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In materia di riscossione di sanzione amministrativa pecuniaria per violazione del codice della strada, cosa accade se, nel procedimento di opposizione, la parte introduce il giudizio con atto di citazione anziché con ricorso?

A questo interrogativo ha risposto la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza 12 gennaio 2022, n. 758 (testo in calce).

Secondo gli ermellini, il procedimento è correttamente instaurato se la citazione viene notificata tempestivamente. L’atto introduttivo produce gli effetti sostanziali e processuali che gli sono propri, ferme restando le decadenze e le preclusioni maturate secondo il rito erroneamente scelto dalla parte. Si tratta di una sanatoria piena che si realizza indipendentemente dalla pronuncia dell’ordinanza di mutamento del rito da parte del giudice. Nel caso in cui tale provvedimento sia emanato, non opera retroattivamente, ma vale solo pro futuro; esso, infatti, stabilisce il rito da applicare dopo la conversione, mantenendo gli effetti, processuali e sostanziali, già prodotti dall’atto introduttivo “errato”.  
Riassumendo:

  • nell’ipotesi in cui si utilizzi l’atto di citazione in luogo del ricorso, occorre considerare la data di notifica della citazione effettuata,
  • invece, nel caso in cui si impieghi il ricorso anziché la citazione, bisogna tener conto della data di deposito del ricorso.

La pronuncia affronta anche un altro tema degno di interesse. Infatti, si sofferma sulla costituzione del convenuto davanti al giudice di pace in assenza di iscrizione a ruolo. Secondo la Cassazione, “per la costituzione della parte che vi provveda per prima non è necessaria la presentazione di una apposita nota di iscrizione a ruolo, essendo compito del cancelliere provvedere agli adempimenti di sua competenza”, anche se non è ancora scaduto il termine per la costituzione dell’attore.

La vicenda

Una società riceveva una cartella di pagamento recante un credito di un Comune per sanzioni amministrative conseguenti alla violazione del codice della strada.

La società conveniva in giudizio, davanti al giudice di pace, sia l’ente impositore che l’agente della riscossione mediante un’opposizione all’esecuzione (ex art. 615 c.p.c.). L’attrice deduceva di non aver ricevuto la notifica del verbale di accertamento dell’infrazione, iscriveva a ruolo la causa e depositava l’atto di citazione cinque giorni prima dell’udienza di comparizione. Il Comune trasmetteva alla cancelleria la comparsa di risposta prima dell’iscrizione a ruolo da parte dell’attore. Il giudice di pace dichiarava contumace il Comune e accoglieva la domanda della società, in quanto la documentazione prodotta dal convenuto era inutilizzabile, non essendosi costituito in giudizio.

L’ente comunale impugnava la decisione, affermando di essersi regolarmente costituito e dimostrando l’avvenuta notifica del verbale di accertamento. La società appellata deduceva l’irregolarità della costituzione del Comune in primo grado, giacché la trasmissione della comparsa era avvenuta anteriormente all’iscrizione a ruolo e il convenuto non aveva provveduto autonomamente all’iscrizione, pertanto, correttamente, era stato dichiarato contumace. L’appello del Comune veniva accolto e l’opposizione della società respinta. Si giunge così in Cassazione.

Atto di citazione in luogo del ricorso: cosa accade?

Il procedimento applicabile in caso di opposizione al verbale di accertamento di violazione del Codice della Strada è il rito del lavoro, come previsto dal d. lgs. 150/2011, in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione. L’opposizione deve essere proposta davanti al giudice di pace con ricorso entro 30 giorni dalla notificazione della cartella (art. 7 d.lgs. cit.).

Nel caso di specie, l’attrice:

  • ha notificato l’atto di citazione entro il termine di 30 giorni,
  • ma ha depositato l’atto notificato presso la cancelleria del giudice di pace dopo la scadenza del suddetto termine.

Il giudice non ha disposto il mutamento del rito entro la prima udienza e si è consolidato il rito errato. Infatti, si ricorda che, quando una controversia viene promossa in forme diverse da quelle previste, il giudice dispone il mutamento del rito con ordinanza, anche d’ufficio, non oltre la prima udienza di comparizione delle parti. In tale circostanza, “gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono secondo le norme del rito seguito prima del mutamento. Restano ferme le decadenze e le preclusioni maturate secondo le norme del rito seguito prima del mutamento” (art. 4 d. lgs. 150/2011).

Tutto ciò premesso, è necessario che il giudice pronunci la suddetta ordinanza per far salvi gli effetti prodotti dalla domanda formulata con il rito sbagliato?

