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Ha senso introdurre nell’ordinamento una norma di favore per il debitore esecutato ed al contempo consentire, con la medesima norma, al creditore procedente di inibirne l’efficacia ancor prima che questo abbia effettuato la dovuta istruttoria sul modo in cui detto debitore intende avvalersi della facoltà che gli viene legislativamente riconosciuta? 

L’inedito meccanismo di rinegoziazione del mutuo ipotecario, introdotto dal legislatore con l’art. 41 bis della legge 19 dicembre 2019, n. 157 di conversione del d.l. n. 124/2019 prevede che il giudice dell’esecuzione debba sospendere l’esecuzione per un periodo massimo di sei mesi al ricorrere di due presupposti: i) che il debitore e il creditore abbiano proposto congiuntamente istanza in tal senso; ii) che sussistano le condizioni stabilite al comma 2 dell’articolo richiamato.

Tale principio viene statuito dal Tribunale di Cagliari, G.E. Dott.ssa Flaminia Ielo, con l’ordinanza 4 gennaio 2021 (testo in calce).

La vicenda processuale

Il Giudizio traeva origine da un ricorso in opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. II comma depositato in procedura dal debitore esecutato con il quale questi contestava la legittimità dell’azione esecutiva esperita nei suoi confronti eccependo, anche al fine di ottenere la sospensione dell’esecuzione in corso, “…l’illegittimità della procedura per erroneità del credito azionato…” e richiedendo, in subordine, la rinegoziazione del mutuo fondiario contratto ai sensi dell’art. 41 bis L. 157/2019.

Il creditore procedente si costituiva ritualmente nell’ambito del giudizio di opposizione contestando le deduzioni di parte ricorrente ed insistendo per il rigetto della istanza di sospensione formulata dalla controparte data l’assenza dei presupposti necessari a giustificarne l’adozione.

Con l’Ordinanza in discorso il Giudice dell’Esecuzione, a scioglimento della riserva assunto al termine dell’udienza di comparizione delle parti, rigettava l’istanza di sospensione della procedura ed assegnava un termine di 90 giorni per l’introduzione del giudizio di merito dopo aver rilevato che:

  • ilcredito posto alla base dell’azione esecutiva, proprio sulla scorta della documentazione prodotta da parte ricorrente, non era estinto e, di conseguenza, “…fintanto che sussiste l’esposizione debitoria di …omissis… la procedura esecutiva può proseguire…”;
  • la sospensione dell’esecuzione ex art. 41 bis D.L. 124/2019 richiedeva che la relativa istanza, a differenza di quanto avvenuto nelle circostanze oggetto di opposizione, venga proposta dal debitore e dal creditore congiuntamente.
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L’esame del decisum

L’Ordinanza di rigetto oggetto di esame, seppure estremamente sintetica, presenta degli aspetti di indubbio  interesse laddove chiarisce il ruolo del creditore procedente nell’ambito del procedimento di rinegoziazione del mutuo ex art. 41 bis L. n. 157/2019.

Quella in discorso, a prima vista, sembrerebbe, una norma di particolare favore per il debitore dal momento in cui, nel corso di una azione esecutiva che investe la sua abitazione principale, gli viene riconosciuta la possibilità di rinegoziare il mutuo ipotecario contratto in presenza di alcune specifiche condizioni, ricorrendo all’assistenza della garanzia del Fondo di Garanzia per la prima casa (41 bis L. n. 157/2019: “…1. Al fine di fronteggiare, in via eccezionale, temporanea e non ripetibile, i casi più gravi di crisi economica dei consumatori, ove una banca o una società veicolo, creditrice ipotecaria di primo grado, abbia avviato o sia intervenuta in  una procedura esecutiva immobiliare avente ad oggetto l’abitazione principale  del debitore, è conferita al debitore consumatore, al ricorrere delle condizioni di cui al comma 2, la possibilità di chiedere la rinegoziazione del mutuo in essere ovvero un finanziamento, con surroga nella garanzia ipotecaria esistente, a una banca terza, il cui ricavato deve essere utilizzato per estinguere il mutuo in essere,  con assistenza della garanzia del Fondo di garanzia per la prima casa, di cui all’articolo 1, comma 48, lettera c), della legge 27 dicembre 2013, n. 147, e  con il beneficio dell’esdebitazione per il debito residuo…”).

Questa prima impressione sembrerebbe però essere destinata ad una radicale modifica alla luce di una attenta lettura dei presupposti applicativi della norma ed in ragione dell’interpretazione giudiziale degli stessi.

Andando per ordine.

