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Non solo Bitcoin: esistono centinaia di criptovalute con cui effettuare degli acquisti online oppure offline. Ecco il meccanismo della moneta che non si vede.

Risulta strano poter parlare di soldi da spendere senza poter toccarli con mano. Il contatto con la fredda moneta di metallo, con la rugosa banconota, con la liscia carta di credito. Eppure, quei soldi che ci sono ma che materialmente non esistono vengono utilizzati molto più di quello che si possa immaginare. Non per fare degli investimenti fittizi ma per acquistare delle cose vere, delle cose da poter prendere in mano e da usare nella vita quotidiana. Non è facile rendersene conto che esistono, per quello in tanti si chiedono: i

soldi virtuali, cosa sono e come funzionano? Si potrebbe immaginare un mondo in cui il portafoglio servirebbe solo per portare con sé la patente, la tessera sanitaria e la carta di identità? Un mondo in cui si può acquistare un pezzo di pane senza tirar fuori dalla tasca una banconota da 5 euro? E soprattutto: è legale questo sistema?

Di soldi virtuali ce ne sono diversi. I più popolari sono i Bitcoin, ma esistono altre monete «invisibili» come Ethereum, Ripple, Litecoin (LTC) e Monero. Sono le cosiddette «criptovalute», denaro senza un preciso ente di riferimento (come per l’euro può essere la Banca centrale europea) che viene gestito da un database in grado di tracciare tutte le transazioni e di gestire il rapporto tra il valore della moneta virtuale e quello delle valute, per così dire, «fisiche» che circolano in tutto il mondo.

Per capire come vengono impiegati i soldi virtuali, cosa sono e come funzionano, vediamo le caratteristiche delle criptovalute più diffuse e le loro potenzialità.

Soldi virtuali: cosa sono?

I soldi virtuali sono una forma di denaro elettronico che consente di fare degli acquisti senza utilizzare la classica moneta a cui siamo abituati. Quando si dice «denaro elettronico» non bisogna, però, fare confusione con l’idea che abbiamo della moneta elettronica, cioè la carta di credito o il Bancomat grazie alle quali muoviamo o possiamo avere degli euro reali (si pensi, ad esempio, ad un prelievo allo sportello automatico). In questo caso, i soldi esistono perché possono essere utilizzati – almeno in teoria – per tutto quello che già facciamo adesso con la moneta tradizionale. Ma non possiamo toccarli con mano, perché sono virtuali.

Per fare un esempio estremamente semplice. Immagina che sulla busta paga ti trovi lo stipendio in Bitcoin. Non ti verrà versato in banca ma sarà in un

database tramite il quale potrai usare il tuo denaro elettronico per pagare un affitto o fare la spesa. Se ci pensi (e giusto per semplificare al massimo), oggi quando fai un bonifico stai muovendo dei soldi da un conto ad un altro senza mai vederli o toccarli con mano. Il denaro risulterà scalato dal tuo conto e su quello del destinatario si vedrà una cifra aumentata dal bonifico che hai fatto tu. Più o meno, sarebbe sta stessa cosa.

Soldi virtuali: come vengono gestiti?

Dicevamo del database. Spieghiamo questo concetto prima di entrare nel dettaglio dei vari tipi di criptovalute. Il database è lo strumento che gestisce in rete l’utilizzo dei soldi virtuali con il sistema noto come peer-to-peer, cioè di uno scambio alla pari.

In pratica, in questo database vengono tracciate tutte le transazioni effettuate con moneta virtuale, sia in entrata sia in uscita, ed anche stabilito il valore dei soldi virtuali rispetto a quello dei soldi «reali». Il sistema funziona grazie ad un’applicazione informatica che utilizza un complicato protocollo matematico e crittografico chiamato

blockchain, condiviso dagli utenti.

I soldi virtuali, dunque, non sono fatti di rame o di carta con filigrana ma di codici crittografici e di algoritmi e vengono scambiati con i negozi o le aziende che accettano di pagare in questo modo (molti più di quelli che potresti pensare, e non solo su Internet).

Per essere ancora più precisi, dobbiamo dire che lo scambio di soldi virtuali avviene soltanto attraverso del canali su Internet. L’utente che desidera utilizzare la criptovaluta dispone di un portafoglio digitale chiamato wallet: anziché essere in pelle, è virtuale. Questo portafoglio dispone, comunque, di un sistema di sicurezza affinché un estraneo non possa metterci le mani, ovvero di sistemi di crittografia dei dati.

Quindi, se un utente dispone, ad esempio, di 100 Bitcoin nel suo wallet e vuole trasferirne 50 ad un altro utente da cui ha comprato qualcosa, dovrà utilizzare il suo canale web per effettuare l’operazione. L’acquirente, cioè quello deve pagare, dovrà inserire un codice per accedere al suo wallet e poi un

secondo codice segreto che solo lui conosce al fine di consentire il trasferimento dei soldi virtuali. In sostanza, doppio codice per avere maggiore sicurezza.

