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Le comunità energetiche rappresentano uno strumento per sviluppare la produzione da rinnovabili e contribuire alla transizione energetica. Tuttavia, se da una parte è necessario cercare di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e dall’import energetico, è bene anche pensare che la generazione distribuita introduce anche elementi critici nella gestione della rete elettrica.

Bilanciare la perfetta integrazione delle energie rinnovabili e garantire un approvvigionamento elettrico stabile diventerà sempre più impegnativo. I Piani Nazionali Energia e Clima aggiornati al 2023 rappresentano, in media ponderata, un aumento dell’87% delle ambizioni in termini di produzione fotovoltaica rispetto ai Piani del 2019. Per rendere la transizione energetica una realtà serve un’efficace implementazione della rete, oltre che la sua modernizzazione e flessibilità.

Solar Power Europe segnala che solo due Paesi UE hanno pianificato investimenti rilevanti nella propria rete di distribuzione, mentre solo quattro fissano un obiettivo specifico per la risposta dal lato della domanda.

L’avvento delle CER potrebbe aumentare i problemi di integrazione nella rete di generazione solare distribuita.

Una delle soluzioni possibili per mitigare l’impatto delle CER sulle reti di distribuzione è creare comunità energetiche 100% solari, ovvero alimentate 24 ore su 24, 365 giorni l’anno dal fotovoltaico, accoppiato a batterie. Questo ridurrebbe sia il consumo prelevato dalla rete di trasmissione (poiché le comunità sarebbero autosufficienti) sia le perturbazioni introdotte da un consumo intermittente, causato da una autoproduzione solare solamente parziale.

La via per arrivarci è stata messa a punto dai ricercatori dell’Institute for Renewable Energy dell’Eurac Research.

Gli inconvenienti della generazione distribuita

Le Comunità energetiche rinnovabili sono nate per contribuire a promuovere la generazione distribuita, massimizzando l’autoproduzione e riducendo il costo dell’energia per gli utenti finali.

Si prevede che le CER nate nel contesto residenziale, basandosi per lo più su impianti fotovoltaici e batterie per lo storage, faranno la parte del leone.

Comunità energetiche 100% solari: come sfruttare al massimo fotovoltaico e storage, con vantaggi per tuttiComunità energetiche 100% solari: come sfruttare al massimo fotovoltaico e storage, con vantaggi per tutti

«In Italia, la dimensione tipica di un impianto fotovoltaico residenziale è di circa 2,3-2,5 kWp, in grado di produrre il fabbisogno elettrico annuale di una famiglia che in media è pari a 3000 kWh/anno circa», ricorda il team di ricercatori, segnalando che un membro di una comunità energetica residenziale che beneficia dell’incentivo per la condivisione dell’energia può installare 5kWh di batterie al litio per autoprodurre il 60% della sua domanda e auto-consumare il 61% della produzione fotovoltaica con un tempo di ritorno ragionevole di 15 anni.

Tuttavia, come accennato, l’elevato livello di autoproduzione e autoconsumo di un considerevole numero di utenti introduce perturbazioni non trascurabili sul sistema: la domanda elettrica diventa dipendente dalla disponibilità solare, quindi molto più variabile e difficilmente programmabile. Durante le giornate serene il consumo diminuisce nelle ore centrali della giornata per poi crescere molto più rapidamente nelle ore serali, rendendo più difficoltoso l’approvvigionamento; inoltre, si creano improvvisi picchi di produzione solare immessa in rete o di consumo quando batterie residenziali risultano cariche o scariche. Mentre l’influenza sul sistema elettrico di un singolo impianto FV/BESS residenziale è piuttosto ridotta, il numero crescente di impianti installati grazie al diffondersi delle comunità energetiche aumenta la forza del loro impatto collettivo.

«Inoltre, la domanda elettrica residua, non coperta dal solare/batterie, può essere predetta tramite le previsioni della generazione solare, legata alle previsioni meteorologiche, e del fabbisogno elettrico (statisticamente prevedibile) e la stima dello stato di carica delle batterie, ricavabile dal loro monitoraggio. Poiché al livello residenziale gli accumuli non sono monitorati, e quindi non può essere ricavato come le batterie si caricheranno o scaricheranno, potremmo trovarci, nel prossimo futuro, di fronte ad una domanda elettrica residua sempre più imprevedibile e quindi a una crescente difficolta nella programmazione della generazione necessaria a far fronte a tale domanda», spiega il team, composto da Marco Pierro, Cristina Cornaro, David Moser, Grazia Barchi.

