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“Adesso in questo momento non esce nessuno, però una società che fattura 10 milioni di euro e ha un ufficetto così…”. A manifestare la sua preoccupazione per possibili sospetti in caso di un’ispezione dei funzionari della banca su un’azienda dalla sede troppo piccola rispetto al fatturato dichiarato era Michele Varesano, in una conversazione intercettata dalla Guardia di finanza nel marzo 2020, quando l’Italia era travolta dalla pandemia. L’interlocutore, il broker Marco Santinoli, presunto “ideatore” del sistema con cui sarebbero state messe a segno truffe per oltre 5 milioni di euro sui finanziamenti statali alle piccole e medie imprese, replica che l’azienda “può comunque lavorare con una logistica esterna”.

Manovre con al centro una delle società, con sede in via Verro, Milano Sud, che facevano parte di una galassia di “scatole vuote“, senza attività reali e dipendenti, utili solo per mettere le mani sui fondi anche approfittando, evidenzia il giudice per le indagini preliminari di Milano Massimo Baraldo, delle “normative emergenziali varate dal Governo a causa dell’emergenza Covid-19”.

Il sistema, avviato nel 2016, è venuto alla luce grazie a un’indagine della Guardia di finanza di Corsico, coordinata dal pm di Milano Nicola Rossato. Diciassette indagati (Marco Santinoli e i presunti complici Daniele Tadei e Franco Quarzati sono finiti in carcere, per Michele Varesano sono stati invece disposti gli arresti domiciliari), secondo gli investigatori avrebbero “costituito un’associazione per delinquere operante a Milano e nell’hinterland, con lo scopo di ottenere illecitamente finanziamenti” per un importo complessivo di oltre 5,4 milioni di euro (oltre 4 milioni garantiti dallo Stato attraverso il Fondo di garanzia per le Pmi) che “venivano successivamente dirottati verso società estere” a loro riconducibili, in Svizzera e Repubblica Ceca.

Le sette società coinvolte, del settore marketing e pubblicità (le principali erano Fabbrica Italia, Warrant Servizi, Jin Comunicazione), erano operative solo all’apparenza. Un “maquillage contabile” attraverso il deposito di bilanci falsi con risultati positivi per presentarsi alle banche come clienti solventi e affidabili, e la creazione come siti internet-vetrina con “indicazione di noti partner commerciali”. Una volta incassati i finanziamenti garantiti da fondi pubblici le società venivano spogliate e portate al fallimento. I soldi finivano all’estero, e in Italia restavano i debiti con l’erario.

Il gip ha disposto il sequestro preventivo di beni per oltre sette milioni di euro. Le società fantasma avevano sede anche nel cuore di Milano, in via Vincenzo Monti, e unità produttive dichiarate nell’hinterland. “Ho tre agenzie a Milano, c’ho un casino di robe in giro”, si vantava Santinoli parlando con un conoscente, elencando un patrimonio di auto di lusso, da una Mercedes Gle 63 Amg a una Range Rover Svr dal valore di di 156mila euro. E la pandemia, per l’organizzazione, si era rivelata un’opportunità.

Santinoli, 59enne milanese residente in Svizzera, “e gli altri indagati hanno approfittato delle normative emergenziali varate dal Governo a causa dell’emergenza Covid-19 (cosiddetti Decreti Cura Italia e Liquidità) per ottenere maggiori liquidità comunicando alla banca, falsamente, di aver subito una flessione di fatturato maggiore del 30% nei mesi di marzo e aprile 2020”.

Il gip nell’ordinanza mette in luce che “lo svilupparsi della pandemia” ha “aggravato il rischio della diffusione di meccanismi fraudolenti”, anche perché “il cosiddetto Decreto Legge Liquidità (…) ha profondamente modificato le modalità operative del Fondo di garanzia” per le Pmi “semplificando le procedure, aumentando le coperture e ampliando la platea dei beneficiari”.

 

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