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C’è preoccupazione e anche un po’ di delusione dopo la conferma della riduzione del credito d’imposta all’interno della Zona Economica Speciale Unica del Mezzogiorno. Il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate infatti porterebbe ad appena il 17,6668% la percentuale del credito d’imposta richiesto dalle imprese con un sostanziale annullamento dei benefici immaginati all’indomani della nascita della Zes unica.

Perplessità che Valentino Nicolì, presidente di Confindustria Lecce chiarisce con un esempio: un credito d’imposta molto più basso rispetto al massimale previsto dalla normativa porterebbe, ad esempio, le piccole imprese ad avere un’agevolazione del 10,6% invece del 60%. «Il nuovo meccanismo di riparto delle risorse, basato sulle comunicazioni presentate dal 12 giugno al 12 luglio scorso, ha generato un significativo svantaggio per molte imprese -afferma Nicolì-. La situazione venutasi a creare sta generando preoccupazione da parte delle imprese che hanno già effettuato gli investimenti nel 2024 contando su percentuali di agevolazione molto più alte e, allo stesso tempo, può scoraggiare le imprese che hanno programmato gli investimenti entro il prossimo 15 novembre. Il rischio concreto è che molte imprese ritornino sulle proprie decisioni e non confermino gli investimenti, con evidenti effetti negativi sulla competitività delle stesse e dei territori in cui operano». Confindustria critica l’approccio fin qui utilizzato che crea incertezza e rende difficilmente pianificabili gli investimenti, mettendo a rischio la crescita economica e lo sviluppo imprenditoriale. «È fondamentale che le agevolazioni siano in linea con l’ambizione della misura, – continua Nicolì- che mira a incentivare gli investimenti nelle aree del Mezzogiorno. Come imprenditori condividiamo quanto dichiarato dal ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto e ci rassicura in tal senso il suo impegno per un confronto proficuo con l’Agenzia delle Entrate, nell’ottica di arginare il rischio di penalizzare le imprese realmente interessate agli investimenti. L’auspicio, infatti, è che vengano stanziate maggiori risorse per consentire al credito d’imposta di esplicare la propria efficacia». L’associazione assicura di voler continuare a monitorare la situazione e a sostenere le imprese locali, promuovendo un dialogo costruttivo con le istituzioni per garantire che le politiche di sviluppo economico siano efficaci e realmente vantaggiose per tutti gli attori coinvolti.

I Commercialisti 

Sulla stessa linea l’Ordine dei commercialisti che si associa al timore espresso dagli altri attori del settore. «Sono stati fatti degli errori a cui spero si possa porre rimedio -sottolinea il presidente Fabio Corvino- a partire dalla dotazione: si è capito quasi subito che 1.670 milioni di euro è risultato uno stanziamento insufficiente. Non era certamente una grossa cifra e le conseguenze si sono viste. Poi di certo andava messo un tetto alle richieste perché come spesso accade Italia, le domande vengono massimizzate contando su crediti che poi di fatto non ci sono. Le aziende hanno probabilmente ragionato per eccesso sul piano degli investimenti. Con queste prospettive alla fine c’è il rischio di un ridimensionamento degli investimenti». La necessità immediata è quella di correre ai ripari, valutando una nuova impostazione. «Questa situazione potrebbe danneggiare quelle aziende che speravano di poter ottenere un riscontro più positivo -continua Corvino- dalla nascita di quest’area franca e adesso devono rivedere quanto programmato per il futuro. Bisognerà trovare degli accorgimenti per utilizzare anche le risorse di evidentemente rinuncerà a proseguire». I numeri che Corvino snocciola non lasciano margini di manovra: «Ci sono imprenditori che sono partiti considerando, nel quadro economico, un credito d’imposta teorico del 60% per scoprire ad oggi che invece la percentuale è solo del 10,60%. Balla un 50% che si traduce, per un investimento di 500mila euro, non più in 300mila euro di credito maturato, ma solo in 53mila euro. Una riduzione enorme, dell’82,33%: sembra francamente poco plausibile che un imprenditore possa essere convinto a restare da una rimodulazione così importante».

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