La spirale mortale della rete elettrica

Infine, c’è un altro problema che può insorgere, e che IRENA ha denominato “grid death spiral” (spirale mortale della rete elettrica).

Si tratta di un fenomeno generato dall’autoconsumo/produzione che, da un lato, riduce le bollette dei consumatori e dei membri della CER, ma aumenta gli oneri di sistema, necessari per garantire l’adeguatezza e la sicurezza. Di conseguenza, lievitano le bollette della maggior parte dei cittadini che non hanno ancora installato sistemi fotovoltaici e di accumulo. Quindi, altri cittadini che hanno spazio sufficiente sul proprio tetto e che possono permettersi investimenti, sono incoraggiati a installare nuovi impianti, e così via. Questo fenomeno, anziché ridurlo, può perfino accrescere la povertà energetica.

La soluzione possibile: comunità energetiche 100% solari

Come puntare allo sviluppo delle CER e dell’impiego delle rinnovabili, senza andare a pesare sulla rete, creando condizioni vantaggiose per tutti? Proprio grazie allo sviluppo di comunità energetiche 100% solari. Esse sarebbero in grado di soddisfare completamente la domanda, in modo che il loro consumo scompaia dalla rete, diminuendo il carico elettrico complessivo della zona, ma senza perturbarne il profilo di assorbimento.

«È da qualche anno che, anche insieme al gruppo IEA-PVPS, lavoriamo sull’opportunità di rendere il solare fotovoltaico dispacciabile, cercando di risolvere i problemi di integrazione del solare sulla rete – specifica Marco Pierro, ricercatore dell’Eurac Researc –. Questo approccio alle comunità energetiche nasce dalla volontà di coniugare due concetti: da una parte, consentire al fotovoltaico di fornire tutta l’energia necessaria 24 ore su 24 tutto l’anno e, contemporaneamente, risolvere i problemi che il solare provoca sulla rete, in particolare sulla generazione distribuita, data la sua difficile prevedibilità».

Una prima opzione: una gestione centralizzata e monitorata dello storage

Per rendere possibile il modello di comunità energetiche 100% solari ci sono due strade percorribili: una gestione centralizzata della comunità, possibile grazie a un unico sistema di energy storage con un sistema di controllo centralizzato, e il Power Purchase Agreement.

Nel primo caso, denominato BESS crowdfunding, i membri CER – tutti prosumer fotovoltaici – acquistano un sistema di stoccaggio centralizzato su scala commerciale e gestiscono lo stoccaggio con un sistema di controllo attraverso un aggregatore, che svolga il ruolo di energy manager. La batteria, centralizzata, può essere acquistata tramite una raccolta fondi: «questa soluzione implica un costo inferiore a tante piccole batterie, permette di ottimizzare produzione e accumulo per soddisfare al meglio tutto il carico della comunità 24 su 24, e permette di moltiplicare l’incentivo statale in termini di energia condivisa», specifica Pierro.

L’idea di base è di sovradimensionare, moltiplicando per tre, gli impianti fotovoltaici rispetto alla capacità tipica (2,3-2,5 kWp per abitazione). «Sovradimensionando il fotovoltaico è possibile ridurre la capacità di accumulo richiesta da stagionale (90 giorni di autonomia) a giornaliera, aumentando i cicli completi equivalenti da 2 a 230 all’anno».

Attualmente la dimensione degli impianti è calcolata sulla base del fatto che l’energia prodotta in un anno sia uguale al fabbisogno energetico annuale. Peccato, però, che questa energia non venga prodotta quando serve: «così non si riuscirà mai a fare una comunità solare 24 ore su 24 perché avremmo bisogno di accumuli talmente grandi da caricare d’estate e restituire d’inverno.

