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Il factoring è il contratto con il quale una parte, detta factor, acquista, per un certo periodo di tempo e a titolo oneroso, i crediti non ancora esigibili che un imprenditore (in genere imprese venditrici di beni) vanta nei confronti della propria clientela.


Factoring

di Michele Iaselli

E’ un modello contrattuale piuttosto recente, utilizzato dagli operatori economici per il finanziamento alle imprese in relazione a particolare esigenze non codificate dal legislatore. Il factoring consiste nell’acquisto da parte del factor dei crediti non ancora esigibili che le imprese, solitamente venditrici di beni, vantano nei confronti della clientela; tale acquisto avviene in forza di una convenzione per la quale l’imprenditore creditore si obbliga a cedere al factor tutti suoi crediti, presenti e futuri, derivati o derivanti dall’esercizio dell’impresa. Il factor cessionario acquista i crediti di norma pro soluto, salvo patto contrario.

Il factor svolge una funzione di gestione in quanto amministra i crediti curandone la riscossione anche ricorrendo alla esecuzione forzata; svolge inoltre una funzione di finanziamento in quanto anticipa all’impresa l’importo dei crediti acquistati, finanziando l’impresa stessa attraverso un’atipica operazione di sconto; svolge infine una funzione di assicurazione in quanto di regola il factor acquista il credito pro soluto assumendo il rischio della insolvenza del debitore. In cambio l’imprenditore versa al factor un aggio, semplificando al massimo la sua contabilità interna.

Contratti - Formulario commentato


Il factoring viene qualificato come contratto atipico, in cui l’elemento costante è la gestione della totalità dei crediti di un’impresa, attuata mediante lo strumento della cessione dei crediti, in unione, di solito, con un’operazione di finanziamento all’impresa, quale elemento funzionale caratterizzante e talora con un’operazione di assicurazione, quando il factor assume il rischio dell’insolvenza del debitore.

Sulla qualificazione giuridica del contratto di factoring vanno ricordate tuttavia decisioni della giurisprudenza di merito le quali, in contrasto con l’orientamento prevalente, sottolineano le funzioni diverse che di volta in volta il contratto può assumere, sicché la sua disciplina deve essere ricercata nel tipo negoziale nominato analogicamente assimilabile. Invero nonostante si sottolinei come la prestazione essenziale del contratto sia la cessione dei crediti d’impresa, la correlativa obbligazione del factor di gestione, amministrazione e riscossione degli stessi, con periodico rendiconto ed effettuazione di anticipazioni sugli importi dei crediti ceduti prima del loro incasso indice ad attribuire al factoring la natura di mandato.

La tesi muove dalla considerazione che la prestazione in ogni caso presente sarebbe quella della gestione dei crediti ceduti, mentre le altre prestazioni del factor (corresponsione di anticipi, assunzione del rischio dell’insolvenza del debitore ceduto) sarebbero meramente accessorie ed eventuali. Ne consegue che il factoring dovrebbe essere qualificato come un mandato alla gestione dei crediti ceduti, cui si collegano un negozio di finanziamento (mutuo) e un negozio di garanzia (fideiussione). Le cessioni di credito operate nell’ambito di un contratto di factoring, in quanto negozi attuativi dell’unitario programma negoziale e privi di propria autonomia, avrebbero pertanto la medesima causa di mandato del contratto cui accedono.

A tale ricostruzione si muovono rilievi critici. Infatti, nella prassi del factoring il momento finanziario ha rilevanza centrale, pur in presenza di prestazioni volte alla gestione dei crediti da parte del factor per cui non può fondarsi solo su quest’ultimo elemento la qualificazione del contratto. Inoltre, la ricostruzione del factoring come mandato rende frammentaria un’operazione che si presenta, invece, nei rapporti tra fornitore e factor, come unitaria.

La stessa Corte di Cassazione ha ribadito che il factor non è il mandatario del cedente (Cass. Civ., sez. I, 02/10/2015 n. 19716). In particolare la Suprema Corte afferma che il contratto di “factoring”, ove postuli una cessione dei crediti a titolo oneroso in favore del “factor”, attribuisce a quest’ultimo la titolarità dei crediti medesimi e, quindi, la legittimazione alla loro riscossione in nome e per conto proprio, e non in qualità di semplice mandatario del cedente, sicché il pagamento eseguito dal debitore ceduto si configura quale adempimento di un debito non del cedente verso il “factor” ma proprio del debitore ceduto verso quest’ultimo, per cui, seppur eseguito dopo il fallimento del cedente, non comporta alcuna sottrazione di risorse alla massa e non è sanzionato con l’inefficacia prevista dall’art. 44 l.fall.

La prestazione principale richiesta al factor rimane la cessione dei crediti anche se il factoring presenta un più ampio contenuto in senso economico e in senso giuridico.

Se si tratta di factoring senza rivalsa, al momento dell’incasso o al momento successivo pattuito, il factor corrisponde al cedente il prezzo pattuito, diminuito degli anticipi e dei cosiddetti interessi, nonché della commissione. L’eventuale anticipo costituisce un pagamento parziale anticipato del prezzo.

Se si tratta di factoring con rivalsa, in caso di incasso si ripete lo schema precedente. In caso di mancato incasso, la rivalsa ha ad oggetto quanto il cedente ha percepito.

