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Stupendi tendaggi, stupendi divani, stupendi lettini e teli da mare: ma se lo Stato incassa di concessione mensile per il «Twiga» di Flavio Briatore quanto costa una sola giornata (e mezzo) d’affitto di un solo «Presidential Gazebo» sulla spiaggia non è un po’ poco? Dirà lui: offrire il lusso è un lusso. Costa. Giusto. Anche l’area di Forte dei Marmi e Marina di Pietrasanta, però, dovrebbe costare. O no?


L’abbronzatissimo imprenditore dai mocassini rossi, in realtà, non è il bersaglio esclusivo delle denunce di Angelo Bonelli, coordinatore dei Verdi. Anzi. È solo il caso simbolo, per i prezzi altissimi del suo stabilimento balneare (di cui è socia Daniela Santanchè), di una stortura contro la quale gli ambientalisti danno battaglia da anni. Vale a dire la riluttanza dei governi italiani a applicare davvero la «direttiva Bolkestein», la legge europea del 2006 che in nome della concorrenza prevede tra l’altro la messa a gara delle concessioni balneari. Legge recepita obtorto collo (con proroga allegata) dall’ultimo governo Berlusconi nel 2010 ma contestatissima (e se i grandi gruppi spazzassero via i titolari dei «bagni» storici?) non solo in Italia ma anche, ad esempio, in Francia e in Spagna. E così divisiva da esser poi parzialmente rinnegata dallo stesso Frits Bolkestein, ex commissario interno Ue («La direttiva che porta il mio nome non è applicabile ai balneari perché le concessioni non rientrano nei servizi») ma ribadita nel luglio 2016 da una sentenza della Corte di giustizia Ue: «Il diritto dell’Unione osta a che le concessioni per l’esercizio delle attività turistico-ricreative nelle aree demaniali marittime e lacustri siano prorogate in modo automatico in assenza di qualsiasi procedura di selezione dei potenziali candidati».

Una sentenza subìta a malincuore dai francesi, che dopo molte proteste si sono rassegnati ad applicarla. Ma non dai governi Renzi e Gentiloni (proroga al 2020) e men che meno da quello gialloverde che, indifferente al verdetto europeo e alle previsioni del ministro del Turismo Gian Marco Centinaio («al 99,9% andremo in infrazione comunitaria») ha donato ai vecchi concessionari-elettori una maxi proroga di 15 anni fino al 2034. Anzi, ha detto, «personalmente ne avrei concessi 30». Fino al 2049. E la concorrenza? Uffa…

Ed è lì che il coordinatore dei Verdi ha deciso di andare ad approfondire qualche caso simbolo per controllare le contraddizioni più vistose tra la legge e i lamenti. Punto di partenza, ovvio, gli stabilimenti più cari. Che stanno, dice un’inchiesta Codacons del 2017, all’Argentario, a Forte dei Marmi, a Lerici ma più ancora al «Romazzino» di Porto Cervo (400 euro al giorno un ombrellone e due lettini), all’Excelsior di Venezia («capanna in zona centrale 410 euro al giorno») e, in testa a tutti, al Twiga di Marina di Pietrasanta. Dove, riporta l’Ansa, Briatore ha introdotto i «Presidential Gazebo, strutture dotate di televisione e musica, due letti marocchini, tavolo centrale, quattro lettini, il cui costo di noleggio giornaliero ad agosto è pari a 1.000 euro».

Tanti. Ma si sa come la pensa Briatore: «Il turismo delle ciabatte non dà niente al territorio né basta a trasformare un Paese o una regione in una destinazione appetibile. Il turismo di lusso porta soldi che fanno il bene di chi vive e lavora lì. Se volete alzare l’asticella, bene. Altrimenti tenetevi i turisti in sacco a pelo che fanno pipì per strada». I numeri, scrive Carlo Festa sul Sole24Ore, gli darebbero ragione: «Il Billionaire di Dubai genera ben 18,1 milioni di giro d’affari e 5,7 milioni di margine operativo lordo. Seguito dal Twiga di Montecarlo con 11 milioni di fatturato e 3,9 milioni di Ebitda (con una redditività del 35%). Il Sumosan Twiga di Londra 8 milioni di giro d’affari e oltre 2 milioni di Mol. C’è poi il Cipriani, sempre di Montecarlo, con 7,7 milioni di fatturato e quasi 3 milioni di margine operativo lordo. Il Beefbar di Dubai vale invece circa 7 milioni di fatturato e 2 di Mol». Il Twiga di Forte dei Marmi meno, ma comunque fa «4 milioni di fatturato e 1 di Ebitda». Cioè di margine operativo lordo.

Va da sé che gli investimenti, in questi casi, sono alti. Sulla professionalità del personale, sulla scelta degli arredi, sulla qualità e la gestione dei prodotti: se ti arrivano dei milionari russi che ordinano 250 mila euro di «Armand de Brignac» da 500 euro a bottiglia per cantare tutti insieme l’inno russo, com’è successo al Twiga di Montecarlo, o lo champagne ce l’hai lì pronto o addio. Ma se i russi non passano le bottiglie restano lì. In magazzino.

A farla corta: il rischio di impresa c’è e Briatore fa il suo mestiere. Quel Twiga Beach Club col ristorante e le tende e la «disco» e i divani e tutto per tutti i lussi, però, non può esser fatto all’Idroscalo: deve stare lì. Dov’è il turismo storico d’élite. Perché dunque per le concessioni di quei 5.834 metri quadri della «spiaggia più sognata d’Italia» (copyright Twiga) lo Stato (cioè i cittadini) dovrebbe prendere solo 17.619 euro l’anno tra «superficie scoperta», «coperta facile da rimuovere» e «cabine», pari a una media per i tre settori di tre euro e tre cent a metro all’anno? Se il fatturato è di quattro milioni l’anno può pesare l’affitto dell’area solo un 227esimo?

Briatore, Santanché e soci, del resto, sanno che il valore di quel «Bagno» è ben altro. Tant’è che a lungo avrebbero preso in subaffitto a cifre stratosferiche la gestione dell’area dalla «Gardenia di Galeotti Giuseppe & C» alla quale il rinnovo della concessione era costato nel 2005 4.322 euro l’anno. Briciole. Finché nell’ottobre scorso, a dispetto delle polemiche sulla grande pagoda abusiva piantata sulla battigia e accanitamente difesa dalla Santanchè contro Giorgio Mottola di «Report», i soci si sono decisi. E han comprato con la «Mammamia Srl» il ramo d’azienda «afferente l’esercizio di attività di discoteca e stabilimento balneare con annessi bar e punti ristoro», cioè il Twiga, per 3.900.000 euro. Ma come: tutti quei soldi un anno prima della scadenza della proroga targata Pd? Dopo che Parigi aveva già messo a gara le spiagge francesi e comuni come Ramatuelle (cui appartiene la mitica Pampelonne) avevano già fissato con un decreto controfirmato dal prefetto le nuove tariffe demaniali per le proprie 21 concessioni pari a 225.057 l’una (fate voi i confronti) di sola quota fissa? E se quelle teste matte dei grillini si fossero imputate sul rispetto delle leggi e delle sentenze europee? Macché: il fiuto del vecchio corsaro del lusso aveva già annusato come andava a finire…





 

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