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La questione posta all’esame delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione appare, a prima vista, assai complessa.


Cercheremo di sintetizzarla.


La proprietaria di un immobile (che chiameremo A) stipula con una società a responsabilità limitata (che chiameremo B), nel mese di maggio 1996, un contratto di locazione ad uso commerciale (ex art. 27 L. 392/78, della durata di anni sei, più sei, in caso di mancata tempestiva disdetta motivata, ex art. 29 della stessa legge).


Successivamente all’intervenuto tacito rinnovo del contratto per mancata tempestiva disdetta (maggio 2002), questo viene ceduto dalla conduttrice originaria B ad altra società (che chiameremo C).


Nel frattempo, in data 8.4.2002 (e cioè dopo che il contratto fra le parti si era rinnovato tacitamente per mancanza di disdetta motivata), era stato effettuato il pignoramento dei canoni di locazione dovuti alla proprietaria A dal conduttore originario B.


A sua volta la società (sublocatrice) C aveva stipulato un contratto di sublocazione con altra ditta (subconduttrice), che chiameremo D.


Il pignoramento presso terzi aveva colpito i canoni dovuti da B (e, poi, da C) a A (proprietaria, nominata custode).


La società C aveva agito davanti al Tribunale di Latina intimando sfratto per morosità alla subconduttrice D, chiedendo il rilascio dell’immobile concesso in sublocazione e la risoluzione del contratto per mancato pagamento dei canoni di locazione mensilmente dovuti; la ditta D si opponeva alla convalida eccependo la carenza di legittimazione attiva dell’intimante (società C), in quanto i canoni di locazione sarebbero stati pignorati con atto antecedente alla cessione del contratto.


Il Tribunale di Latina dichiarava la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento della ditta sub-conduttrice D.


La Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda proposta dalla società C (sublocatrice) nei confronti della appellante società D (subconduttrice).


La società C proponeva, allora, ricorso per Cassazione.


Stante l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale nella stessa Corte di Cassazione, la Terza Sezione Civile della S.C.C. chiedeva che, a Sezioni Unite, venisse composto e deciso il contrasto sulla seguente questione:


“se, in caso di pignoramento dell’immobile e/o di successivo fallimento del locatore, operi, quale effetto ex lege, la rinnovazione tacita di cui agli artt. 28 e 29 della legge n. 392 del 1978, e se poi la stessa rinnovazione tacita necessiti, o meno, dell’autorizzazione del giudice dell’esecuzione ex art. 560, secondo comma, c.p.c.



Sommario



Rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza in mancanza di diniego di rinnovazione ex art 29 L. 392/78


Per impedire la prosecuzione e la rinnovazione del contratto di locazione è necessario inviare, nei termini previsti dal legislatore (nel ns. caso almeno dodici mesi prima della scadenza), la disdetta, da ritenersi “atto negoziale unilaterale e recettizio”.


I termini di legge indicati per l’invio non sono derogabili (vedi Cass. civ. 23553/2009).


L’operatività di tale rinnovazione, in mancanza di disdetta, è autonoma, non necessitando di alcuna manifestazione di volontà (vedi Cass. civ. 10489/2009).


Alla prima scadenza, ex art. 29 L. 392/78, il diniego di rinnovazione è consentito al locatore solo in presenza di particolari condizioni richieste dalla norma e, quindi, solo per i motivi tassativamente indicati dal legislatore (lettera a, b, c, d del citato art. 29 della L. 392/78).


La norma non fa più riferimento al concetto di “necessità”, ma richiede solo l’intenzione del locatore, ossia un proposito serio e giustificato da apprezzabili esigenze di vita e di lavoro.


A pena di nullità deve essere indicato il motivo (fra quelli tassativamente indicati) sul quale è fondata la richiesta. E deve essere indicato il soggetto beneficiario dell’uso previsto dalle lettere a) e b) del citato articolo 29 (oppure dalla L. 431/98 per le locazioni ad uso abitativo).


Tale nullità è assoluta ed è rilevabile di ufficio (vedi Cass. civ. 19223/2007).


In conclusione, afferma la Cassazione a Sezioni Unite, con la rinnovazione si avrà una (nuova) locazione, ma di contenuto identico a quello in vigore in precedenza.


Locazioni stipulate prima o dopo la effettuazione del pignoramento o la pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento


Per le locazioni concluse dal locatore/debitore esecutato o fallito, aventi data certa anteriore al pignoramento (o alla sentenza dichiarativa di fallimento), si applica la previsione di cui all’art. 2923, 1° comma, c.c.


