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La I Sez. della Corte di Cassazione ha confermato che la mancata consegna del documento contrattuale non rende nullo il contratto bancario. La decisione si basa su un’interpretazione dell’articolo 117 TUB, che prevede la nullità solo per l’inosservanza della forma prescritta per il consenso.

Corte di Cassazione- Sez. I.- ord. n. 18230 del 03-07-2024

La questione

Il Tribunale di Savona, esaminando le richieste di una società e di alcuni garanti riguardo a rapporti bancari con un istituto di credito, ora parte di un gruppo bancario maggiore, ha respinto tutte le richieste tranne una. La richiesta parzialmente accolta riguardava un conto corrente specifico: dopo aver ricalcolato il saldo del conto, il tribunale ha condannato la banca a pagare alla società una somma ingente, oltre agli interessi. La società e i garanti hanno presentato appello, ma la Corte d’Appello di Genova ha confermato la decisione del tribunale. Gli attori originari hanno quindi presentato ricorso per cassazione con sette motivi.

Quando è nullo il contratto bancario?

Nel primo motivo, la sentenza impugnata è stata contestata per violazione degli articoli 1418, 1421, 2727 e 2729 c.c., art. 23 del Testo Unico della Finanza e 117 del Testo Unico Bancario. Nel secondo motivo, i ricorrenti hanno denunciato la violazione degli articoli 1175, 1375, 2727 e 2729 c.c.

Entrambi i motivi, esaminati congiuntamente dai giudici della I Sezione, hanno riguardato l’affermazione della Corte d’appello secondo cui l’atto di citazione iniziale del giudizio di primo grado non includeva alcuna contestazione riguardo alla mancata consegna di una copia del documento contrattuale al cliente, sollevando invece questioni sulla validità di specifiche clausole contrattuali. Tale circostanza implicava che la società correntista conoscesse la disciplina contrattuale, presupponendo così che il documento fosse stato consegnato come previsto dalla legge.

La questione principale ruota attorno la presunta nullità del contratto dovuta alla mancata consegna del documento contenente le pattuizioni relative al rapporto di conto corrente alla società ricorrente. I ricorrenti hanno sostenuto che l’impugnazione di alcune clausole dimostrassero soltanto che il documento era noto al momento della redazione dell’atto di citazione. Tuttavia, la Corte d’appello ha derivato una presunzione dalla conoscenza del documento contrattuale, concludendo che ciò implicasse la consegna del documento al momento della firma, contravvenendo in questo modo al divieto di doppia presunzione.

La Corte di Cassazione, in linea con precedenti decisioni, ha stabilito che la mancata consegna del documento contrattuale non rende nullo il contratto bancario. Questa conclusione deriva da un’interpretazione sistematica dell’articolo 117 TUB, secondo cui la nullità è prevista solo per l’inosservanza della forma prescritta per l’espressione del consenso, non per il mancato adempimento dell’obbligo di consegna del documento.

Restanti motivi del ricorso

Per quanto concerne i motivi restanti del ricorso, i giudici ermellini hanno dichiarato inammissibile il terzo motivo per violazione dell’art. 2967 c.c., dal momento che è il cliente a dover agire per la ripetizione dell’indebito; egli è chiamato a fornire le prove delle movimentazioni del conto corrente.

Il quarto motivo ha sollevato la questione della violazione degli articoli 112, 115, 116 e 345 c.p.c., e degli articoli 1842, 1843 e 2935 c.c., in merito alla prescrizione del diritto di ripetizione delle rimesse solutorie.

In particolare, la questione chiave ha riguardato la distinzione tra rimesse solutorie, che estinguono un debito, e rimesse ripristinatorie, che ripristinano la provvista per un’apertura di credito concessa dalla banca.

Nel caso di specie, la Corte di Appello ha evidenziato che la società non avesse adeguatamente indicato l‘esistenza di un “fido di fatto” né nell’atto di citazione né nelle prime memorie, producendo solo successivamente documenti della Centrale dei rischi della Banca d’Italia. Di conseguenza, la Corte ha confermato la decisione del Tribunale, che aveva escluso la possibilità di fondare la decisione sulla prescrizione su elementi non tempestivamente presentati dalle parti. Tuttavia, i ricorrenti hanno contestato questa conclusione, sostenendo che la loro domanda era volta a ricalcolare il rapporto di dare e avere tra le parti basandosi sull’intera documentazione presentata. La giurisprudenza della Cassazione ha affermato che l’esistenza di un contratto di apertura di credito, che implica la natura ripristinatoria delle rimesse, costituisce un’eccezione in senso lato. Ciò significa che il giudice, anche in appello, può rilevarla d’ufficio se risulta dai documenti acquisiti.

Nel settimo ed ultimo motivo di ricorso, i ricorrenti hanno lamentato la violazione degli articoli 119 TUB, 210 e 61 c.p.c., e 2697 c.c., insieme a un errore procedurale per motivazione insufficiente. Tuttavia, il motivo è stato giudicato inammissibile a causa di una mancata chiarezza da parte dei ricorrenti sulla specificità del motivo.

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Monica Mandico
Avvocato Cassazionista presso lo Studio Mandico & Partners, gestore ex art. 356 CCII, liquidatore, amministratore giudiziario. Esperta in diritto bancario e crisi d’impresa e procedure di sovraindebitamento, svolge incarichi di docenza in numerosi corsi di formazione e master di II livello presso l’Università Partenope di Napoli e l’Università di Ferrara ed è legale accreditato presso Enti no profit e Onlus. Già componente della Commissione regionale per la nomina di Esperto Indipendente presso la C.C.I.A.A. di Napoli. Coordinatrice della Commissione di studio presso il COA di Napoli su “Sovraindebitamento ed esdebitazione”. Autrice di numerose pubblicazioni su diritto bancario e finanziario, sovraindebitamento e GDPR.

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