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Il Codice della crisi, nonostante sia stato emanato per la prima volta nel gennaio 2019, è stato più volte modificato sino a pochi giorni prima della sua entrata in vigore avvenuta il 15 luglio 2022, a circa cinque anni di distanza dalla legge delega n. 155 del 19 ottobre 2017.
Il presente contributo è un estratto dal volume: Il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione

Il Codice della Crisi e la direttiva Insolvency


Il 17 giugno 2022 è infatti stato emanato il decreto legislativo 83/2022, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 152 del 1° luglio 2022, al fine di adeguare il testo della riforma al dettato della direttiva Insolvency (UE) 1023/2019 sui c.d. “quadri di ristrutturazione”, da recepirsi entro il termine del 17 luglio 2022, nonché di accorpare in un unico testo le modifiche già adottate al d.lgs. 14/2019 con i dd.ll. 118/2021 e 152/2021. Il testo oggi in vigore è dunque frutto di tre diversi decreti succedutisi nel tempo, ossia:

  • i) il d.lgs. 14/2019, che per primo lo ha introdotto;
  • ii) il c.d. “decreto correttivo” 147/2020, che ha parzialmente corretto il testo originario, e infine
  • iii) il d.lgs. 83/2022, che, come dichiarato dalla stessa relazione illustrativa, ha come propria fonte diretta una direttiva europea: “Il presente schema di decreto legislativo recepisce la direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, e che modifica la direttiva (UE) 2017/1132 (direttiva sulla ristrutturazione e sull’insolvenza)”.

Per la prima volta, l’Unione europea, per mezzo della direttiva Insolvency, ha dettato norme sostanziali in tema di diritto della crisi, e ciò, come osservato dalla dottrina, “sul presupposto, condiviso da tutte le istituzioni europee, che una normativa concorsuale efficiente è una precondizione per il funzionamento di un mercato dei capitali unico a livello europeo”.
Il fulcro della direttiva, per quanto attiene alla nostra analisi, consiste nell’introduzione dei “quadri di ristrutturazione preventiva” di cui al Titolo II, ossia, secondo il dettato dell’art. 4, di strumenti che consentano “la ristrutturazione, al fine di impedire l’insolvenza e di assicurare la loro sostenibilità economica, fatte salve altre soluzioni volte a evitare l’insolvenza, così da tutelare i posti di lavoro e preservare l’attività imprenditoriale. Nei successivi titoli, la direttiva prevede disposizioni relative alle “esdebitazioni e interdizioni” e “misure per aumentare l’efficienza delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione”, fra le quali degne di nota sono le disposizioni che dispongono obblighi di formazione per Giudici e professionisti.
L’obiettivo della direttiva, nel regolamentare i nuovi quadri di ristrutturazione, viene esplicitato nei primi due “considerando”, e in particolare nel secondo, nel quale si legge: “La ristrutturazione dovrebbe consentire ai debitori in difficoltà finanziarie di continuare a operare, in tutto o in parte, modificando la composizione, le condizioni o la struttura delle loro attività e delle loro passività o di una qualunque altra parte della loro struttura del capitale, anche mediante la vendita di attività o parti dell’impresa o, se previsto dal diritto nazionale, dell’impresa nel suo complesso, come anche apportando cambiamenti operativi. (…) I quadri di ristrutturazione preventiva dovrebbero innanzitutto permettere ai debitori di ristrutturarsi efficacemente in una fase precoce e prevenire l’insolvenza e quindi evitare la liquidazione di imprese sane. Tali quadri dovrebbero impedire la perdita di posti di lavoro nonché la perdita di conoscenze e competenze e massimizzare il valore totale per i creditori, rispetto a quanto avrebbero ricevuto in caso di liquidazione degli attivi della società o nel caso del migliore scenario alternativo possibile in mancanza di un Piano, così come per i proprietari e per l’economia nel suo complesso”.
Da quanto precede è pertanto evidente che la direttiva preveda che tali “Piani” operino solo con riguardo a strumenti che contemplino la continuità aziendale, diretta o indiretta, e non nel caso in cui vengano previste liquidazioni del patrimonio, che esulano del tutto dalle disposizioni di diritto sostanziale ivi contenute.
Attuando la direttiva, il decreto legislativo, all’art. 16, inserisce il Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione nel Titolo IV della Parte prima del Codice.
Per espressa previsione della relazione illustrativa, l’inserimento del nuovo strumento “intende dare attuazione alle previsioni degli articoli 9, 10 e 11, paragrafo 1, della direttiva”, disposizioni che, se lette in combinato disposto, prevedono che, nel caso di consenso sul piano dell’unanimità delle classi, “non dovrebbe esservi alcun accertamento svolto d’ufficio dal tribunale sulle condizioni del Piano, e quindi neanche sul rispetto della par condicio creditorum.
Ciò che chiede la direttiva è, in particolare, che il tribunale controlli la ritualità della procedura, la regolarità delle operazioni di voto e la corretta formazione delle classi.
L’art. 10, tuttavia, prevede espressamente le ipotesi in cui viene reso necessario l’intervento del Giudice, che dovrà necessariamente verificare:

  • i) che il Piano sia stato adottato da tutte le classi di creditori;
  • ii) che i creditori nella stessa classe ricevano pari trattamento;
  • iii) che la notifica del Piano sia stata fatta nei confronti di tutte le parti interessate;
  • iv) che in caso di creditori dissenzienti “il Piano superi la verifica del miglior soddisfacimento dei creditori” e
  • v) che in caso di finanziamento acceso per attuare il Piano, questo non pregiudichi i creditori.

Il Legislatore italiano, nel recepire la direttiva, la quale non prevede espressamente la necessità inderogabile di un’omologazione del Tribunale, non ha inteso tuttavia inserire nel novero delle procedure di cui al Codice della crisi strumenti che non prevedessero alcun controllo da parte dell’autorità giudiziaria, nel rispetto della tradizione di concorsualità presente nel nostro sistema giuridico. Si è invece scelto di recepire la direttiva mediante l’adattamento di fattispecie già esistenti nonché mediante l’inserimento del nuovo strumento del Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione.

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