L’interrogativo non è di poco conto, infatti, nel caso in esame:

  • qualora non sia possibile far salvi gli effetti prodotti, è tardivo il deposito della citazione, avvenuto dopo i 30 giorni dalla notifica della cartella di pagamento, quindi, la causa non poteva essere proposta o il processo proseguito;
  • qualora siano salvi gli effetti prodotti, rileva il momento della notifica dell’atto di citazione – nonostante l’atto corretto sia il ricorso – e non quello del deposito, pertanto, il procedimento risulta incardinato tempestivamente.

Come vedremo, la Suprema Corte aderisce alla seconda opzione ermeneutica.

La sanatoria dimidiata non è coerente con la scelta del legislatore

In giurisprudenza, è pacifico che sono fatti salvi gli effetti dell’atto introduttivo erroneo se la notifica e il deposito della citazione avvengono entro il termine di 30 giorni dalla notifica della cartella di pagamento (Cass. SS.UU. 22080/2017; Cass. 14266/2021). In buona sostanza, opera il principio secondo il quale la citazione vale come il ricorso, ma solo nel momento in cui, con il suo deposito in cancelleria, abbia raggiunto lo scopo tipico del ricorso, ossia portare a conoscenza del giudice la manifestazione di volontà di opporsi all’ingiunzione.

Parimenti, nel caso in cui la legge richieda l’atto di citazione e la parte proceda con ricorso, non è sufficiente che esso sia depositato in cancelleria, ma occorre che sia notificato entro il termine perentorio previsto (Cass. SS. UU. 21675/2013). In entrambi i casi, la sanatoria vale solo nella circostanza in cui l’atto erroneo abbia tutti i requisiti necessari al raggiungimento dello scopo (ex art. 156 c.p.c.). Si tratta di una sanatoria dimidiata e non piena.

Come vedremo, secondo le Sezioni Unite, la sanatoria dimidiata dell’atto introduttivo formulato in modo difforme dal modello legale non è coerente con la previsione normativa contenuta nell’art. 4 c. 5 d. lgs. 150/2011 e, quindi, con la scelta operata dal legislatore.

La fungibilità dei riti e la sanatoria piena

L’art. 4 d. lgs. 150/2011 prevede una sanatoria piena dell’atto introduttivo erroneo, il quale è idoneo ad impedire le decadenze e le preclusioni che opererebbero nel caso in cui si applicasse la disciplina del rito corretto che avrebbe dovuto essere seguito.

La questione rimessa alle Sezioni Unite riguarda la necessità (o meno) dell’emissione dell’ordinanza di mutamento del rito ai fini dell’operatività della sanatoria in discorso. Il dubbio sorge dal tenore letterale della disposizione (art. 4 c. 5 d. lgs. cit.) secondo cui “gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono secondo le norme del rito seguito prima del mutamento”. Quindi, la sanatoria piena parrebbe subordinata all’emissione dell’ordinanza di mutamento del rito.

Gli ermellini ricordano che la principale novità introdotta dalla disposizione de qua consiste nell’indifferenza per il modello processuale concretamente impiegato, anche se derivante da un errore dell’attore e anche se perpetuato dall’inerzia del giudice che non provveda al mutamento del rito. La ratio consiste nell’evitare vizi procedurali per garantire il rispetto dei principi di economia processuale e ragionevole durata (ex art. 111 Cost.). Ciò premesso, secondo la Corte, dall’art. 4 c. 5 d. lgs. cit. si ricava la fungibilità tra i riti in contrapposizione alla disciplina del codice di procedura civile, ove la riconduzione al rito corretto può avvenire anche oltre la prima udienza e, persino, in appello (art. 439 c.p.c.). La mentovata fungibilità opera a condizione che siano rispettati il diritto di difesa e il contraddittorio.

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La questione rimessa alle Sezioni Unite

La questione sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite riguarda le conseguenze che scaturiscono dalla scelta di un rito errato; nel caso di specie, l’attore ha utilizzato il rito ordinario, introducendo l’opposizione al pagamento della cartella con atto di citazione, anziché con ricorso. A tal proposito, visti i diversi orientamenti giurisprudenziali1 formatisi in materia, la Corte deve chiarire:

  • se sia possibile il consolidamento del rito difforme da quello legale nel caso in cui l’atto erroneo (la citazione in luogo del ricorso) sia tempestivo secondo il rito sbagliato e intempestivo secondo il rito che avrebbe dovuto essere seguito;
  • se l’ordinanza di mutamento del rito abbia natura dichiarativa o costitutiva e se abbia portata retroattiva o irretroattiva;
  • se l’emissione dell’ordinanza di mutamento del rito rappresenti un requisito indefettibile per far salvi gli effetti prodotti dalla domanda presentata seguendo il rito difforme da quello legale.