Le stesse sono opponibili all’acquirente soltanto se hanno data certa e che sia anteriore (al pignoramento, o alla sentenza dichiarativa di fallimento).


Ai sensi dell’art. 560, 2° comma, c.p.c., è fatto divieto al debitore o al terzo nominato custode di concedere in locazione a terzi l’immobile pignorato senza la preventiva autorizzazione del giudice dell’esecuzione, così come, ai sensi dell’art. 104-bis della Legge Fallimentare, il Curatore non può stipulare locazioni relative ad immobili ricompresi nel fallimento senza l’autorizzazione del Giudice Delegato.


Come già evidenziato dalla giurisprudenza (vedi Cass. civ. n. 10489/2009), in tale divieto si fa esplicito riferimento ad un atto negoziale di volontà, che non ricorre nella ipotesi di rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza, fattispecie, peraltro, del tutto diversa ed autonoma rispetto a quella prevista dall’art. 1597 c.c. (“fine della locazione per spirare del termine”).


Nella rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza contrattuale, ex art. 29 della L. 392/78, la rinnovazione automatica scaturisce direttamente dalla legge e non da una manifestazione di volontà negoziale.


I precedenti giurisprudenziali


Fino all’anno 2007, la Corte di Cassazione, con orientamento costante dal 1970, aveva ribadito la necessità dell’autorizzazione del giudice dell’esecuzione per la rinnovazione tacita della locazione avente ad oggetto l’immobile pignorato (o sottoposto a sequestro giudiziario) – vedi sentenze n. 8800/1998, n. 15297/2002, n. 26238/2007, n. 16375/2009), anche se il contratto era stato stipulato prima del pignoramento.


In particolare, si era statuito (vedi Cass. civ. 26238 del 13.12.2007) che:


“Anche se la locazione dell’immobile pignorato è stata stipulata prima del pignoramento, la rinnovazione tacita della medesima richiede l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, in forza dell’art. 560, secondo comma, c.p.c.”


Ciò perché l’opponibilità della locazione stipulata prima del pignoramento, ex art. 2923 c.c., non esclude l’applicabilità della normativa in tema di pignoramento, ed in particolare dell’art. 560 c.p.c., comma 2°, in riferimento agli aventi verificatisi in relazione al bene locato dopo che vi sia stato il pignoramento.


In data 7.5.2009, con la sentenza n. 10498, la Cassazione ha poi disatteso tale precedente orientamento, statuendo (giustamente, a parere di chi scrive) che nelle locazioni di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello abitativo, disciplinate dalla legge sull’equo canone, la rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza contrattuale per il mancato esercizio, da parte del locatore, della facoltà di diniego della rinnovazione stessa, costituisce un effetto automatico scaturente direttamente dalla legge, e non da una manifestazione di volontà negoziale, per cui siffatta rinnovazione non necessita della autorizzazione del giudice dell’esecuzione, così come previsto dall’art. 560 c.p.c., comma 2°.


Così motivando, anche in relazione alle precedenti statuizioni:


“La disposizione, dunque, configura la rinnovazione tacita del contratto, alla prima scadenza (della quale si tratta nella fattispecie in esame), in maniera del tutto speciale ed autonoma rispetto alla rinnovazione tacita del contratto di cui all’art. 1597 c.c., il quale ultimo fa riferimento alla «fine della locazione per lo spirare del termine» di cui al precedente art. 1596. Rinnovazione che, per l’ipotesi in esame, si atteggia, nel caso in cui il locatore non si trovi nelle condizioni di cui dell’art. 29, comma 2, (o, pur trovandovisi, non le comunichi al conduttore), come mero effetto automatico in assenza di disdetta. Diversamente dall’ipotesi di successive scadenze contrattuali, rispetto alle quali l’esercizio della disdetta, ad opera del locatore, è svincolato da qualsiasi presupposto o condizione.


Effetto automatico ex lege, dunque, che esclude l’applicabilità del disposto dell’art. 560 c.p.c., il quale, nel far divieto al debitore ed al terzo nominato custode “di dare in locazione l’immobile pignorato se non sono autorizzati dal giudice delegato” fa esplicitamente riferimento ad un atto negoziale di volontà che, nella fattispecie trattata, non ricorre.


