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Non sta crescendo come ci si aspettava. Ma il terreno in Italia è fertile e in prospettiva, considerando anche gli ultimi interventi normativi, il microcredito potrebbe cominciare a diffondersi maggiormente, favorendo l’accesso ai servizi finanziari di base anche ai nuclei familiari che oggi sono esclusi dai circuiti ufficiali. «Serve però – spiega Giampietro Pizzo, presidente della Rete italiana di microfinanza e inclusione finanziaria (Ritmi) – un salto di qualità importante e bisogna interrogarsi su chi sono gli attori che non prendono decisioni su questioni politiche rilevanti per il settore. Per esempio, gli aggiornamenti normativi entrati in vigore a gennaio 2024 hanno risolto alcuni problemi, allargando la platea delle imprese che possono accedere al microcredito. La normativa del microcredito sociale e i sistemi di provvista finanziaria agli operatori, invece, non sono stati oggetto di quelle revisioni che sarebbero state necessarie per uno sviluppo organico ed effettivo del settore». 

Eppure, un’accelerazione verso una maggiore inclusione finanziaria è fondamentale se si vuole evitare che le persone più fragili e non bancarizzate diventino terreno fertile di caccia dell’usura. D’altronde il quadro che emerge dal rapporto «Inclusione finanziaria e microcredito» realizzato da Gruppo Banca Etica, c.borgomeo&co. e Ritmi non è dei più incoraggianti.
Il 4,4% delle famiglie italiane non è titolare di un conto deposito di nessun tipo e quindi non ha accesso agli strumenti finanziari di base, siano essi di risparmio o di pagamento. Ciò si traduce nella stima di circa 1,1 milioni di nuclei familiari totalmente esclusi finanziariamente, pari a 2,3 milioni di individui. Un dato che è superiore alla media europea e diventa allarmante se si analizzano i dati regionali, con il 78,2% delle famiglie finanziariamente escluse che vive nel Sud.
L’analisi condotta da c.borgomeo&co. mostra come nel 2022, attraverso 130 iniziative curate da soggetti pubblici e privati, siano stati concessi in Italia 15.679 prestiti (nel 2021 erano stati 15.239) per un valore complessivo di 214 milioni di euro. «Sono cifre irrisorie – puntualizza Pizzo – che lasciano insoddisfatta una bella fetta di domande. Una delle realtà maggiori attive in Italia ha un portafoglio di prestiti erogati di circa 50 milioni. Servirebbero almeno 20 operatori di questa portata per arrivare a un erogato di almeno 1 miliardo, che sarebbe un ottimo traguardo per la microfinanza in Italia. Mancano, però, gli strumenti. Oggi abbiamo solo 12 operatori attivi sul territorio, che devono scontrarsi con un problema molto importante, quello della provvista».

È evidente che non c’è un’attenzione sufficiente a quello che il microcredito può rappresentare, puntualizza Carlo Borgomeo, presidente di c.borgomeo&co., che conferma l’insufficienza dei flussi di prestito erogato rispetto alle potenzialità dello strumento: «Lato imprese c’è una grande letteratura ed enfasi sulle start-up innovative, mentre c’è una insufficiente attenzione al sostegno ai piccoli imprenditori. Altro aspetto trascurato è quello del cosiddetto microcredito sociale, che andrebbe sviluppato maggiormente soprattutto nelle aree urbane nel Mezzogiorno come antidoto al fenomeno sottovalutato dell’usura. Il microcredito è un’opportunità unica per fare sviluppo e una politica attiva al lavoro», ma necessita di interventi strutturali.

Le aree di intervento

Il rapporto propone alcune strade per modificare gli andamenti negativi. Innanzitutto quella dell’azione capillare di prevenzione: l’educazione finanziaria è la premessa per rafforzare le capacità di scelta e di gestione delle risorse finanziarie da parte delle famiglie e delle imprese. In secondo luogo quella dello sviluppo di strutture sul territorio in grado di riconoscere le problematiche legate al fenomeno del sovraindebitamento per orientare la persona verso i servizi di assistenza più adatti. E ancora, favorire la predisposizione di strumenti finanziari e legali che possano condurre verso la risoluzione del problema. A ciò si aggiunge l’opportunità di rafforzare le relazioni tra attività bancarie tradizionali ed enti di microcredito, nonché di garantire il pieno inserimento del tema nella strategia degli stessi istituti bancari e di potenziare i servizi non finanziari di formazione. «Il problema delle provviste invece – fa notare Pizzo – potrebbe essere risolto offrendo maggiori garanzie. È vero, agli operatori del microcredito è stato dato accesso al Fondo centrale di garanzia, ma con un plafond bassissimo, che arriva fino a 5 milioni. L’Italia ha preso una scelta politica forte inserendo il microcredito nel Testo unico bancario. Ora bisogna andare in fondo e fare in modo che ci siano adeguati strumenti di raccolta per la sostenibilità economica degli stessi operatori del microcredito».

 

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