totò con Peppino, si cerca di cambiare le carte in tavola, senza domandarsi a chi si stanno chiedendo ulteriori sacrifici ed in nome di cosa?
Siamo in un Paese che purtroppo vive di queste ambiguità, che rendono effettivamente un “mondo un po’ al contrario”, basti pensare che da noi la progressività della tassazione è applicata solo in un verso, quando occorre dare non quando bisogna avere, come ad esempio la perequazione sulle pensioni per il recupero dell’inflazione, dove la progressività è inversa.
E che dire della prima casa, quella del contadino su un cucuruzzolo di montagna è prima casa come l’attico romano con vista su S. Pietro.
Senza andare oltre, l’aspetto che vogliamo evidenziare con queste poche righe è che la politica oggi non governa più i processi, ma li subisce, cerca vanamente di darsi un ruolo di leadership che però non ha, scadendo così nel populismo per guadagnare consenso e quindi tutto si riduce a piccole bandierine per il proprio elettorato.
I partiti disegnati ed auspicati dai Padri Costituenti (art.49 Cost.) erano soggetti rappresentativi delle istanze e della sovranità popolare, titolari di una missione ben precisa: costruire e garantire una società democratica fondata sul lavoro e sui diritti nella quale tutto, anche la normativa quale prerogativa parlamentare, rispettasse sempre il principio di equità e di giustizia e non i desiderata corporativi delle parti più forti contro quelle più deboli.
Ma non c’è da meravigliarsi se le cose vanno oggi un po’ al contrario, in fondo la società in cui viviamo è per lo più sopita e dormiente, vive di social e concepisce solo il presente e del concetto di equità non ha più né memoria nè percezione.
Manca un concetto dell’Io super individuale e del dovere sociale, manca la voglia nei giovani di impegnarsi come protagonisti della propria vita e nella società, quei tanti che hanno una coscienza critica ed una professione valida vanno via per costruire altrove nel mondo il loro futuro.
Anche i concetti di libertà e giustizia, fondamentali per una democrazia, sono temi dimenticati sia nella formazione scolastica che nella cultura in generale.
La coscienza collettiva sembra essere diventata un puzzle di opinioni personali maturate sui social.
Siamo entrati a pieno titolo anche noi nella società occidentale del woke e del cancel culture, senza più riferimenti ideali né tanto meno identitari, oggi considerati come “ la scabbia”.
Quel che resta dunque è un mondo che si regge sulla narrazione più che sulla realtà dei fatti ed i partiti non ne sono esenti, venendo meno in questo modo la loro funzione sociale e pubblica, ancor prima che politica, appiattendosi su temi che a rigor di logica non dovrebbero proprio far parte della loro agenda.
Ecco perché chi è forza di governo deve avere il coraggio ed insieme la responsabilità di dire chiaramente agli italiani le cose come stanno, assumendo le decisioni politiche opportune in ogni circostanza, basate soprattutto sui princìpi fondamentali di equità e giustizia.
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