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È calato il sipario sull’edizione 2024 di Art Dubai e probabilmente è necessario segnare alcuni punti fermi. La manifestazione è fondamentale per saggiare la temperatura nella regione del middle east, e ci aiuta anche a capire se alcuni importanti portafogli sono effettivamente attivi sul mercato. Banalmente, la risposta è sì. 

Non tornavo a Dubai da circa dieci anni e devo registrare che la città è enormemente cambiata. Anche la temperatura clemente, sui 25/26 gradi, ha reso la visita molto confortevole. Pure i prezzi della città, per chi arriva da Milano, non sono più così esosi. Ma questa è un’altra questione.

Negli ultimi 17 anni, Art Dubai ha consolidato il suo ruolo di importante catalizzatore nei dibattiti locali, regionali e internazionali sull’arte del Medio Oriente e delle regioni circostanti (MENASA – Medio Oriente, Nord Africa e Asia meridionale), proponendo l’arte da questi territori sulla mappa globale. La fiera 2024 si è sviluppata sull’arte del Sud del mondo, un termine che indica in generale l’America Latina, l’Africa, l’Asia e l’Oceania, e quest’anno ha aumentato la partecipazione dei principali rivenditori africani e dell’Asia meridionale, ampliando la sezione Art Dubai Digital, lanciata lo scorso anno. “Art Dubai mette in luce il Sud del mondo come nessun’altra fiera fa”, afferma Nadine Abdel Ghaffar, fondatrice della compagnia d’arte egiziana Art d’Egypte, che ha partecipato all’anteprima VIP.

Ma andiamo con ordine: la main section è stata ospitata al Madinat Jumeirah come di consueto, mentre la sezione digital curata dai bravi Alfredo Cramerotti e Auronda Scalera è stata decentrata di qualche building, scelta non premiale per le gallerie del digital che si sono ritrovate fuori dal consueto crocevia. Il pubblico è comunque imponente, sin dalle prime ore, nelle due giornate dedicate ai VIP, si è registrato un flusso molto consistente. Stand imballati e tante chiacchiere. Le trattative si fanno solo sopra i 50k, al di sotto si parla di acquisto d’impulso (traete voi le debite conclusioni). E questo è un dato molto rilevante, perché qualifica Dubai come luogo effettivamente attivo, dove ha ancora senso spendere i soldi per il booth se si è alla ricerca di nuovi clienti. In Europa solo Art Basel e il Tefaf restano venue di portata maggiore, mentre per le fiere di ricerca siamo sempre in ballo con compratori che non arrivano mai, e invece a Dubai si vedono davvero. 

Alcune gallerie nostrane hanno deciso di portare artisti di casa, come Persano di Torino o Mandragora (di base a Lisbona ma gestita da un gallerista italiano, Matteo Consonni) che esponevano De Maria e Cucchi, alfieri della Transavanguardia. Il toscano e milanese d’adozione Secci aveva invece Abul Hisham, giovane indiano classe 1987 (venduto bene). Continua di San Gimignano il solito team di artisti capitanato dall’imponente Kapoor (750k per l’ovale riflettente). 

Essendo una delle fiere d’arte più internazionali al mondo, Art Dubai ha ulteriormente ampliato il suo impegno nel coltivare una cultura della scoperta, offrendo nuove prospettive globali e ampliando le conversazioni sull’arte oltre i tradizionali ambiti geografici e narrativi guidati dall’Occidente. Ecco allora tanti compratori indiani e asiatici, presenti a Dubai anche a causa di una residenza fiscale molto interessante.

Art Dubai fa infine parte di un’ecologia artistica locale vivace che opera in stretta collaborazione con istituzioni che rappresentano il cuore della produzione artistica negli Emirati Arabi Uniti, come Jameel Arts Centre, Ishara Art Foundation, Sharjah Art Foundation, Maraya Art Centre, Louvre Abu Dhabi, Fondazione Salama Bint Hamdan Al Nahyan, Tashkeel, NYUAD Art Gallery e Alserkal Avenue, tra gli altri. I direttori delle istituzioni citate sono tutti in fiera, e se magari non comprano direttamente, organizzano mostre ed eventi con i contatti raccolti. 

Il mood generale, a porte chiuse, è stato sicuramente positivo. Ci sono i compratori, questo deve bastare. Le vendite più frequenti come già detto sono quelle sotto i 50k, che pareggiano una bella borsa di Hermes o una spesa comunque confortevole con gli standard del golfo. 

Nella sezione digital, quella che ho abitato di più, si parla di un’atmosfera più tiepida ma non assolutamente immobile. È fondamentale infatti includere le nuove leve digitali, senza farsi spaventare dalle speculazioni andate male degli ultimi tempi, per non ritrovarsi ad escludere i migliori talenti delle arti visive soltanto a causa di preconcetti obsoleti. L’arte di domani è questa, prima ce ne rendiamo conto prima riusciremo a riconoscerne le eccellenze. 

Buone vendite per l’italiano Matteo Mandelli, che taglia i monitor come un moderno Lucio Fontana, stand tutto sold out per la giovane russa Ellen Sheidlin (4.3 milioni di followers su Instagram) con lavori dai 2.000 ai 30.000 dollari, e ancora, ottimi realizzi per i pezzi facili sui 5-15.000 dollari. La sezione, che conta 22 espositori rispetto ai 17 del 2022, quattro dei quali sono organizzazioni di ritorno, si trova in un edificio separato dal resto delle gallerie. La fiera utilizza molto la parola “phygital” – una combinazione di fisico e digitale – per descrivere questo approccio ibrido, e quest’anno la sezione ha sicuramente posto maggiormente l’accento sul “phy”. I collezionisti tradizionali e quelli feriti dal crollo crypto del 2023 han preferito stampe, edizioni e lavori su plexiglass ai tradizionali NFT. Tra le più apprezzate e vendute anche Florencia Brück nello stand della Galleria Immaterika. 

La galleria Gazelli Art House ha esposto una serie di opere basate sull’intelligenza artificiale dell’artista Brendan Dawes, che ha lavorato digitalmente negli ultimi 30 anni (ha fatto anche una performance in fiera). Unit London aveva colorate opere geometriche di artisti tra cui Zach Lieberman e Fingacode che riflettono l’eredità di Arte op, accanto alla richiestissima regina del digital Krista Kim (lavori dai 100k in su).

Certamente la febbre degli NFT si è sgonfiata, anche a causa della decentralizzazione che non offre sufficienti garanzie e delle troppe blockchain che non comunicano tra loro, forse pure per l’atmosfera interlocutoria delle crypto (attenzione però al Bitcoin che è risalito verso i suoi massimi storici). L’italiana Cinello ha esposto i capolavori digitali dei nostri musei italiani (lo scorso anno ha retrocesso 300.000 euro di ricavi per sostenere il patrimonio artistico). In fiera per la prima volta, ha incuriosito la famiglia degli sceicchi locali con la versione digitale della Scapigliata di Leonardo Da Vinci ospitata alla Pilotta di Parma. 

Il verdetto finale, per gli addetti ai lavori, per chi si stesse chiedendo se è una fiera che ha senso visitare o cui è rilevante partecipare, è positivo. 

Art Dubai vale una visita. Il resto del mondo corre più veloce dell’Occidente. È saggio prenderne atto, e interagirci. 

La globalizzazione, non è ancora finita. 



 

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