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Il 31 dicembre prossimo termineranno gli effetti, salvo eventuale proroga dell’ultima ora (che di sicuro tutti gli operatori si auspicano e che, secondo una notizia riportata martedì 1 ottobre su Il Messaggero, sembrerebbe in analisi in parlamento), del Decreto Legge n. 18/2016 convertito, con modificazioni, nella Legge n. 49 dell’8 aprile 2016, “recante misure urgenti concernenti la riforma delle banche di credito cooperativo, la garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze, il regime fiscale relativo alle procedure di crisi e la gestione collettiva del risparmio”. Il provvedimento citato ha introdotto, tra le altre cose, la possibilità, in presenza di determinati requisiti, di usufruire di una tassazione agevolata per i trasferimenti immobiliari nelle aggiudicazioni o assegnazioni in sede di aste giudiziarie (esecuzioni individuali e concorsuali).

Recita infatti l’art. 16 del citato decreto legge, al comma 1: “Gli atti e i provvedimenti recanti il trasferimento della proprietà o di diritti reali su beni immobili emessi a favore di soggetti che svolgono attività d’impresa nell’ambito di una procedura giudiziaria di espropriazione immobiliare di cui al libro III, titolo II, capo IV, del codice di procedura civile, ovvero di una procedura di vendita di cui all’articolo 107 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, sono assoggettati alle imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura fissa di 200 euro ciascuna a condizione che l’acquirente dichiari che intende trasferirli entro due anni.”

Al comma 2 si indica la penalizzazione a cui si va incontro se il trasferimento di cui al comma 1 non avviene (approfondiremo meglio in seguito questo aspetto), ed al comma 2-bis, introdotto con la conversione in legge del decreto, si estende la possibilità di applicare l’imposta agevolata anche in presenza di un altro requisito, alternativo al primo, cioè che ad aggiudicarsi (o a farsi assegnare) l’immobile in asta siano “soggetti che non svolgono attività d’impresa […], sempre che in capo all’acquirente ricorrano le condizioni previste alla nota II-bis) all’articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131”.

Questo comma, fortemente voluto dopo le critiche alla prima versione del decreto, che concedeva (anche ai privati) l’agevolazione a condizione che si rivendesse l’immobile entro due anni dall’acquisto (e pertanto sembrava voler privilegiare la speculazione, perché si incentivava il “trading” immobiliare), ha permesso alla persona fisica, che non svolge attività d’impresa, di acquistare in asta usufruendo anch’essa delle agevolazioni pur senza l’obbligo di dover rivendere l’immobile entro due anni, ma dovendo possedere le caratteristiche indicate, tra cui:

>> l’immobile deve

  • essere adibito a prima casa di abitazione (entro un anno dall’acquisto)
  • non essere considerata di “lusso”
  • essere di categoria catastale A (con eccezione delle categorie A1, A8 e A9)
  • essere ubicato nel territorio del Comune in cui l’acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall’acquisto la propria residenza o, se diverso, in quello in cui l’acquirente svolge la propria attività ovvero, se trasferito all’estero per ragioni di lavoro, in quello in cui ha sede o esercita l’attività il soggetto da cui dipende

>> l’acquirente deve dichiarare di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del Comune in cui è situato l’immobile

Come accennato sopra, ricordiamo che in tema di “sanzioni” previste al comma 2 per quelle imprese che non trasferiscono la proprietà dell’immobile nei 24 mesi successivi all’acquisto (che, ricordiamo, decorre dalla data di emissione del decreto di trasferimento, che è sicuramente anteriore alla data della reale immissione nel possesso a seguito di liberazione del bene e consegna delle chiavi), è intervenuta la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 27/E del 13 giugno 2016. Al punto 3.2 “Trasferimenti immobiliari nell’ambito delle vendite giudiziarie”, si chiarisce appunto che “analogamente a quanto previsto in materia di ‘prima casa’, anche in tale ipotesi, dunque, qualora il contribuente si trovi nella condizione di non poter o voler rispettare l’impegno assunto, può, in pendenza del termine previsto per procedere all’alienazione, rivolgere apposita istanza all’ufficio dell’Agenzia delle entrate, secondo le procedure previste dalle risoluzioni 102/E e 115/E del 2012, al fine di ottenere la riliquidazione dell’imposta in misura ordinaria e dei relativi interessi.

In poche parole si fa correttamente appello al buon senso e si sancisce che, se per qualche motivo l’impresa si accorge di non poter (o non voler) rivendere entro il tempo prestabilito, può presentare una istanza all’Agenzia e richiedere di pagare la mancata imposta con i soli interessi, evitando appunto la sanzione.

Mi sembra una scelta corretta (ed anche dovuta), quella dell’amministrazione tributaria, perché sicuramente limita (anche se a mio avviso non evita completamente) il probabile contenzioso che ne sarebbe potuto derivare. Ci si immagini infatti due situazioni, molto comuni, relative agli immobili trasferiti in sede di asta giudiziaria: abusi urbanistici e immobili occupati senza titolo. Nel primo caso sappiamo che, in deroga al divieto, previsto dal T.U. in materia edilizia, di commerciabilità di immobili in presenza di abusi edilizi o urbanistici, attraverso le vendite in sede di espropriazione forzata si può invece trasferire l’immobile, addirittura concedendo, a certe condizioni (su cui non ci soffermiamo) la possibilità di riaprire i termini del condono (quindi, potendo eventualmente sanare certi abusi e permettendo pertanto la successiva rivendita del cespite sul libero mercato). In caso invece di immobili occupati, e con difficoltà o ritardi nella liberazione, sono rese molto più difficili (se non quasi impossibili) tutte le attività di commercializzazione, promozione, regolarizzazione, ristrutturazione, cambio di destinazione d’uso, e quant’altro utile o indispensabile a garantire una rivendita nel più breve tempo possibile.

