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Fabrizio De André aveva la sigaretta sempre accesa e il ciuffo lo tirava indietro con due dita appena. Non amava il pubblico, quello chiassoso, quello che ai concerti gli chiedeva insistentemente di comparire e cantare come se fosse un jukebox. Faber, poeta (musicale) maledetto, mai pienamente soddisfatto dei suoi versi, raccolti per le strade e i bar di Genova e in chissà quale altro posto, ha passato l’adolescenza accanto all’amico Paolo Villaggio fra i carruggi e i portici di Sottoripa, a Zena, città natale, ed è invecchiato nella Gallura insieme a Dori Ghezzi, in un panorama fatto delle campagne più remote della Sardegna. A 25 anni dalla sua scomparsa, ha lasciato un’impronta indimenticabile nella storia della musica italiana e nei luoghi in cui ha vissuto. Non solo. Grande estimatore dei dialetti, è stato in grado di declinarsi a cantore del Nord e cantore del Sud dedicando brani anche a città in cui si è trovato soltanto di passaggio. Così, questo viaggio sulle tracce di Faber è un itinerario che inizia dalla sua musica.

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Folco Masi per Unsplash

Genova

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Julia Solonina per Unsplash

Genova

Le canzoni che ricordano la bella Zena sono tante, ma Crêuza de mä vince su tutte. A discapito di quello che gli Anni Ottanta dicevano – ovvero di non cantare in genovese, che i brani in lingua locale non avrebbero cavato un ragno dal buco – Faber decise non solo di dedicare alla sua Genova una canzone che l’avrebbe rappresentata, dall’idioma alle registrazioni delle voci del mercato ittico di piazza Cavour, ma anche un disco per la Ricordi – che oggi sappiamo aver vinto la certificazione di Disco d’Oro. Lui, fra le vie strette e incastrate della prima città portuale italiana, vi nacque il 12 febbraio 1940 e, ancora oggi, la sua ex-casa nel quartiere Pegli, in via Nicolaj 12, ne mostra con orgoglio la targa commemorativa. Dopo aver trascorso gli anni della guerra nel piccolo borgo campagnolo di Revignano d’Asti, la famiglia tornò a Genova nella zona Albaro e, lì, i luoghi della sua infanzia prima e adolescenza poi si consumarono fra le vie Piave e Trieste. Eppure resta tuttora Villa Paradiso (altrimenti detta Villa Saluzzo Bombrini), l’architettura risalente al XVI secolo, il simbolo della Famiglia De André: una splendida dimora in stile tardo-manierista che il padre di Fabrizio, negli Anni Sessanta vice-sindaco della città, affittò per godersi la vista incredibile dal dehors e il bosco retrostante, terreno fertile di molti e meravigliosi pini marittimi. Se pensiamo che i primi pezzi firmati De André vennero scritti là, al Paradiso appunto, dove pure George Byron soggiornò dal 1822 al 1823, possiamo immaginare che quella casa, qualcosa di poetico, ce l’abbia per davvero.

La Ballata del Michè, singolo a 45 giri uscito nel 1961, ricorda la Borsa di Arlecchino, un teatro ospite del Palazzo della Borsa dei Valori di Genova – luogo in cui Faber tenne la sua prima esibizione importante. È invece dalla casa di corso Italia 6 che riecheggiano le note di uno dei suoi componimenti più celebri: La canzone di Marinella – “e c’era il sole e avevi gli occhi belli, lui ti baciò le labbra ed i capelli” -; mentre Via del Campo – “c’è una graziosa, gli occhi grandi color di foglia” – è la hit del 1967, che rimanda all’omonimo vicolo che conduce a Palazzo Cesare Durazzo (edificio storico, parte dei Rolli di Genova). Oggi, al caseggiato numero 23 c’è un museo dedicato a Fabrizio De André. Il pasticcere di via Roma, citato in Parlando del Naufragio della London Valour, esisteva per davvero e se ne stava in disparte in uno dei quartieri più popolari della città, quello della Maddalena – “Il pasticcere di via Roma sta scendendo le scale. Ogni dozzina di gradini trova una mano da pestare”. E, sebbene di Sant’Ilario, in Italia, ce ne siano più d’uno fra borghi e quartieri, quello di Bocca di Rosa – “Metteva l’amore sopra a ogni cosa. Appena scese nel paesino Sant’Ilario, tutti si accorsero con uno sguardo che non si trattava di un missionario” – è senza dubbio quello incastrato fra Genova Nervi e Pieve Ligure.