Contando su un impianto più grande, la batteria può essere dimensionata sul fabbisogno giornaliero perché anche nelle condizioni peggiori in cui c’è poco sole, sarà comunque possibile ricaricarla per poi utilizzarla nelle ore notturne».

Perché è un’ipotesi sostenibile

L’idea sarebbe economicamente sostenibile, perché il fotovoltaico costa notevolmente meno delle batterie: ingrandendo il fotovoltaico e riducendo lo storage, si riesce a contare su costi/benefici accettabili.

Favorire quanto più possibile l’auto consumo interno alla CER permetterebbe di mitigare sensibilmente i problemi dati dalla generazione distribuita sulla rete.

I fattori economici abilitanti della strategia di crowdfunding BESS sono molteplici: innanzitutto la batteria centralizzata, acquistata tramite raccolta fondi, beneficia di una riduzione dei costi grazie all’aumento delle dimensioni, comunque ridotte al minimo per provvedere a uno stoccaggio giornaliero.

Inoltre, la batteria centralizzata diventa una sorta di “mega-utente” che assorbe una quantità significativa di energia immessa dagli impianti fotovoltaici distribuiti, massimizzando gli incentivi previsti per le comunità energetica per l’energia condivisa.

«Grazie a queste caratteristiche, unite al fatto che la comunità è gestita da un aggregatore per massimizzare l’autoproduzione complessiva, il tempo di ritorno dall’investimento scende a 12 anni, tre in meno rispetto a una comunità energetica tradizionale», evidenzia il team di ricercatori.

Power Purchase Agreement: un produttore, tanti consumatori. Così la CER è possibile a tutti

Il secondo percorso guarda alle potenzialità del Power Purchase Agreement: si tratta di un contratto di acquisto dell’energia elettrica tra il soggetto produttore e proprietario dell’impianto e i soggetti acquirenti. Nel caso specifico si propone di stabilire un contratto di fornitura di energia PPA tra un produttore fotovoltaico su scala commerciale e una comunità energetica per la fornitura di generazione solare continua necessaria a soddisfare la domanda dell’intera comunità 24 ore su 24 e 365 giorni all’anno per 15 anni.

«La stipula di contratti di acquisto PPA con un produttore centralizzato, che in qualche modo ricorda il principio alla base dei gruppi di acquisto, è una formula conveniente per tutti: per chi produce e per chi acquista, soddisfacendo le necessità degli acquirenti di acquistare energia green “autentica”, effettivamente prodotta 24 ore su 24 da impianti fotovoltaici con accumulo. Questa opzione permette al produttore usare una parte dell’energia prodotta per soddisfare i fabbisogni della comunità energetica 24/365 (di soli consumatori) e vendere sul mercato solo la quota in eccesso (non consumata dalla comunità). In questo modo si riduce l’immissione in rete di energia solare variabile e intermittente diminuendo l’impatto del fotovoltaico sulla rete».

In questo caso, l’idea e quella di applicare il Generation Splitting, ovvero di suddividere la generazione di un impianto fotovoltaico in una in una parte ferma, su 24 ore, (tramite l’istallazione di un parco batterie) mentre una parte invece continua a essere variabile. In questo modo l’impianto solare sarebbe in parte simile a una centrale idroelettrica, pronta a garantire energia quando viene richiesta. «Abbiamo dimostrato che un impianto fotovoltaico da 1 MWp e 1,2 MWh di batteria potrebbe fornire 24 ore su 24, 365 giorni su 365 il 97% del fabbisogno di elettricità di una CER di 140 membri residenziali a un costo minimo di 12 c€/kWh, utilizzando il 30% della sua generazione».

I membri della comunità energetica potrebbero ridurre la loro bolletta dell’11% senza alcun investimento. Il produttore fotovoltaico, fermando circa il 30% della sua generazione (per soddisfare il carico di 140 membri per MWp), potrebbe aumentare le proprie entrate del 18%.

«È possibile pensare di acquistare energia da un produttore vicino oppure, tramite un Virtual PPA, un contratto flessibile di energia rinnovabile che non prevede la consegna fisica dell’energia dal venditore al cliente. Si tratta di un’opzione che può permettere alla comunità energetica di essere interamente costituita da consumatori, non avendo bisogno di fare alcun investimento», conclude Pierro.

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