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di
Gianluca Carfagna

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L’espressione anglosassone “cram down” -nella pratica della liquidazione del patrimonio, ovvero dei concordati con continuità aziendale- si riferisce al fenomeno giuridico in base al quale il Tribunale omologa la procedura intrapresa, nonostante un creditore appartenente ad una classe dissenziente, contesti la convenienza della proposta, se ritiene che il credito possa risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente percorribili.

Tale principio trova applicazione sia nell’ambito delle procedure concorsuali cosiddette “maggiori”, sia in quelle similari “cosiddette minori” di cui alla L. 3/12.

Al fine di far fronte all’emergenza sanitaria, legata all’epidemia da Covid–19, il Legislatore è intervenuto con la L. n. 159/2020, di conversione del D.L. 125/20, agevolando, ove possibile, l’accesso delle imprese a procedure concorsuali minori al fine di scongiurarne il dissesto.

Atteso dunque il momento storico che stiamo attraversando, è palese la necessità di fronteggiare le criticità procedurali spesso determinate dalla inerzia dei creditori istituzionali, tali da minare le soluzioni alternative alla liquidazione, nonostante le stesse si presentino foriere di scenari di gran lunga più convenienti per i creditori.

La recente normativa dispone che in considerazione della situazione di crisi economica per le imprese, determinata proprio dalla pandemia, il Tribunale possa omologare l’accordo

anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori in forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l’adesione è decisiva ai fini del raggiungimento della percentuale di cui al primo comma e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista di cui al medesimo comma, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria

La ratio della norma, quindi, è sostenere l’imprenditore in crisi nel caso in cui venga intrapresa la strada dell’accordo di ristrutturazione del debito, che si ricorda essere un mezzo di risanamento a cui l’impresa in crisi ricorre per tentare di ridurre l’esposizione debitoria, assicurando così il riequilibrio della situazione finanziaria. 

Affinché l’accordo possa avere seguito, questo deve essere accettato dal 60% dei creditori, intesi sui crediti (e quindi per somma) e non sui singoli creditori.

Spesso, quindi, capita che la maggioranza degli stessi dipenda proprio dagli enti previdenziali e fiscali, che costituiscono la gran parte del ceto creditorio.

Ulteriore e recente intervento legislativo ha previsto che: “il Tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di adesione” (art. 20, co. 1, D.L. n. 118/21). 

Al riguardo, vale la pena sottolineare che il predetto impianto normativo, se ad una prima lettura  sembrerebbe porre fine agli accesi dibattiti in merito all’applicazione del nuovo istituto in caso di mancanza di voto ovvero in caso di diniego espresso da parte del creditore pubblico, in realtà suscita non poche perplessità operative, concernenti proprio il significato delle espressioni in “mancanza di voto” e in “mancanza di adesione” dell’Erario e degli enti di previdenza obbligatoria inserite, rispettivamente, nel comma 4 dell’art. 180 (per il concordato preventivo) e nel comma 5 dell’art. 182 bis della L. Fall (per gli accordi di ristrutturazione dei debiti). 

Sul punto, prendendo le mosse da un’interpretazione più estensiva -fermi tutti gli altri requisiti richiesti dalla norma- il cram down fiscale e previdenziale sarebbe ammissibile non solo in caso di silenzio, bensì anche nell’ipotesi di diniego espresso da parte dei creditori pubblici.

Tale orientamento, oltre ad essere maggioritario in giurisprudenza, è stato avvalorato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con ordinanza del 25 marzo 2021 n. 8504, chiamata a pronunciarsi sul ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione proposto dall’Agenzia delle Entrate. 

Con riferimento alle procedure di sovraindebitamento e, in particolare, al concordato minore, in perfetta sintonia con il Codice della Crisi e le procedure maggiori, il Legislatore, con la legge di conversione del c.d. Decreto Ristori, ha introdotto il cram down erariale (e previdenziale). 

Ai sensi dell’art. 12 co. 3 quater L. n. 3/2012, la proposta, in seguito alla recente riforma, potrà essere omologata dal Tribunale anche senza l’adesione dell’Amministrazione, ove il gestore della crisi attesti la preferibile convenienza rispetto all’alternativa ipotesi liquidatoria.

Il Legislatore ha così esteso anche alle procedure di composizione della crisi l’applicazione del c.d. cram down, già previsto per il concordato preventivo e per gli accordi di ristrutturazione dai novellati articoli 180, comma 4, e 182-bis L.F.

Le modifiche recentemente introdotte assumono particolare importanza, in quanto rendono oggi possibile per un debitore ottenere una proposta finalizzata all’estinzione del debito tributario o previdenziale con il pagamento di una somma inferiore a quella effettivamente dovuta e iscritta a ruolo, anche senza il consenso del creditore pubblico. 

 

 

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