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1) “Maestro della Maddalena Briganti” Maddalena penitente, prima metà sec.XVII, olio su tela, 98 x 150,5 cm Foto: Giuseppe e Luciano Malcangi.  ; 2) Bartolomeo Manfredi, Bacco e fauno, 1620 ca olio su tela 115 x 158. Foto. Giuseppe e Luciano Malcangi.3) e 4) foto della mostra

 E’ dedicata alla collezione di Ruggero Poletti, per tutti Geo (1926 – 2012), pittore, collezionista, “connaisseur”, intellettuale finissimo, storico dell’arte, la mostra “L’enigma del reale. Ritratti e nature morte dalla Collezione Poletti e dalle Gallerie Nazionali Barberini Corsini” (aperta fino al 2 febbraio 2020). Curata da Paola Nicita, presenta una trentina di opere per la prima volta a Roma, fra cui bellissime nature morte, distribuite in quattro sale della Corsini, a cominciare dal “Democrito” di Ribera esposto nella Galleria del Cardinale. “Un villano che ride e tiene una carta in mano scritta con diversi libri sopra una tavola”. Con queste parole è descritto come opera di Ribera (1591 – 1652) nell’inventario della raccolta romana di Vincenzo Giustiniani e definito nella collezione Poletti come “Geografo sorridente”. Si tratta in realtà del filosofo Democrito,  dipinto da Ribera che, di passaggio da Roma  a Napoli, ha introiettato la lezione caravaggesca. Gli strumenti del mestiere ci sono tutti, libri, penna, sfera armillare descritti con minuzia, un  bel brano di natura morta e per intensità di espressione un vero e proprio ritratto.

La mostra prosegue nella cosiddetta “Camera verde” per via dei parati settecenteschi, dove su una grande consolle barocca si trova “Maddalena penitente” della Collezione Poletti che prende  il posto di “San Giovanni Battista” di Caravaggio (ora nella parete di fronte). L’autore è chiamato “Maestro della Maddalena Briganti” perché l’opera è appartenuta ad Aldo Briganti, padre dello storico Giuliano. Un quadro che ha girato il mondo, da Firenze a Roma, quindi notato da Testori e pubblicato in un catalogo di una casa d’aste viene attribuito a Guido Cagnacci, poi a un artista di formazione francese, quindi entra al Getty Museum, di nuovo in asta a New York dove nel ’92 l’ha acquistato il collezionista. Al Getty era registrato, per via di una scritta sul retro, come opera di Puga, ipotesi non accettata dalla critica. Sgarbi ha proposto Giovanni Serodine. Chi sia l’autore resta un enigma, certo è che è una Maddalena ben poco spirituale, sensuale, dipinta in chiave naturalistica. Dalle indagini risulta che il volto era rivolto al Crocifisso e non allo spettatore. Su un’altra parete “Bacco e fauno” a confronto con il “Fauno con uva e flauto” della Galleria proveniente dalla Collezione Torlonia, anticamente attribuito a Caravaggio, in realtà dell’ambito di Bartolomeo Manfredi. 

Anche qui mirabili brani di natura morta, una delle grandi passioni di Poletti, in particolare quelle dei Sei – Settecento. Un interesse nato nel dopoguerra  con le nature morte di Giorgio Morandi e le grandi mostre a Parigi e Napoli. In collezione Poletti nature morte di ambito lombardo, romano, napoletano. Il riferimento puntuale, scrive nel piccolo prezioso catalogo la curatrice, è a un luogo e a una data, Roma intorno al 1590 quando le invenzioni caravaggesche hanno un impatto dirompente anche sulla rappresentazione di fiori e frutti, in parallelo alle indagini sulla natura di Galileo. Dopo il 1590 e fino al 1630 la pittura romana caravaggesca svolge una funzione di modello. Ed è questo filo che ha scelto la curatrice.

A seguire nella sala delle canonizzazioni o sala blu una decina  di nature morte  esposte senza cornice, così come si trovavano in casa Poletti, perché niente doveva interferire con l’opera. Sono state scelte fra le più importanti della collezione e di varie aree geografiche, lombarda (la “pittura di realtà” ha inizio in Lombardia), emiliana, romana, napoletana. Esposti due “pendant” con vasi di fiori, boccia di vetro e canestra di frutta, veri e propri motivi ricorrenti di Caravaggio, attribuiti a Orazio Gentilescchi e poi a Carlo Saraceni. Erano in origine delle sovrapporte tre dipinti con “Cesta con agrumi”, “Cesta di frutta con piccione e melagrano”, “Coniglio con uva” che Poletti considerava le più belle nature morte caravaggesche della metà del Seicento attribuendole a Paolo Porpora attivo a Roma. In mostra due oli di Bernardo Strozzi e una “Natura morta con cesta di mele e piatto di prugne, meloni e pere” del bergamasco Evaristo Baschenis, un  lavoro giovanile del maestro degli strumenti musicali.  