Esistono diversi tipi di wallet:

  • il wallet software, cioè un programma da scaricare su un dispositivo mobile che garantisce maggiore sicurezza;
  • il wallet hardware, vale a dire un dispositivo «fisico» come una chiavetta Usb o un hard disk esterno da collegare ad un pc, ad un tablet o ad uno smartphone;
  • il wallet online, ovvero un portafoglio digitale su Internet a cui si accede con una password, spesso gestita dall’exchange, ovvero da chi effettua il cambio di valuta (vedi sotto).

Va detto, inoltre, che gli acquisti in criptovaluta vengono effettuati nel più assoluto anonimato. Chi possiede dei soldi virtuali, infatti, non può essere identificato. In più, questo tipo di moneta non soffre di svalutazione, non è pignorabile e non viene controllata da alcun sistema bancario convenzionale.

Soldi virtuali: sono legali?

Sfatiamo subito un mito: utilizzare i

soldi virtuali per fare degli acquisti nei negozi (fisici o digitali che siano) non è illegale. O, almeno, non ancora.

Nel senso che non esiste alcuna legge che vieti l’utilizzo delle criptovalute. E, pertanto, si può dire che la moneta digitale è legale.

Soldi virtuali: dove si acquistano?

Ti starai chiedendo: tutto questo è molto bello, ma come faccio ad acquistare la criptovaluta, o meglio a scambiare gli euro con i soldi virtuali? Non essendoci delle banche fisiche per portare le banconote di carte da trasformare in monete elettroniche, ovviamente anche questo aspetto viaggia sul web attraverso i cosiddetti «exchange», parola che dall’inglese si traduce letteralmente in «scambio», appunto.

Gli exchange, quindi, sono delle piattaforme digitali sui cui è possibile acquistare dei soldi virtuali, per lo più in euro o in dollari. Concluso lo scambio, la criptovaluta finisce nel wallet, cioè nel portafoglio digitale di cui abbiamo parlato prima.

Non tutti gli exchange sono uguali. Si possono segnalare:

  • l’exchange fiat to cripto: è quello che permette lo scambio di una valuta fiat, cioè l’euro o il dollaro per esempio, con dei soldi virtuali;
  • l’exchange con gestione centralizzata da un ente terzo. Garantisce delle operazioni veloci con commissioni relativamente basse, ma sono più soggetti alle truffe;
  • l’exchange con gestione decentralizzata, che funziona in modo automatizzato e più sicuro, anche se le operazioni sono più lente e con una quantità di criptovalute più ridotta.

Quanto alle commissioni, c’è da dire che variano a seconda delle operazioni mensili effettuate: più queste sono numerose, meno commissioni si pagano.

Tra gli exchange più popolari, si possono citare Coinbase Pro, Bitstamp, Bittrex e Kraken.

Va detto, inoltre, che è possibile acquistare dei Bitcoin negli sportelli Bancomat abilitati a questo tipo di scambio.

Soldi virtuali: quali tipi?

Probabilmente, nel pensare ai soldi virtuali ti viene subito in mente la parola Bitcoin. In effetti, questa è la moneta elettronica più conosciuta, ma non è l’unica.

Oltre al Bitcoin, riconosciuto formalmente con la sigla BTC, esistono tante altre (arrivano quasi ad un migliaio). Tuttavia, le più utilizzate a livello internazionale insieme al Bitcoin sono:

  • Ethereum (ETH);
  • Litecoin (LTC);
  • Monero (XMR);
  • Ripple (XRP);
  • Bitcoin Cash (BCH).

Soldi virtuali: dove si possono spendere?

Ovviamente, oggi non è ancora possibile andare al supermercato e pagare la spesa in Bitcoin, o pagare il giornale all’edicolante in Monero, oppure prenotare una vacanza con Litecoin. Per ora, l’utilizzo dei soldi virtuali è diffuso soprattutto online, anche se alcuni esercizi commerciali, per così dire, tradizionali accettano questa modalità di pagamento.

C’è su Internet una vera e propria Coin Map, in costante aggiornamento, che mostra ogni singola azienda o negozio in cui è possibile fare degli acquisti con dei soldi virtuali. In Italia ce ne sono molti, soprattutto a Roma e a Milano, che vanno dalla boutique alla libreria, dal negozio di informatica al grande magazzino e perfino qualche bar, il nutrizionista o l’imbianchino.

Su Internet si trova una Coin Map (in continuo aggiornamento) in cui è possibile individuare la singola azienda o il singolo esercente che accetta questo tipo di pagamenti.

Soldi virtuali: si pagano le tasse?

Non si vedono, non si toccano ma per il Fisco non sono invisibili. Anche i soldi virtuali vanno indicati nella dichiarazione dei redditi, come ha sancito il Tar del Lazio [1]. Secondo la giustizia amministrativa, infatti, la criptovaluta è da considerare un reddito finanziario prodotto all’estero e, come tale, va inserito nel quadro RW del modello Unico delle persone fisiche.

La tassazione, secondo la normativa, si giustifica per l’impiego dei soldi virtuali delle diverse operazioni consentite, quindi negli acquisti con uno strumento rappresentativo di valori e di utilità economica.

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