Il consolidamento del rito difforme da quello legale

L’art. 4 c. 5 d. lgs. 150/2011 ha una portata innovativa rispetto all’orientamento giurisprudenziale tradizionale legato alla sanatoria dimidiata. La norma, infatti, introduce una sanatoria piena degli effetti processuali e sostanziali della domanda proposta seguendo il rito erroneo (ad esempio, impiegando l’atto di citazione in luogo del ricorso). Pertanto, si deve escludere che l’errore nella scelta dell’atto introduttivo si possa riflettere sulla tempestività dell’opposizione.

Naturalmente, restano ferme le preclusioni già maturate secondo le norme del rito impiegato. La ratio dell’art. 4 c. 5 d. lgs. cit. è nel senso di escludere la portata retroattiva del provvedimento che dispone il mutamento del rito; pertanto, è la disciplina del rito (erroneamente) impiegato che funge da parametro per valutare la tempestività dell’atto introduttivo. In altre parole, gli effetti processuali e sostanziali vanno valutati con riferimento al procedimento concretamente usato (forma concreta) e non a quello che avrebbe dovuto utilizzarsi (forma ipotetica).

L’ordinanza di mutamento del rito vale pro futuro

L’ordinanza di mutamento del rito:

  • non comporta la regressione del processo ad una fase anteriore rispetto a quella già svolta,
  • non serve a valutare la legittimità degli atti di parte (e del giudice) adottati sino a quel momento utilizzando le regole del rito corretto,
  • non costituisce il presupposto per far salvi i relativi effetti, i quali si producono in relazione alle norme del rito iniziale.

Il provvedimento in parola rappresenta unicamente il discrimine temporale tra l’applicazione delle regole del rito iniziale (errato) e quelle del rito da seguire (corretto), in tal modo, consentendo alle parti di adeguare le difese alle regole del rito da seguire (Cass. 13472/2019). In questo senso, l’ordinanza può avere valore costitutivo ma, si badi, senza che le norme del “nuovo rito” diventino parametro di valutazione della legittimità degli atti già compiuti. Il provvedimento assume valenza pro futuro e, quindi, è inidoneo ad incidere sulla domanda già formulata.

Gli effetti, sostanziali e processuali della domanda si producono secondo il rito concretamente impiegato:

  • sia quando il giudice di primo grado abbia adottato tempestivamente l’ordinanza di mutamento,
  • sia quanto tale provvedimento sia mancato.

In tale ultima ipotesi, si consolida il rito erroneo con la sua conseguente irretrattabilità. Secondo la Corte, «le regole sul rito processuale non hanno copertura costituzionale quando non incidano negativamente sul contraddittorio e sull’esercizio del diritto difesa: è significativo che dall’adozione di un rito erroneo non deriva alcuna nullità, né la stessa può essere dedotta quale motivo di gravame, a meno che l’errore non abbia inciso sul contraddittorio o sull’esercizio del diritto di difesa o non abbia, in generale, cagionato un qualsivoglia altro specifico pregiudizio processuale alla parte» (Cass. 12567/2021 Cass. 1448/2015; Cass. 8422/2018; Cass. 22075/2014).

G.d.P.: per la regolare costituzione della parte occorre l’iscrizione a ruolo?

La società ricorrente afferma che la costituzione in giudizio, davanti al giudice di pace, non possa avvenire anteriormente all’iscrizione a ruolo della causa. Nel caso di specie, il Comune aveva trasmesso la comparsa di costituzione senza iscrivere a ruolo. La disciplina sul procedimento davanti al G.d.P. non fa riferimento alla nota di iscrizione a ruolo che, invece, è prevista per il procedimento davanti al tribunale (art. 168 c.p.c. e artt.71 e 72 disp. att. c.p.c.). Inoltre, manca la previsione di un termine per la costituzione in giudizio decorrente dalla notifica dell’atto (come, invece, indicato dall’art. 165 c.p.c.).