Infine nell’ultima saletta un confronto a tre voci. Eccezionalmente insieme tre versioni dello stesso ritratto di “Pescivendolo che sventra una rana pescatrice” tutte di ambito napoletano e dipinte alla metà del Seicento. Protagonista un pescivendolo dallo sguardo enigmatico e intenso, una specie di eroe che ha fatto pensare a Masaniello. Di fronte l’opera della Collezione Corsini, a destra quella della Collezione Poletti e a sinistra piuttosto scuro il dipinto che viene dal Museo di Varsavia. Il prototipo è certamente quello delle Gallerie Nazionali che proviene da Villa Ginanni Fantuzzi di Gualdo in Romagna, esposto come Caravaggio. Fu acquistato nel 1914 da Corrado Ricci, allora Direttore Generale delle Belle Arti e attribuito a Guido Cagnacci, mentre nel ‘61 Longhi lo attribuiva al fiorentino Orazio Fidani. Poi si è cominciato a dubitare e si è pensato piuttosto a Luca Giordano o a Francesco Fracanzano, cognato di Salvator Rosa. Il dipinto Poletti proviene da una collezione veneziana, mentre quello di Varsavia che è una variazione del tema è stato acquistato in un’asta internazionale nel ‘69. In primo piano sono aggiunte alcune monete del periodo di Filippo IV di Spagna cosa che indica la datazione. Il prototipo doveva trovarsi in una quadreria illustre, tanto da fare da modello ad altri. Oltre queste ci sono infatti altre copie in collezione privata    

La mostra racconta la storia di una collezione e di un collezionista dal fiuto infallibile che vive in un ambiente stimolante. Nato a Milano nel 1926, nei primi anni Trenta parte  con il padre e il fratello minore per San Paolo del Brasile dove rimane per pochi anni. Tornato a Milano dalla madre, amica di Toscanini e di Carlo Maria Giulini, prosegue gli studi dando grande spazio alla musica classica e alla lirica che insieme con l’arte saranno una ragione di vita. Un’esistenza intessuta di rapporti umani privilegiati come il contesto sociale da cui proviene. Quando durante la guerra si trasferisce con la famiglia nella villa di Bellagio sul lago di Como ha la ventura di incontrare Mario Sironi che lo incoraggia a dipingere. 

Nel ’50 torna per un anno in Brasile dove ritrova il padre e il fratello maggiore e continua a dipingere stimolato e ispirato da luogo in cui si trova tanto che persino il suo ritratto ricorda le fisionomie brasiliane. All’esercizio della pittura si accompagna un’altra passione, lo studio dei maestri antichi senza trascurare, anche se vista con occhio critico, l’arte moderna. E conosce l’arte  contemporanea, Sironi, Boccioni, il primo De Chirico, Arturo Martini e in specie Francis Bacon che influenzerà la sua pittura.

Una pittura che nel ’62 trova riscontro in una personale alla Galleria “Il Milione”, visitata da Pietro Maria Bardi, direttore del Museo d’Arte di San Paolo, che lo invita a esporre in Brasile. Un invito ripetuto più volte e sempre rinviato. La mostra de “Il Milione”, solo opere figurative, suscita l’interesse della stampa e di Giovanni Testori che scrive la prefazione al catalogo e un lungo saggio per la rivista “Paragone”. Cinque anni dopo, la stessa galleria presenta una seconda personale. Questa volta la prefazione è di Francesco Arcangeli, altro nome di spicco della critica che lo definisce “…appassionato e conoscitore di molta arte del passato ma uomo moderno”. Uno dei quadri in mostra, regalato dal pittore a Roberto Longhi che aveva conosciuto nel ‘51, si trova ancora esposto nella quadreria della Fondazione Longhi a Firenze.

Eppure, nonostante la presenza di questi numi tutelari, sarà la passione per il collezionismo a prevalere sulla pittura che si riduce a espressione personale e intima. Salvo qualche eccezione come il ritratto di due benefattori per la Cà Granda che entreranno a far parte della quadreria dell’Ospedale Maggiore. Non è il pittore dunque, ma il collezionista il protagonista dell’esposizione.  

Un collezionista intelligente che si avvale della frequentazione del gotha dell’ambiente artistico  e intellettuale del suo tempo. Storici dell’arte, antiquari, studiosi come Mina Gregori, Federico Zeri, Alvar Gonzalez-Palacios, Vittorio Sgarbi sono stati suoi amici, hanno frequentato la sua casa di via Cernaia a Milano. Poletti ha cominciato negli anni Cinquanta a collezionare opere lombarde del XVII e XVIII secolo, acquistando quadri presso mercanti e aste in Italia e all’estero. Le opere più importanti, restaurate, vengono poi raccolte, con l’aiuto della moglie Giulia, in una residenza sul lago di Lugano. Ha una predilezione per i pittori lombardi, come il Cerano, Ceruti, Fra’ Galgario, Tanzio da Varallo e per pittori allora poco considerati dalla critica come Pier Francesco Mola, Bartolomeo Passerotti, Paolo Pagani. E mostra una singolare passione e competenza per la pittura spagnola, per Velazques e Ribera, per le nature morte del Seicento e Settecento.

Roma Galleria Corsini, Via della Lungara 10. Orario: mercoledì-lunedì 8.30 – 19.00, chiude il martedì, il 25 dicembre e il 1°gennaio. Informazioni: www.barberinicorsini.org 




 

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