Se quindi per negligenza del custode, per ritardi del giudice, per imperizia del delegato, per inefficienza dell’ufficiale giudiziario o per mancata collaborazione dei servizi sociali o della forza pubblica (sappiamo di situazioni particolarmente gravi o delicate in cui la prefettura decide di non far intervenire le forze di pubblica sicurezza), una casa acquistata con le agevolazioni non viene consegnata in un tempo ragionevole, come può il nuovo proprietario adoperarsi per regolarizzare eventuali abusi, renderla a norma, metterla in sicurezza, e commercializzarla in tempi congrui? Già si può dire che 24 mesi sono al giorno d’oggi un termine molto esiguo per poter portare a termine, con successo, una vendita immobiliare, ma se poi, una volta emesso il decreto, e fatto partire il conto alla rovescia, non si immette il proprietario anche nel pieno e libero possesso del bene acquisito, allora verosimilmente si rischia un notevole contenzioso quando si vada a richiedere a questo soggetto la mancata sanzione, gli interessi, ed anche – da previsione normativa – la sanzione del 30% sull’imposta non pagata. Un rischio abnorme, sia nella probabilità di accadere, sia nell’importo che l’acquirente si troverebbe a pagare in caso di non rivendita, tanto da rendere l’agevolazione appetibile solo in certi casi poco complessi (immobili dal facile mercato, non occupati, e senza abusi da sanare, idealmente con già qualche diretto interessamento all’acquisto). In questi casi citati, definiti “di forza maggiore”, sarebbe un insuccesso della macchina statale, l’unica in grado di garantire all’acquirente la certezza dell’acquisto (soprattutto del tempo di immissione nel possesso), non dovrebbe ripercuotersi (limitandola) su una giusta agevolazione fiscale nata con un ben determinato scopo.

Volendo quindi consigliare al legislatore se riproporre o meno, anche per l’anno 2017, tale agevolazione, possiamo con certezza affermare che la norma può rappresentare una ulteriore opportunità di facilitazione per un mercato che ha ancora bisogno di incentivi, attenzioni, e misure speciali, visto l’abnorme numero di immobili ormai sul mercato in asta giudiziaria. Mi accingevo, in questo articolo, a suggerire una timida estensione ad almeno 36 mesi del termine per la rivendita, che però dovrebbero decorrere dalla effettiva immissione nel possesso del bene, e non già dalla semplice emissione del decreto di trasferimento. Poi ho appreso invece, appena prima della pubblicazione, che sembra in discussione un allungamento ad addirittura 5 anni del termine per la rivendita. Complimenti pertanto all’estensore della proposta, è andato oltre ogni più rosea aspettativa. La domanda ulteriore che però adesso pongo sul tema è la seguente: qualora, auspicabilmente, venisse approvata tale estensione, questa norma sarebbe retroattiva? Potrebbero di fatto beneficiarne anche coloro che hanno acquistato in asta nell’anno 2016, allungando il loro periodo utile alla rivendita? Ed inoltre, piccola precisazione, in caso di trasferimento a società “controllata”, “collegata”, o comunque “facente parte” dello stesso gruppo della società acquirente, si potrebbero sollevare delle eccezioni da parte dell’amministrazione fiscale o tali atti sarebbero considerati trasferimenti regolari a tutti gli effetti? Sarebbe anche curioso capire se, rivendendo ad un prezzo di poco superiore a quello di acquisto (addirittura definito, talvolta, “vile prezzo”), visti i tempi stringenti per ri-trasferire la proprietà, si rischierebbero accertamenti fiscali basati sullo scostamento del prezzo di vendita dal corrente valore di mercato?

Concludendo, un argomento che ho sollevato subito dopo la conversione in legge, ma che non è stato sufficientemente discusso, è che con la legge attuale si è tenuto fuori dall’agevolazione una intera categoria di acquirenti che mi risulta essere invece molto presente negli acquisti in asta: si tratta dei privati, già proprietari di prima casa, che vogliono acquistare, al pari delle imprese, per fare trading, quindi per poi rivendere. Non vedo il motivo per cui si permetta ad una impresa di pagare una imposta estremamente agevolata, e la stessa concessione non sia permessa al privato che acquista con il medesimo scopo. Non è raro infatti che alle aste giudiziarie acquistino soggetti facoltosi, già proprietari di una prima casa di abitazione (o spesso di più case), che possono acquistare per contanti senza perdere tempo con finanziamenti bancari, e potendo spesso permettersi anche tempi più lunghi per la liberazione dell’immobile o anche per la semplice emissione del decreto, non dovendo pagare doppie rate di mutuo o affitti in contemporanea alle rate del mutuo. Infatti purtroppo molti potenziali acquirenti che non hanno la liquidità necessaria per l’anticipo della cauzione, che non possono permettersi di attendere 6 mesi per l’emissione del decreto, e magari un anno per liberare l’immobile occupato, si tengono alla larga da questo mercato, che è ideale invece per coloro che dispongono di liquidità e non hanno fretta di impossessarsi del bene. Perché vietare a costoro di godere dell’agevolazione al pari delle imprese? L’augurio è che, in un eventuale comma di proroga del beneficio fiscale, si possa estendere il beneficio anche a questi soggetti, dimenticati dalla conversione in legge (sono ancora convinto che si sia trattata di una svista o di una dimenticanza, perché continuo a non trovare un valido motivo che giustifica la sua esclusione).

(Altalex 18 novembre 2016. Articolo di Simone Luchini)

Sul tema, a cura dello stesso autore, si segnala:
Le aste immobiliari: guida all’acquisto di immobili nelle procedure esecutive, Altalex Editore, 2016.
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