Assolutamente inconferente è la giurisprudenza citata dalla ricorrente, la quale s’è limitata alla mera lettura delle massime estratte dai precedenti evocati. Infatti, Cass. n. 2576 del 1970 non è neppure da considerare in quanto addirittura precedente all’entrata in vigore della legge sull’equo canone. Cass. n. 8800 del 1998 tratta una fattispecie relativa a contratto di locazione stipulato prima dell’entrata in vigore della legge e tacitamente rinnovatosi alla scadenza del periodo di proroga disposto dalla disciplina transitoria. Cass. n. 15297 del 2002 contiene un obiter («È ben vero che, in linea di principio …») che serve solo ad assecondare la petizione di principio affermata dal ricorrente ma che non vale a ritenere fondato il motivo di ricorso. Infine, la fattispecie trattata da Cass. n. 26238 del 2007 riguarda un’ipotesi di contratto pervenuto alla sua naturale scadenza e non di ‘prima scadenza contrattuale’”.


La decisione della Corte di Cassazione a Sezioni Unite


Con la sentenza che si commenta, la Cassazione, a Sezioni Unite, ponendo fine al contrasto giurisprudenziale, ha ribadito, con una lunga motivazione, l’orientamento più recente, oggetto della citata sentenza n. 10498 del 2009, di cui ha riaffermato il principio di diritto ivi enunciato e sopra riportato.


Il contratto di locazione, nella fattispecie all’esame della S.C.C., si era automaticamente rinnovato – come sopra ricordato – per mancanza di tempestivo diniego di rinnovazione alla prima scadenza, sulla base del disposto dell’art. 29 della L. 392/78.


E non si possono non far nostre le motivazioni addotte dalle Sezioni Unite della S.C.C. a sostegno del principio enunciato nella sentenza oggi commentata, laddove si afferma che: “la legge sull’equo canone costituisce un microsistema autonomo rispetto al sistema generale sulle locazioni disciplinato dal codice civile e consente l’integrazione delle disposizioni normative di quest’ultimo soltanto quando la materia non sia specificamente disciplinata.


La stessa legge, all’art. 28, prevede che per le locazioni di immobili adibiti alle attività indicate nei commi primo e secondo dell’art. 27: «il contratto si rinnova tacitamente … di nove anni in nove anni; tale rinnovazione non ha luogo se sopravviene disdetta … alla prima scadenza contrattuale … il locatore può esercitare la facoltà di diniego della rinnovazione soltanto per i motivi di cui all’art. 29 … ».


Specificando la norma le ipotesi nella stessa ricomprese.


Un tale assetto normativo conduce a considerare la rinnovazione tacita del contratto, alla prima scadenza quale fattispecie speciale ed autonoma rispetto alla rinnovazione tacita del contratto di cui all’art. 1597 c.c., il quale fa riferimento alla fine della locazione per lo spirare del termine di cui al precedente art. 1596 c.c.


Il che comporta che la rinnovazione – nel caso in cui il locatore non si trovi nelle condizioni di cui dell’art. 29, 2° comma, o, comunque, pur ricorrendo, non le comunichi al conduttore -, si configura come mero effetto automatico in assenza di disdetta.


Quindi, il secondo periodo di rapporto locatizio, sulla base della disciplina prevista dagli artt. 28 e 29 della legge n. 392/1978 – così come nel sistema che riguarda le locazioni abitative, a norma degli artt. 2 e 3, 1. 9 dicembre 1998, n. 431 – , non presuppone, in alcun modo, un successivo contratto.


Esso deriva, non da un implicito accordo tra i contraenti, ma dal semplice fatto negativo sopravvenuto della mancanza della disdetta.


Ed il contenuto contrattuale, che disciplina il nuovo periodo di rapporto, non presenta alcun specifico elemento di novità.


Restano, infatti, operanti le clausole del contratto originario, quelle relative alla misura del canone e quelle relative alla durata della locazione, in ogni caso, integrate nel minimo dall’art. 28, legge n. 392/1978 e dall’art. 2,1egge n. 431/1998.


Diversamente, nelle ipotesi di successive scadenze contrattuali, rispetto alle quali l’esercizio della disdetta, da parte del locatore, è svincolato da qualsiasi presupposto o condizione.


La conclusione cui si è pervenuti – vale a dire che si è presenza di un effetto automatico ex lege – esclude l’applicabilità dell’art. 560 c.p.c. (Cass. civ., Sezioni Unite, n. 11830/2013).


E ciò perché la norma in questione, vietando al debitore ed al terzo custode di dare in locazione l’immobile pignorato se non sono autorizzati dal giudice delegato fa esplicitamente riferimento ad un atto negoziale di volontà che, nella specie, non ricorre.


(Altalex, 19 giugno 2013. Articolo di Franco Ballati)

 

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