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Il Consiglio dei ministri ha licenziato definitivamente, peggiorandolo ulteriormente, uno dei decreti delegati per l’attuazione della delega fiscale approvata qualche mese fa. Seguendo le indicazioni del Parlamento, arrivate ovviamente dalla maggioranza di governo, ha esteso l’accesso allo strumento a tutti i piccoli imprenditori e le partite Iva. Non solo quelli che abbiano maturato un punteggio pari o superiore a 8 dell’Isa (Indicatore sintetico di affidabilità), ma a tutti.

“Il concordato preventivo biennale previsto nel Decreto legislativo approvato oggi dal Consiglio dei ministri è addirittura peggiorativo rispetto allo schema originario”. Lo afferma il segretario confederale della Cgil, Christian Ferrari. Per fortuna la seconda indicazione del Parlamento, quella che voleva limitare ad un incremento massimo del 10% la base imponibile rispetto all’anno precedente, non è passata.

Un accordo molto molto conveniente

La norma prevede che l’Agenzia delle entrate proponga un patto a circa 4 milioni di piccoli contribuenti autonomi, concordando sulla base della dichiarazione precedente a quanto ammonta il reddito presunto per i due anni successivi. La sottoscrizione dell’accordo eviterà al contribuente accertamenti e verifiche. Non è stato, però, aggiunto al Decreto il limite dell’incremento del 10% rispetto all’imponibile dell’anno precedente. Ma ciò non significa che tale soglia verrà superata.

Una beffa

Il segretario generale della Cgil Maurizio Landini non ci sta: “Non può essere che quelli che pagano di più le tasse siano i lavoratori e i pensionati. L’ultimo provvedimento che il governo ha varato, cosa che mi ha fatto girare le scatole, lo chiamano concordato preventivo. Il lavoratore dipendente e pensionato ogni mese paga le tasse su quello che guadagna – ha detto intervistato da Massimo Gramellini su La7 sabato scorso -. In un paese in cui l’Agenzia delle entrate dice che ci sono settori del lavoro autonomo che hanno una propensione all’evasione al 70%, hanno stabilito che questi lavoratori non pagano più ogni anno in base a quanto guadagnano. Possono concordare quello che guadagneranno nei prossimi 2 anni, se poi guadagneranno di più non pagheranno le tasse. Questo vuol dire legalizzare l’evasione” .

Si scrive concordato si legge condono

Un condono generalizzato e legalizzato, insomma. Secondo i dati ufficiali forniti dal Ministero delle Finanze tra i lavoratori autonomi e le partite Iva si registra un tax gap medio del 70%. Significa che su 100 euro di incasso se ne evadono 70. Concordare un piccolo incremento di base imponibile sul 30% dichiarato significa rinunciare a recuperare l’evasione, anzi a legalizzarla. Certo, dovranno continuare a emettere fatture e a versare l’Iva, ma è bene ricordare che tra quelli interessati dal Decreto ci sono anche le partite Iva che dichiarando meno di 85mila euro, e che pagano una tassa forfettaria al 15% e non l’Iva.

Affidabili e non

La bozza di decreto varata in origine dal Governo prevedeva che potessero accedere al concordato solo quei contribuenti ritenuti fiscalmente affidabili secondo l’Indicatore di affidabilità, una sorta di pagella che, utilizzando parametri specifici, assegna voti a quanti pagano le tasse. Ebbene, con un tratto di penna in calce al parere parlamentare la Destracentro che governa il Paese ha deciso “tutti promossi”, quindi anche chi in pagella in realtà ottiene una insufficienza potrà pattuire la cifra delle proprie tasse ed essere sicuro che nessuno mai andrà a controllare.

Le richieste del sindacato

“A questo punto – sostiene Ferrari – riteniamo indispensabile che l’Agenzia delle Entrate predisponga per i contribuenti, soprattutto per quelli meno affidabili, proposte congrue, che tengano conto dei parametri utilizzati per gli Isa, dei flussi registrati (fatture, pagamenti, corrispettivi), dei patrimoni, degli stili di vita, tenendo presente che, a dire dello stesso Ministero dell’Economia e delle Finanze, si tratta di categorie che, mediamente, hanno versato solo un terzo dell’imposta stabilita dalla legge”.

Il contrasto alle politiche fiscali del Governo, profondamente sbagliate e inique, continuerà ad essere al centro della mobilitazione della Cgil, sulla base del principio costituzionale per cui le imposte, strumento che dà corpo al patto sociale e su cui si fonda il welfare pubblico e universale, vanno pagate sul reddito complessivo, quale che sia la sua natura, e secondo il criterio della progressività”, conclude Ferrari.

Considerazione amara

In un Paese ideale, dove tutti e tutte, lavoratori dipendenti, pensionati ma anche autonomi, piccoli imprenditori e partite Iva versano tutte le tasse proporzionalmente al proprio reddito, un provvedimento come quello del Concordato preventivo potrebbe essere strumento utile a semplificare le procedure fiscali per ciascun contribuente. Ma noi siamo nell’Italia del 2024 che registra una evasione fiscale che si aggira attorno ai 100 miliardi annui, ridotta rispetto ai 120 degli scorsi anni solo grazie alla fatturazione elettronica che ha costretto chi non lo faceva – almeno in parte – a versare l’Iva dovuta. E così oggi la tassa più evasa è diventata proprio l’Irpef, quella che così grava quasi interamente sulle spalle di lavoratori dipendenti e pensionati. E di quel gettito, però, beneficiano anche gli evasori quando – ad esempio – si rivolgono al Servizio sanitario, mandano i figli a scuola o utilizzano il trasporto pubblico. 

Una strana idea di patto sociale

A mettere insieme le parole pronunciate e i “fatti” realizzati, si scopre che Meloni e i suoi ministri, oltre a ritenere che la colpa della povertà è dei poveri, ritengono anche che le tasse siano un “pizzo di stato”. E che evaderle sia sinonimo di furbizia e non di ruberia. E pazienza che poi si sia costretti e non finanziare il Fondo sanitario e a tagliare i posti negli asili nido. Chi può li acquista sul mercato, arricchendo i privati che poi magari evadono. Tutti gli altri si arrangino.

 

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