Inoltre la Suprema Corte (Cass. Civ., sez. I, 02/12/2016 n. 24657) ha chiarito che in tema di contratto atipico di “factoring”, la cessione dei crediti che lo caratterizza non produce modificazioni oggettive del rapporto obbligatorio e non può pregiudicare la posizione del debitore ceduto in quanto avviene senza o addirittura contro la sua volontà; ne consegue che il debitore ceduto può opporre al “factor” cessionario le eccezioni concernenti l’esistenza e la validità del negozio da cui deriva il credito trasferito ed anche le eccezioni riguardanti l’esatto adempimento del negozio, mentre quelle che investono fatti estintivi o modificativi del credito ceduto sono opponibili al “factor” cessionario solo se anteriori alla notizia della cessione comunicata al debitore ceduto e non ove successivi, in quanto, una volta acquisita la notizia della cessione, il debitore ceduto non può modificare la propria posizione nei confronti del cessionario mediante negozi giuridici posti in essere con il creditore originario. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto inopponibile alla banca cessionaria l’eccezione di inesigibilità del credito ceduto sollevata da una diocesi e riguardante un fatto estintivo dello stesso successivo all’accettazione della cessione, consistente nella determinazione del comune, ente finanziatore dei lavori di restauro di una chiesa della diocesi, di detrarre dalla somma riconosciuta a quest’ultima gli importi dovuti per oneri previdenziali in favore dei lavoratori).

Lo stesso debitore ceduto può opporre in compensazione al cessionario un proprio credito nei confronti del cedente sorto in epoca successiva alla notifica dell’atto di cessione, atteso che nella cessione di crediti futuri l’effetto traslativo si verifica nel momento in cui questi vengono ad esistenza e non invece anteriormente, all’epoca di stipulazione del contratto (Cass. Civ., sez. III, 03/08/2017, n. 19341).

Infine dal punto di vista della legittimazione processuale la Cassazione precisa che nell’ipotesi in cui il credito oggetto di cessione derivi dalla compravendita di un bene mobile, la legittimazione passiva in ordine alla domanda di riduzione del prezzo, conseguente all’esistenza di vizi della cosa venduta, spetta alla società venditrice e non al “factor”, atteso che quest’ultimo non è cessionario del contratto di compravendita ma soltanto del credito relativo al corrispettivo, e che il compratore (debitore ceduto) potrebbe solo opporre al “factor”, ove fosse da questi convenuto in giudizio per il pagamento del debito, le eccezioni opponibili al cedente, ma non già agire direttamente contro il “factor” con azioni volte alla risoluzione o alla modifica di un contratto al quale costui è rimasto estraneo (Cass. Civ., sez. III, 13/02/2015, n. 2869).

La disciplina del factoring deve essere inquadrata, per quanto riguarda le categorie di soggetti abilitati a porre in essere l’attività di acquisto di crediti in oggetto, con riferimento al decreto legislativo 1 settembre 1993 n. 385 (testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), e in particolare al titolo V che disciplina i soggetti operanti nel settore finanziario. La disciplina contenuta nel suddetto titolo riguarda infatti alcune categorie di soggetti, diversi dalle banche, operanti nel settore finanziario. Le norme del titolo V (artt. 106 e seguenti) sanciscono, tra l’altro, l’esclusività dell’esercizio dell’attività finanziaria svolta nei confronti del pubblico rispetto all’attività di carattere non finanziario.

Sotto il profilo oggettivo, l’operazione di factoring generalmente ha ad oggetto la cessione sia di crediti esistenti sia di crediti che sorgeranno nel periodo di durata del contratto. La cessione può essere conclusa con un unico atto dispositivo in base al quale vengono trasferiti al factor i crediti già esistenti, mentre i crediti futuri si trasferiranno automaticamente al factor cessionario man mano che verranno ad esistenza. La disciplina della cessione dei crediti futuri deve essere collegata anche ai principi generali in tema di contratto in base ai quali l’oggetto della cessione deve essere determinato o determinabile. Per quanto riguarda la cessione in massa dei crediti futuri la nuova disciplina introdotta dalla legge 52/1991 (art. 3) prevede la possibilità di cedere crediti che sorgeranno da contratti da stipularsi in un periodo di tempo non superiore a 24 mesi a condizione che vengano indicati i debitori ceduti.

La legge da ultimo citata ha introdotto significative innovazioni rispetto alla disciplina civilistica in tema di cessione di crediti. In particolare, per quanto concerne il regime di opponibilità della cessione, la nuova legge ha introdotto un mezzo per rendere la cessione opponibile ai terzi, diverso dalla notifica a ciascun debitore ceduto; in base all’art. 5 della legge 52/1991 la cessione è infatti opponibile a condizione che il pagamento del corrispettivo (totale o parziale) sia munito di data certa, nei confronti di: 1) gli aventi causa del cedente il cui titolo di acquisto non sia stato reso efficace verso i terzi anteriormente alla data del pagamento; 2) del creditore del cedente che abbia pignorato il credito dopo la data del pagamento; 3) del fallimento del cedente dichiarato dopo la data del pagamento. L’art. 5 della legge 52/1991 viene così a colmare una lacuna che aveva creato notevoli difficoltà di ordine pratico in operazioni in cui la cessione avesse a oggetto un rilevante numero di rapporti.

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Bianca Massimo C., Diritto civile. Vol. 3: il contratto, Milano, 2000;

De Nova G., Il contratto. Dal contratto atipico al contratto alieno, Padova, 2011;

Iaselli I., Lezioni di diritto civile, Napoli, 1998.

 

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