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Crollato l’impero economico, restava da definire il solo fronte giudiziario per chiudere l’epopea lunga 137 anni della famiglia Maccaferri. Ora per la più antica dinastia industriale bolognese è calato il sipario anche sull’inchiesta che li vedeva inizialmente accusati di bancarotta fraudolenta per distrazione in merito all’operazione di scissione Seci-Sei. Un’ipotesi di reato che la Procura ha perseguito per quattro anni ma che ha poi abbandonato dopo un confronto serrato con le difese degli indagati, rappresentati dal gotha dell’avvocatura, che hanno convinto i pm a riqualificare la contestazione in bancarotta semplice da aggravamento del dissesto.

La sentenza 

Un cambio di rotta che ha indirizzato l’inchiesta verso il patteggiamento, poi certificato dal giudice Alberto Ziroldi una volta ottenuto il via libera dal procuratore aggiunto Francesco Caleca e dal sostituto procuratore Nicola Scalabrini. E il conto, al netto della concessione delle attenuanti considerate prevalenti sulle aggravanti, è particolarmente conveniente: 8 e 6 mesi di reclusione sostituiti rispettivamente da una pena pecuniaria di 42 mila euro per Gaetano e 36 mila ciascuno per Alessandro, Massimo e Antonio difesi dai professori-avvocati Tommaso Guerini, Vittorio Manes, Nicola Mazzacuva, Gaetano Insolera e Luigi Stortoni. Per le cugine Angela e Raffaella Boni, al tempo socie sia di Sei che di Seci e assistite dall’avvocato Marco Calleri, la pena è stata convertita in 27 mila euro a testa. L’ex consigliere delegato Pietro Tamburini, assistito dall’avvocato Gianluigi Lebro, al momento non ha ancora fatto richiesta di patteggiamento.

La tesi accusatoria 

Secondo la contestazione iniziale di Procura e Guardia di Finanza, nel 2017 i vertici della Seci, la holding che all’epoca controllava il gruppo, avrebbero distratto dalla società 57,6 milioni di euro verso la newco Sei, costituita ad hoc quando ormai, era l’ipotesi dei magistrati, gli indagati erano consapevoli della situazione di tensione finanziaria nella quale versava Seci. Il capitale sociale della Sei era peraltro posseduto dalla stessa compagine sociale di Seci. Nel luglio del 2020 la Procura aveva ottenuto il sequestro preventivo del capitale sociale di Sei sotto il cui controllo nel frattempo erano passati cospicui asset: immobili a Zola Predosa, in via degli Agresti, in via del Triumvirato e una prestigiosa villa sui Colli. In sostanza i Maccaferri e gli altri soci erano accusati di aver fatto fuoriuscire quei beni dal gruppo attraverso l’operazione di scissione con lo scopo di appropriarsene danneggiando così i creditori.

«Effetto neutro per creditori e proprietari»

Gli avvocati degli indagati hanno dato battaglia al fine di dimostrare la regolarità dell’operazione di scissione che, a loro giudizio, venne portata a termine in un’ottica di riorganizzazione, e, in particolare, in assenza di una ipotesi distrattiva. Attraverso perizie sul valore degli immobili, pareri qualificati e memorie difensive hanno convinto la Procura che l’operazione in sé era lecita. In sostanza i Maccaferri con la scissione hanno fatto uscire i beni, i debiti e le garanzie con un effetto del tutto neutro sia per i creditori che per i proprietari. Scrive infatti il gip che «la segregazione degli asset patrimoniali non ha in fatto potuto produrre alcun effetto distrattivo». E tuttavia l’operazione è intervenuta in un contesto di tensione finanziaria, circostanza che rende impossibile arrivare a una dichiarazione di non punibilità. Per il giudice infine il patteggiamento concordato con la Procura e la conversione in una pena pecuniaria sono corrette in quanto, scrive, «sono soggetti incensurati e comunque proiettati alla ricerca delle soluzioni ritenute le più efficaci per la salvaguardia degli asset societari e del mantenimento dei livelli occupazionali». 

La bancarotta derubricata

«La vicenda, caratterizzata da grande complessità tecnica, anche alla luce di un articolato confronto con le difese, ha visto cadere l’originaria ipotesi di bancarotta fraudolenta, e si è conclusa con un forte ridimensionamento delle contestazioni, che ha consentito una definizione concordata del procedimento, per un’ipotesi meramente colposa, con l’applicazione di una sanzione pecuniaria», hanno commentato i legali.

 

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