Come è noto, in base alla predetta norma il legislatore ha introdotto la possibilità, per il debitore esecutato, di rinegoziare il mutuo al ricorrere delle seguenti specifiche condizioni:

“…a) il debitore sia qualificabile come consumatore ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera a), del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206;

b) il creditore sia un soggetto che esercita l’attività bancaria ai sensi dell’articolo 10 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui  al decreto legislativo 1°settembre 1993, n. 385, o una società veicolo di cui alla  legge 30 aprile 1999, n. 130;

c) il credito derivi da un mutuo con garanzia ipotecaria di primo grado sostanziale, concesso per l’acquisto di un immobile che rispetti i requisiti previsti dalla nota II-bis) all’articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al testo unico  delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al decreto del  Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, e il debitore abbia rimborsato almeno il 10 per cento del capitale originariamente finanziato alla   data della presentazione dell’istanza di rinegoziazione;

d) sia pendente un’esecuzione immobiliare sul bene oggetto di ipoteca (sul tema si segnala il volume L’Ipoteca di Chianale Angelo, Utet Giuridica, 2021) per il credito, il cui pignoramento sia stato notificato tra la data del 1° gennaio 2010 e quella del 30 giugno 2019;

e) non vi siano altri creditori intervenuti oltre al creditore procedente o,  comunque, sia depositato, prima della presentazione dell’istanza di rinegoziazione, un atto di rinuncia dagli altri creditori intervenuti;

f) l’istanza sia presentata per la prima volta nell’ambito del medesimo  processo esecutivo e comunque entro il termine perentorio del 31 dicembre 2021;

g) il debito complessivo calcolato ai sensi dell’articolo 2855 del codice civile  nell’ambito della procedura di cui alla lettera d) e oggetto di rinegoziazione o  rifinanziamento non sia superiore a euro 250.000;

h) l’importo offerto non sia inferiore al 75 per cento del prezzo base della successiva asta ovvero del valore del bene come determinato nella consulenza tecnica d’ufficio nel caso in cui non vi sia stata la fissazione dell’asta. Qualora il debito complessivo sia inferiore al 75 per cento dei predetti valori, l’importo offerto non può essere inferiore al debito per capitale e interessi calcolati ai sensi della lettera g), senza applicazione della percentuale del 75 per cento;

i) il rimborso dell’importo rinegoziato o finanziato avvenga con una dilazione non superiore a trenta anni decorrenti dalla data di sottoscrizione dell’accordo di rinegoziazione o del finanziamento e comunque tale che la sua durata in anni,  sommata all’età del debitore, non superi tassativamente il numero di 80;

l) il debitore rimborsi integralmente le spese liquidate dal giudice, anche a titolo di rivalsa, in favore del creditore;

m) non sia pendente nei riguardi del debitore una procedura di risoluzione della crisi da sovraindebitamento ai sensi della legge 27 gennaio 2012, n. 3…” (41 bis n. 2 L. n. 157/2019).

La presenza di una numerosa serie di presupposti applicativi ha, ovviamente, lo scopo di trovare un punto di equilibrio tra l’interesse del consumatore in difficoltà a conservare la proprietà dell’abitazione principale oggetto di espropriazione e la tutela del diritto del procedente a vedere soddisfatto, almeno in parte, il credito legittimamente vantato anche e soprattutto garantendo a libello statale il nuovo impegno assunto dal debitore, in sede di rinegoziazione, con il ricorso al Fondo di Garanzia della prima casa.

Da questo punto di vista l’intento legislativo è certamente pregevole anche se la norma, nella sua formulazione, si è da subito prestata ad interpretazioni critiche nella parte in cui richiede che l’istanza sia presentata dalle parti in maniera congiunta [“…A seguito di apposita istanza congiunta, presentata dal debitore e dal creditore, il giudice dell’esecuzione, ricorrendo le condizioni di cui al comma 2, sospende l’esecuzione per un periodo massimo di sei mesi…” (41 bis n. 5 L. n. 157/2019)].

Non è chiaro, infatti, mettendo a raffronto la ratio della legge (fornire un ulteriore strumento di esdibitazione al consumatore/debitore tenendo nel debito conto gli interessi di parte creditrice) e la lettera della norma (il riferimento è al requisito della adesione) quale sia il ruolo del procedente a fronte di una richiesta di rinegoziazione del debitore che soddisfa le numerose condizioni espressamente prescritte al II° comma .

