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Le società di gestione chiedono di rivedere i canoni, ma i funzionari si oppongono parlando di “danno erariale”. Andrea Azzarone propone una percentuale sugli incassi con un minimo garantito
. Un problema generalizzato in tutta Italia che impone una decisione dei politici. Un problema in più per la ristorazione

25 settembre 2020 | 08:45

Sul futuro a breve di molti bar e ristoranti italiani pende come una spada di Damocle il problema affitti, che nella stragrande maggior parte dei casi costituisce il costo fisso più rilevante per ogni gestione. Almeno il 30% come ricorda la Fipe. Fra contributi a fondo perduto, credito d’imposta e riduzione dei canoni, su iniziativa del Tribunali e di qualche Comune, ci sono diverse modalità che, sia pure non esaustive, riescono a contenere le perdite di aziende che soffrono per mancanza di clienti causa covid-19. Ma attenzione, tutto ciò vale solo se il locatore è un privato. Se infatti il proprietario dei muri è lo Stato, la Regione o comunque un ente pubblico, per chi affitta questi spazi per svolgere un servizio pubblico (pensiamo ai punti di ristoro nei musei invece che negli ospedali) la situazione è drammatica. E ad ogni richiesta di rivedere i canoni oggetto di convenzioni, la risposta burocratica dei funzionari è «no sarebbe un danno erariale».

 

Secondo l’assurda logica secondo cui tutto ciò che è pubblico deve godere di tutele totali, ci sono centinaia di aziende con migliaia di dipendenti, che sono oggi in crisi e rischiano la chiusura perché lo Stato pretende il pagamento dell’affitto, pur in presenza oggi di un crollo totale dei visitatori dopo i mesi di chiusura forzata di lockdown.. Eppure, quando va bene si arriva al massimo al 20% del periodo pre pandemia, e ovviamente calano di conseguenza le consumazioni e il fatturato è precipitato. E intanto in tutti gli enti pubblici abbiano gli usceri invece che i custodi che “lavorano” da casa in smart working. Una vergogna totale che non può più essere tollerata e che si aggiunge ai problemi che già affliggono i pubblici esercizi (per il calo della clientela) e le aziende di catering  per la sospensione degli eventi.

Andrea Azzarone 

Una situazione che è tanto più pensate quanto più ad essere in affitto sono spazi in edifici pubblici o in strutture di grandi eventi in città ad altro flusso di turisti, oggi di fatto assenti. Il caso più eclatante è quello di Roma, dove più che altrove la politica potrebbe toccare con mano come la situazione è insostenibile. Università, ospedali, musei e gli stessi Ministeri hanno bar e ristoranti oggi semi vuoti perché mancano i turisti o il personale è in smart working. Ed è proprio dalle aziende romane che viene la richiesta di una ricontrattazione a livello nazionale dei contratti spesso frutto di bandi di gara. A farsi interprete della difficoltà degli operatori di questo comparto è Andrea Azzarone, titolare di Bar Banqueting S.r.l., che ha inviato una lettera pubblica ai politici e alle istituzioni con cui segnala la situazione delle imprese che si trovano a gestire in concessione, a seguito della vincita di un bando di gara, un punto vendita all’interno di immobili di enti pubblici.

 «A causa delle misure di contenimento del contagio della pandemia da Covid-19 – dice Azzarone – queste imprese si trovano nelle condizioni di aver sospeso la propria attività nei mesi di marzo, aprile e maggio, giugno e di aver riaperto, nel rispetto di condizioni e protocolli che limitano fortemente l’operatività e con un flusso di clienti molto inferiore a quello pre-Covid-19 e descritto nelle carte dei bandi di gara vinti (valore della concessione)».

Andrea Azzarone ricorda in proposito come queste imprese sono di fatto nelle condizioni di riaprire le diverse attività con la certezza «di avere ricavi di gran lunga inferiori a quelli precedenti alla pandemia, senza poter ottenere una rettifica del proprio canone di concessione da parte delle stazioni appaltanti». E questo è verificabile da chiunque abbia occasione di frequentare un museo in Italia o si rechi in edificio pubblico.

Se a questo problema lo Stato ha dato parziale rimedio ai pubblici esercizi e agli hotel che pagano affitti ai privati, la risposta più frequente che ricevono invece le imprese che lavorano in spazi “pubblici” è un diniego dovuto al rischio di “danno erariale”. Per Andrea Azzarone sarebbe quindi «opportuno che il Governo desse la possibilità alle amministrazioni pubbliche, per questo periodo “straordinario”, di cancellare i canoni dovuti nei periodi di chiusura forzata (lockdown) e riparametrare quelli del periodo di riapertura con i protocolli anti Covid-19. Un’ipotesi plausibile potrebbe essere quella di far pagare, in luogo della concessione, una royalty pari dal 10% – 20% dei ricavi, oppure di permettere l’abbattimento del costo del canone della concessione della percentuale di perdita dei ricavi».

Richieste assolutamente comprensibili, e condivisibili, sulle quali le aziende del settore intendono muoversi con grande correttezza e trasparenza, tanto che Azzarone conclude affermando che «ovviamente contenendo la possibilità di abbattimento entro determinate quote percentuali».  Come dire, dando rassicurazioni ai politici che nessuno vuole approfittare di una situazione che ha già messo in ginocchio l’intero comparto. E che tocchi a politici scendere in campo è un fatto obbligato. Senza una norma che consenta questa rimodulazione, nessun funzionario o dirigente pubblico concederà una riduzione sotto la propria responsabilità, anche se questo sarebbe giustificato dalla situazione contingente e dal rischio che l’impresa sia costretta a procedere al recesso del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta ai sensi dell’art. 1467 del Codice Civile.

C’è solo da sperare che qualche politico si interessi delle aziende di questo comparto che segnala come detto un ulteriore aggravamento nel mondo dell’accoglienza. È tempo che ora a livello istuituzionale si apra una finestra anche per questo segmento del mondo della ristorazione che lavorando con spazi in concessione dallo Stato si trova ancora più penalizzato dei pubblici esercizi che in affitto da privato possono invece accedere ad alcuni aiuti.

È un ulteriore pezzo del mondo della ristorazione che segnala difficoltà dovute alla mancanza di turisti e alle decisioni del Governo per contrastare la pandemia. Non si lavora non per difficoltà gestionali, ma a seguito di scelte dello Stato. Un po’ come è successo ai categing (un comparto affine), ma diverso da quello della ristorazione, che ha richiesto la stato di crisi per oltre 2mila imprese con 100mila addetti che generano e 2,2 miliardi di fatturato stimato e che non ha alcuna prospettiva di ripresa per tutto il 2020.

 

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