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In caso di sovraindebitamento ora anche le famiglie hanno una procedura concordata come le aziende. Per regolare i conti e scampare al default…

Anche le famiglie possono fallire. Ma a differenza delle grande aziende non hanno il “privilegio” di portare i libri in tribunale. In altre parole, quando un livello di indebitamento ormai insostenibile le conduce dritte al default, le loro sorti sono nelle mani dei creditori (se non degli strozzini) senza nessuna protezione. Se una famiglia non ce la fa più a pagare rate e bollette viene trascinata in tribunale dai suoi creditori e rischia di perdere tutto. Questo succedeva fino a poco tempo fa: ma un recente provvedimento del governo Monti – il Dl 22 dicembre 2011 n. 212- (attualmente all’esame del parlamento per la conversione in legge definitiva) ha fornito anche alle famiglie in crisi finanziaria una rete per cadere sul morbido. Il decreto-legge sul sovraindebitamento mira a fronteggiare le situazioni di crisi delle famiglie (e anche delle piccole imprese), a cui finora non si applicavano le norme in materia di fallimento e procedure concorsuali riservate alle grandi aziende. Viene quindi introdotto un meccanismo, simile a quello in vigore da tempo negli Usa, che dà possibilità anche ai privati di concordare con i creditori un piano di ristrutturazione del debiti e arrivare alla “esdebitazione” definitiva. Cioè a chiudere una volta per tutte i conti con i creditori. Un meccanismo simile al concordato preventivo, la procedura con cui l’imprenditore ricerca un accordo con i suoi creditori per non essere dichiarato fallito o comunque per cercare di superare la crisi temporanea della sua azienda. Una procedura in quattro mosse. Il meccanismo è controllato e garantito da un giudice ma serve proprio a evitare di imbarcarsi in cause estremamente lunghe e costose, a vantaggio sia dei debitori che dei creditori (nonché della stessa macchina giudiziaria che si trova alleggerita di una notevole mole di processi).
Ecco la procedura da seguire per scampare alla bancarotta:
1) Il cittadino (o la piccola impresa) deve presentare domanda al tribunale di residenza allegando le dichiarazioni dei redditi degli ultimi 3 anni e gli atti di disposizione del patrimonio (compravendite ecc.), degli ultimi 5 (la piccola imprese deve presentare le scritture contabili degli ultimi 3 esercizi).
2) Il giudice verifica i requisiti di ammissibilità e fissa una finestra di 120 giorni per mettere il patrimonio del debitore al riparo da azioni esecutive individuali o da sequestri conservativi.
3) La valutazione passa a un organismo di composizione, formato da professionisti (avvocati, commercialisti o notai) e istituito presso le camere di commercio o gli enti locali. Questi professionisti dovranno essere iscritti in un apposito registro e riceveranno un compenso stabilito dal ministero della Giustizia. L’organismo aiuterà le parti a raggiungere un accordo di ristrutturazione del debito, per esempio il pagamento parziale o dilazionato su più anni. In alcuni casi specifici si può prevedere una moratoria di un anno per il pagamento.
4) L’accordo sul piano di “esdebitazione” passa di nuovo al giudice che si limita a verificarne la correttezza formale e a omologarlo.

 

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