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Un sequestro preventivo da oltre 60 milioni di euro eseguito dalla Guardia di Finanza di Bari ha colpito, ieri mattina, la società consortile a responsabilità limitata Soa, operante nel settore dei servizi logistici relativi al trasporto delle merci per alcune catene della grande distribuzione, e le cooperative Mida, Lexlab e Agon.

In modo particolare, alla Soa sono stati sequestrati 38,5 milioni di euro, alla Mida 15,9 milioni, alla Lexlab oltre 3,5 milioni e, infine, alla Agon 3,8 milioni. Indagati a piede libero l’amministratore della Soa Oronzo Angiulli (59enne di Alberobello e considerato dalla Procura amministratore di fatto anche delle altre cooperative) e i rappresentanti legali della Lexlab, Gabriela Selcuk, della Mida, Donato Raspatelli ed il 60enne Marco Bellini, residente a Bitonto, e della Agon, Vanna Ruggeri.

A loro sono contestati la dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e l’omesso versamento dell’Iva, fatti relativi agli anni tra il 2016 e il 2021. Come ricostruito la Soa («società filtro»), dopo avere ricevuto alcuni lavori in appalto da marchi importanti della grande distribuzione, li avrebbe poi subappaltati alle cooperative («società serbatoio») di fatto amministrate dalla stessa persona, Angiulli, ma formalmente da soggetti definiti «teste di legno».

E i dipendenti, sulla carta assunti dalle cooperative, sarebbero stati invece lavoratori della Soa. Le cooperative avrebbero emesso fatture alla Soa «corrispondenti ai costi relativi al personale», accumulando «ingenti debiti Iva sistematicamente non versati». E la Soa, con i «simulati contratti di subappalto», avrebbe maturato «un indebito credito di Iva utilizzato per compensare in tutto o in parte il debito Iva generato dalle fatture attive emesse nei confronti delle società committenti».

«Emerge con palmare evidenza – scrive il giudice per le indagini preliminari Giuseppe Montemurro – la riconducibilità delle cooperative investigate ad un unitario centro di interesse, facente capo» ad Angiulli. «Le tre cooperative coinvolte nella vicenda», scrive il gip, sono state «costituite e strumentalmente utilizzate come “bad companies”, sulle quali fare confluire gli ingenti debiti Iva», nella consapevolezza che si sarebbero «impunemente sottratte al pagamento di quei debiti Iva».

«Le società cooperative – si legge ancora nel decreto – utilizzano le strutture e i mezzi del consorzio per la gestione del personale e l’esecuzione dei servizi». I 60 milioni sono considerati il profitto di dichiarazioni fraudolente con l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti (dal 2016 al 2021) e omesso versamento dell’Iva.



 

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