Ma a fare breccia nel cuore di Faber non fu soltanto Genova. “Ah, che bell’ ‘o cafè, pure in carcere ‘o sanno fa co’ a ricetta ch’a Ciccirinella, compagno di cella, c’ha dato mammà”. Lui stesso definì Napoli la sua patria morale, l’unico altro posto dopo Zena e la Gallura dove avrebbe potuto vivere. E con Don Raffaè, la sua canzone partenopea più famosa, eredità della lezione dialettale appresa dai poeti Salvatore Di Giacomo e Libero Bovio, ha lasciato alla città del Vesuvio un componimento che i giovani napoletani studiano anche fra i banchi di scuola.

E poi ci fu la Gallura. Dopo la separazione dalla prima moglie (madre di Cristiano De André), Faber si trasferì in Sardegna con la sua Dori Ghezzi – la cantante italiana tutta Anni Sessanta (dai codini bassi e biondi e la cintura alta e biancha), nota per il successo Casatschock. Nel 1975 i due decisero di acquistare la tenuta dell’Agnata, un angolo di verde e di pietra ritagliato ai piedi del monte Limbara. La fase di ristrutturazione durò tre anni – tre anni molto felici -, durante i quali lo stazzu semi abbandonato con il palazzeddu tipico gallurese in granito e su due livelli, risalente alla fine dell’Ottocento, prese la forma di un casale poetico in cui la coppia vi si trasferì nel 1979. De André, lì, iniziò a coltivare ulivi e viti, allevare maiali e vitellini, dedicandosi a una vita agreste e trasformando un piccolo rudere in una cucina fin da subito frequentatissima. Oggi la tenuta è un Boutique Hotel in cui soggiornare: un edificio di 8 stanze più 2, quelle appartenute alla coppia, nella casa padronale, e una piscina (disegnata da De André in persona) ricavata nella roccia. “Volevamo condividere con altri questo angolo di paradiso”, dichiarò Dori Ghezzi quando la casa fu convertita, inizialmente, in agriturismo. Anche il giardino pare sia tutta opera di Faber: 150 ettari di betulle pendule, mandorli, limoni, asfodeli, sughere, ginestre, fichi e camelie. Del resto, era noto che Fabrizio amasse le sorgenti boschive sparse nelle campagne di Tempio Pausania e che dal Rio Caprioneddu avesse ricavato un lago artificiale per garantire alla comunità una riserva d’acqua in caso di siccità.

Così anche la Gallura si aggiudica le sue canzoni: Monti di Mola – “Amore grande, di prima volta, l’ape ci succhia tutto il miele di questo mirto”; Zirichiltaggia – “Ti ni sei andatu a campà cun li signuri fènditi comandà da to mudderi”; e Hotel Supramonte, tristissima e bellissima, che con il suo arpeggio dolce racconta la sventura del rapimento della coppia De André – Ghezzi, durato 4 mesi e risolto con il pagamento di un riscatto di 550 milioni di lire.”E se vai all’Hotel Supramonte e guardi il cielo, tu vedrai una donna in fiamme e un uomo solo e una lettera vera di notte, falsa di giorno. E poi scuse, accuse e scuse senza ritorno”.

Headshot of Alessia Musillo

Alessia Musillo è editor di Elledecor.it. Laureata all’Università Statale di Milano con una tesi custodita presso la Fondazione Treccani di Milano, ha studiato anche Modern Languages presso la University of Strathclyde a Glasgow (UK) e Semiotics presso la University of Tartu (Estonia). Dopo aver collaborato con diverse testate giornalistiche, oggi trasforma l’attualità in racconti scrivendo di città, design e cultura pop per il sito web di Elle Decor Italia. Potete seguirla su Instagram (@alessia__musillo) o leggendo Elledecor.it. I suoi articoli sono viaggi sulle tracce dell’abitare contemporaneo. Il suo mezzo? La parola.      

 

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