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Una circolare dell’agenzia delle entrate del 22 luglio ha mandato in frantumi le illusioni create dal governo Meloni a proposito della «Zes unica»: una «zona economica speciale» allargata a tutto il Sud Italia. Nel testo si sostiene che il credito di imposta per le imprese che hanno effettuato investimenti per l’acquisto di beni strumentali in tutte le regioni meridionali sarà drasticamente ridotto dal 60% al 17%. Un parere tecnico che taglia le gambe alle promesse del governo ed è una doccia fredda per le imprese che hanno presentato una richiesta di credito di imposta dal 12 giugno al 12 luglio per gli investimenti già effettuati e quelli da fare entro il prossimo 15 novembre. Se le cose resteranno così ci penseranno due volte a fare altri investimenti non ammortizzati dallo Stato.

La lettera ha provocato una risposta piccata da parte di Raffaele Fitto, il ministro delegato alla rogna del Pnrr oltre che alla suddetta Zes, candidato a un posto di commissario europeo. Fitto ieri ha scritto all’Agenzia dell’Entrate sostenendo che il provvedimento «è stato adottato senza alcun confronto» dal direttore Ernesto María Ruffini. A quest’ultimo, Fitto sostiene di avere chiesto il 17 luglio scorso, informazioni per implementare la misura. Che ora, però, risulta drasticamente ridimensionata. E, con essa, il percorso che ha portato alla contestata (dagli economisti specialisti in materia) costituzione della «Zes Unica» meridionale.

L’idea è stata criticata perché è una contraddizione in termini. La Zes, infatti, è specifica: riguarda un territorio con porti e infrastrutture ed è pensata per concentrare gli investimenti. Ne esistevano otto: due in Sicilia, una in Puglia-Molise, una in Puglia-Basilicata e le altre in Abruzzo, Campania, Calabria, Sardegna. Il governo Meloni le ha cancellate, ne ha creata una sola, accentrando tutto a Palazzo Chigi. Con il risultato di diminuire le risorse già insufficienti per gli investimenti che si sono ridotti sostanzialmente a una politica degli incentivi alle imprese. Un assistenzialismo a pioggia non molto diverso da quello vigente dal 2015. «La montagna ha partorito il topolino – ha detto il sindaco di Caserta Carlo Marino – La Zes Unica è poco utile per il nostro territorio e ha una portata trascurabile». La lettera dell’Agenzia delle entrate «è una doccia fredda. è evidente che il problema è l’insufficiente dotazione di risorse finanziarie» ha detto Nicola Fontanarosa (Confini Industria, con delega al Mezzogiorno).

Le difficoltà di concezione, e di realizzazione, della «Zes unica» è collegata all’esiguità delle risorse stanziate dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che proprio alla nuova entità creata dal governo ha destinato 1,8 miliardi, che però valgono solo per gli investimenti effettuati fino al 15.11.24. Risorse che, è stato detto, non produrranno nuove imprese, ma andranno a aziende già insediate. E ora si tratterà di vedere quante proseguiranno. Il problema si aggiunge a quelli che stanno rallentando l’intero Piano, il Sacro graal dell’economia italiana che viaggia con il freno a mano tirato e rischia, a dire del ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti, di non essere terminato entro il 2026 perché non c’è la capacità di spendere effettivamente i soldi stanziati. Nel caso ciò accadesse, l’Italia perderebbe i fondi.

Una prospettiva che è balenata ieri in un rapporto del Fondo Monetario Internazionale che ha esortato il governo a spendere per compensare il calo degli investimenti, In caso contrario la crescita sarebbe ulteriormente indebolita. In questa cornice, Meloni & Co. devono procedere a un «forte aggiustamento fiscale», già richiesto dalla procedura Ue per deficit eccessivo. Una portavoce della Commissione Ue ieri ha ipotizzato che gli investimenti previsti dal Pnrr potrebbero non gravare sul calcolo del deficit previsto dalle nuove regole del patto di stabilità.

 

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