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Sulla ruota panoramica che appare e scompare, a seconda delle stagioni, sulla rotonda del lungomare di Bari una volta uno striscione interpretò l’euforia di una città che si è sentita raccontare come unica, bellissima e celebrata in serie Tv: «Sei a Bari, sii felice». Poi lo slogan è apparso su un telo steso sul mare, ma forse era un fotomontaggio. Ed è stato stampato su magliette colorate vendute anche nel quartiere Madonnella, lì dove si respira l’aria di mare al primo mattino. Di questa felicità, contenuta nel vocativo che può essere inteso anche come un imperativo performativo, si è nutrita una potente narrazione che ha accompagnato Bari nella sua gentrificazione apparentemente felice.

Antonio De Caro, il sindaco della città oggi colpita dal blitz sulla commissione verificherà eventuali infiltrazioni della criminalità e nel caso scioglierà il Consiglio comunale, ha saputo intercettare prima, e trasformare in consenso poi, un’ondata emotiva che continua a scorrere sui social network, oltre che nelle relazioni della vita quotidiana. E che ora, come dimostra l’intelligente reazione che il sindaco ha opposto alla smaccata operazione delle destre, sarà investita nella campagna elettorale, a cominciare dalla manifestazione a piazza Ferrarese annunciata sabato. Il titolo è programmatico: «Bari non si tocca».

Sull’onda di un’emozione, sospesa tra una felicità forzata e un rinnovato genius loci, persistono alcune increspature che rischiano di passare inosservate. Meriterebbero, invece, di essere seguite sul filo dell’onda perché potrebbero portare ad osservare l’altro lato della turistificazione della città: quello sociale, innanzitutto, e quello urbanistico.

I due mandati di De Caro si sono svolti in un passaggio di fase durante il quale la città è stata proposta come una scenografia articolata: da quella delle donne che cuociono le sgagliozze nel centro storico a quella della città degli eventi culturali, o dei più ricercati ritrovi. Nel frattempo sono stati proibiti gli assembramenti che, nelle torride estati, portavano i baresi ad andare a fare le grigliate sul lungomare. Momenti di socialità irregolare domata a favore di altre masse che si appropriano dello spazio pubblico solo a condizione che ci sia un bar con la focaccia, i panzerotti e il crudo.

Intendiamoci: è legittimo provare orgoglio, e condividerlo, per un’appartenenza, un dialetto, una memoria e un presente. È tanto più forte quanto più la città si è sentita negli anni Ottanta -che non furono cupi per la criminalità ma vivi per le innovazioni culturali e l’auto-organizzazione – ingiustamente isolata ma desiderosa di partecipare a un’idea di modernità subalterna.

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Questa modernità, infine, è sembrata arrivare con l’economia della turistificazione. Gli arrivi all’aeroporto dedicato al papa polacco si sono ingrossati. Spesso si annunciano record di arrivi via mare. In quello stesso porto dove nell’agosto 1991 abbiamo visto arrivare 20mila albanesi in fuga da una breccia nella cortina di ferro, già caduta. È cambiata un’epoca. Oggi, le sponde dell’Adriatico sono legate da una singolare competizione tra chi rende più «attrattive» le proprie spiagge. Visto dall’interno della città, nell’abbagliante luce bianca quando il sole è alto, lo scenario è quello doloroso che vediamo nel centro di Napoli, quello che viviamo a Roma. E poi a Firenze, a Venezia, e in altre «città d’arte».

Così è stata rinnovata l’immagine della città vetrina sul mare: Bari vecchia, il lungomare e poi le strade più commercialmente a portata dei turisti. Sembrerebbe allora di entrare nella casa borghese con le pattine. Su questa idea del «decoro» si è formata una morale. E un gusto estetico che piace e si fa piacere. Questo è uno degli elementi che alimentano il consenso che accompagna, post dopo post, la politica personalistica del sindaco De Caro, in linea con una visione della politica come delega. Una politica che piace alla città che vota.

Materialmente, noi vediamo appartamenti e, talvolta, persino palazzi nel centro storico e in quello murattiano, o nei quartieri semi-periferici come San Pasquale e Carrassi, convertiti in Bed & Breakfast. Prenotabili dagli smartphone nella fiera di Airbnb usato per integrare i redditi del ceto medio impoverito. Ma questo significa anche crescita della rendita, dello sfruttamento dei lavoratori dell’indotto (check-in, check out, «scusi ho un altro appuntamento»), degli affitti e, di rimando, degli sfratti. Almeno 500 nuclei familiari restano in attesa di una casa popolare.

L’altra città inizia alle spalle della scenografia, a partire dal quartiere Libertà, per poi espandersi a macchia d’olio dietro i palazzi lontani dal mare. Parliamo di quartieri che hanno nomi di santi (San Paolo, San Pio, Sant’Anna) e grandi, dure, potenti storie sociali di esclusione e resistenze. In questi, e altri, ampi spazi fittamente urbanizzati, spuntano come funghi nuove costruzioni. E si modificano percorsi stradali dove meno te li aspetti. Si tratta di una spinta visibilissima a chi torna, e a chi vive in città, che ha un’intensità pari ad altre epoche, tra la fine dell’800 e i primi del‘900 o negli anni ’70. Sulla direttrice di Via Amendola che porta fuori città,per esempio, si può trovare anche lo spazio di mutuo soccorso Bread&Roses. Qui ha fatto parlare l’abbattimento di ville storiche liberty abbandonate da anni.

Sui siti come «Bari e…», con la firma dell’architetto Eugenio Lombardi, circola anche una critica affilata a questo modello di espansione urbana. E al modo in cui è governata. Un’altra storia dalla narrazione della «gentrificazione carina». Si parla della previsione per cui, tra 5-10 anni, saranno immesse sul mercato nuove abitazioni per 60-70 mila nuovi abitanti. E, altrove, tra i diversi comitati di scopo che si oppongono con difficoltà a operazioni ad alto impatto urbano, come quella della cittadella della giustizia alle «casermette» in fondo a via Fanelli, circola una domanda: ma c’è bisogno di costruire nuove case in città? Bari nel 2014 contava 327.361 residenti, nel 2019 ne aveva 315.284, oltre 12mila abitanti in meno. Da chi saranno abitate, se i 600 mila stimati dal vecchio piano regolatore Quaroni nel 1976 non ci saranno mai?

Alla luce di queste, e altre domande, che circolano quasi sottovoce in città, e in vista delle elezioni comunali a giugno che si annunciano tempestose, conviene interrogare il futuro. Affinché anche Bari non diventi una città di gente senza casa e di case senza gente. Ma con un B&B a portata di click.

 

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