Si tratta di stabilire se le norme per il procedimento davanti al tribunale (in particolare, gli artt. 168 c.p.c., 71 e 72 disp. att. c.p.c.) a cui rinvia l’art. 311 c.p.c., in quanto compatibili, siano applicabili anche per il procedimento dinnanzi al giudice di pace. La Corte ritiene che «per la costituzione delle parti nel procedimento davanti al giudice di pace non sia necessaria la presentazione di una nota di iscrizione a ruolo, la quale non risulta compatibile con il suddetto procedimento». Infatti, il procedimento davanti al giudice di pace è improntato alla libertà delle forme, la costituzione può avvenire addirittura in udienza anziché con il deposito degli atti in cancelleria (artt. 316 e 319 c.p.c.).

In conclusione, secondo gli ermellini:

  • «il convenuto può costituirsi in giudizio in mancanza della costituzione dell’attore e prima che sia scaduto il termine per la costituzione dell’attore stesso, dovendo il cancelliere provvedere in tal caso all’iscrizione a ruolo della causa» (Cass. 11328/2019; Cass. 15123/2007; Cass. 15125/2007).

Conclusioni: il principio di diritto

La Suprema Corte, per le argomentazioni di cui sopra, rigetta il ricorso della società ed enuncia il seguente principio di diritto:

  • “Nei procedimenti «semplificati» disciplinati dal d.lgs. n. 150 del 2011, nel caso in cui l’atto introduttivo sia proposto con citazione, anziché con ricorso eventualmente previsto dalla legge, il procedimento – a norma dell’art. 4 del d. Igs. n. 150 del 2011 – è correttamente instaurato se la citazione sia notificata tempestivamente, producendo essa gli effetti sostanziali e processuali che le sono propri, ferme restando le decadenze e preclusioni maturate secondo il rito erroneamente prescelto dalla parte; tale sanatoria piena si realizza indipendentemente dalla pronuncia dell’ordinanza di mutamento del rito da parte del giudice, la quale opera solo pro futuro, ossia ai fini del rito da seguire all’esito della conversione, senza penalizzanti effetti retroattivi, restando fermi quelli, sostanziali e processuali, riconducibili all’atto introduttivo, sulla scorta della forma da questo in concreto assunta e non a quella che esso avrebbe dovuto avere, dovendosi avere riguardo alla data di notifica della citazione effettuata quando la legge prescrive il ricorso o, viceversa, alla data di deposito del ricorso quando la legge prescrive l’atto di citazione (fattispecie in tema di riscossione di sanzione amministrativa pecuniaria per violazione del codice della strada, in cui l’opposizione cd. recuperatoria era stata proposta con citazione tempestivamente notificata nel termine di trenta giorni dalla notifica della cartella di pagamento, anziché con ricorso, come previsto dall’art. 7 del d.lgs. n. 150 del 2011)”.

CASSAZIONE CIVILE, SENTENZA N. 758/2022 >> SCARICA IL TESTO PDF

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[1] Le Sezioni Unite danno conto dell’esistenza di diversi orientamenti in ordine all’applicazione dell’art. 4 d. lgs. cit.

  1. Secondo un indirizzo, vanno fatti salvi gli effetti della domanda proposta con il rito errato anche in assenza dell’ordinanza di mutamento di rito; in buona sostanza, si applica il principio del consolidamento del rito erroneamente adottato. Ad esempio, è stata ritenuta tempestiva l’opposizione proposta contro il decreto ingiuntivo ottenuto da un avvocato per i crediti professionali, anche se proposta con citazione (in luogo del ricorso ex art. 14 d. lgs. 150/2011 che rinvia al 702 bis c.p.c) dal momento che la notifica della citazione è intervenuta entro i 40 giorni previsto dall’art. 641 c.p.c. In virtù di tale orientamento, ciò che rileva non è lo “sterile ossequio al dettato della legge” ma l’utile attivazione del rito anche se erroneamente scelto (Cass. 24069/2019; Cass. 9847/2020).
  2. Un diverso indirizzo (Cass. 6318/2020; Cass. 8757/2018; Cass. 24379/2019) propugna l’indispensabilità dell’ordinanza di mutamento del rito, ai fini della salvezza degli effetti della domanda.
  3. Un terzo orientamento (Cass. 24185/2021; Cass. 25192/2021; Cass. 12796/2019), relativo a fattispecie in cui era intervenuta l’ordinanza di mutamento del rito, fa salvi gli effetti della domanda proposta con atto di citazione anziché ricorso purché la citazione sia notificata e depositata entro il termine perentorio. In buona sostanza, si tratterebbe della cosiddetta “sanatoria dimidiata” già operante in relazione alla disciplina codicistica (artt. 426 e 427 c.p.c.)

 

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