In altre parole, il creditore deve limitarsi a prendere atto dell’istanza ed aderire alla stessa, senza margini di discrezionalità, qualora questa sia stata predisposta in ossequio ai contenuti dell’art 41 bis II° comma L. n. 157/2019 oppure può opporsi sin da subito alla richiesta del debitore esecutato, ancor prima di aver effettuato una istruttoria che ne valuti la rispondenza al dettato normativo, facendo venir meno uno dei requisiti previsti dalla norma ovvero negando la propria adesione all’atto della presentazione della relativa istanza?

Il Giudice dell’Esecuzione, nell’ordinanza in esame, risolve il quesito posto aderendo all’interpretazione restrittiva (in verità sarebbe più opportuno definirla letterale) della norma dal momento che nega la sospensione del processo esecutivo anche perché “…il creditore non ha depositato istanza di sospensione ai sensi della norma richiamata né prestato adesione alla richiesta del debitore ma, al contrario, ha manifestato volontà di segno contrario…”.

Tale tipo di interpretazione, che difficilmente potrà essere tacciato di erroneità, data la piena corrispondenza al dato testuale rinvenibile dall’art. 41 bis L. n. 157/2019, mette in luce la scarsa incisività in termini pratici dell’intervento legislativo.

Consentire al creditore procedente di bloccare la procedura di rinegoziazione sin dalla sua origine, a prescindere dalla sussistenza dei prescritti requisiti di legge, ancor prima di effettuare la dovuta istruttoria sulla relativa istanza, peraltro espressamente prevista dallo stesso art. 41 bis L. n. 157/2019, significa svilire completamente la ratio della norma oggetto di esame lasciandola, di fatto, priva di effetti pratici.

Se la decisione finale già in ordine alla sola presentazione dell’istanza viene lasciata alla completa discrezionalità del procedente, infatti, non ha alcun senso subordinare il procedimento di rinegoziazione ad una corposa serie di presupposti applicativi dal momento che il creditore nella sua scelta di aderire o meno alla richiesta formulata dal debitore non è, in alcun modo, vincolato alla sussistenza dei predetti presupposti.

È chiaro, a parere dello scrivente, che posta in questi termini la portata innovativa della norma in discussione è pressoché nulla in quanto non modifica in alcun modo la situazione preesistente dal momento che le parti di una procedura esecutiva, nell’ambito della propria autonomia negoziale, possono, in ogni caso, raggiungere un accordo transattivo che, ad esempio, preveda l’azzeramento dell’esposizione debitoria con un versamento a saldo e stralcio oppure l’elaborazione di un piano di rientro del debito maturato avvalendosi anche della possibilità di sospendere l’esecuzione in corso ai sensi dell’art. 624 bis c.p.c. per un periodo ben più lungo (24 mesi) dei 6 mesi previsti dall’art. 41 bis L. n. 157/2019.

Ed anzi, a ben vedere, il suddetto articolo, per come è stato costruito,  all’atto pratico, anziché attestarsi come una norma di favore per il debitore potrebbe divenire un ostacolo alla definizione bonaria delle procedure esecutive immobiliari in atto qualora i creditori procedenti inizino a prendere come riferimento nelle eventuali trattative stragiudiziali i presupposti applicativi individuati dalla norma in discorso escludendo ogni possibilità di transigere in assenza degli stessi.

Il riferimento, chiaramente, a livello pratico, è, alle lettere h ed l dell’art. 41 bis L. n. 157/2019 in base alle quali:

  • l’importo offerto non deve essere inferiore “…al 75 per cento del prezzo base della successiva asta ovvero del valore del bene come determinato nella consulenza tecnica d’ufficio nel caso in cui non vi sia stata la fissazione dell’asta. Qualora il debito complessivo sia inferiore al 75 per cento dei predetti valori, l’importo offerto non può essere inferiore al debito per capitale e interessi calcolati ai sensi della lettera g), senza applicazione della percentuale del 75 per cento”;
  • il debitore è tenuto al rimborso integrale delle “…spese liquidate dal giudice, anche a titolo di rivalsa, in favore del creditore…”.

Da questo punto di vista, il fatto che l’efficacia della norma soggiaccia ad un espresso limite temporale potrebbe essere una cosa estremamente positiva. 

Ovviamente quelle appena esposte sono delle riflessioni critiche, rispetto all’articolo art. art. 41 bis L. n. 157/2019 ed al modo in cui ne è stata data applicazione, senza alcuna pretesa di esaustività e come tali suscettibili, senza dubbio alcuno, di essere integrate ed addirittura corrette alla luce della prassi giurisprudenziale che si andrà creando, nel corso del 2021 (ultimo anno di applicazione della norma).

TRIBUNALE CAGLIARI, ORDINANZA 4 GENNAIO 2021 >> SCARICA IL TESTO PDF

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